4:44. Last Day On Earth, la recensione

A Venezia ieri è sbarcato anche Willem Dafoe, protagonista dell’ultimo film di Abel Ferrara4:44. Last Day on Earth”. I due hanno percorso il red carpet del Festival per presentare questo film inusuale e riflessivo su un’imminente fine del mondo  che non lascerà alcun sopravvissuto sulla faccia della Terra. Dafoe interpreta l’attore Cisco, che ormai vive rintanato nel suo grande appartamento moderno con la compagna pittrice Skye (Shanyn Leigh), immerso tra la noia, la paura e l’incredulità nell’attesa della morte che si avvicina di ora in ora. La televisione è sempre accesa e trasmette minuto per minuto le notizie della tragedia inevitabile che coinvolgerà tutto il mondo in quella notte, senza risparmiare nessuno.

Ferrara porta sul grande schermo un film cupo, inquietante ma piatto, costruito su un unico livello tonale, sia per quanto riguarda i dialoghi monocorde, sia per la trama che non si evolve e sembra soltanto una lunghissima attesa di qualcosa che deve succedere. Infatti, se nei primi minuti iniziali c’è curiosità e si avverte l’atmosfera pesante e triste che i protagonisti stanno vivendo come condannati a morte, dopo appena una decina di minuti la noia prende il sopravvento e non si ha nemmeno la forza di sentirsi colpiti o preoccupati per la sorte del mondo che sta finendo. Non ci si sente mai presi o trasportati all’interno dell’azione e della storia, vivendo in una sorta di eterna attesa di un miglioramento del film di lì a poco, che però non arriva, lasciando lo spazio all’inesorabile calo della palpebra.

I due protagonisti passano il tempo soltanto ad amarsi e sperare in un miracolo finale, mentre la musica, forse unico pregio del film, invade lo schermo con classe e incisività. Appare chiaro che il regista abbia pensato la storia come una caduta vertiginosa della popolazione umana nel buio e nel caos, non approfondendo nessuna delle storie presentate inizialmente. Un grande minestrone che tocca temi come la religione, l’ecologia, la salvaguardia ambientale, la droga, l’amore, la paura della fine, solo superficialmente, realizzando un prodotto incompleto e noioso.

Materiali di repertorio per fare il finale del film, rendono chiara l’idea di un lavoro veloce e frettoloso per finirlo prima di consegnarlo al Festival di Venezia di quest’anno, mettendo da parte la professionalità e la cura dei particolari. Mai, nella storia del cinema, un eventuale fine del mondo era stata tanto triste e patetica come “4:44. Last Day on Earth”.