Berlinale 2017: Final Portrait, Giacometti secondo Stanley Tucci

Sono passati venti anni da Big Night, il debutto alla regia di Stanley Tucci, e la 67° edizione del Festival di Berlino ha presentato in anteprima il suo quinto film dietro la macchina da presa, Final Portrait. 

Il ritratto di un artista imprevedibile

Ispirato al romanzo A Giacometti Portrait di James Lord, Final Portrait è ambientato in una romantica Parigi del 1964, dove Alberto Giacometti, artista e scultore italiano deve realizzare un ritratto dello scrittore e critico americano, venuto apposta da New York. Il suo studio affollato di sculture e sperimentazioni creative è lo scenario principale del film, che si tiene lontano dal classico biopic, per analizzare questa personalità geniale ma disordinata, con il quale è difficile relazionarsi.

Decide lui quando mangiare, quando dipingere, quando ridere, flirtare… e il ritratto di Lord diventa un lavoro infinito che si protrae per giorni, in preda alla sua sregolatezza. Lord rimanda più volte il suo volo di ritorno per assecondare l’artista, sperando di riuscire a portare a casa l’opera, e il tempo dilatato diventa un’occasione per l’instaurarsi di un rapporto curioso e divertente.

Dialoghi pungenti ed ironici

Geoffrey Rush nei panni di Giacometti regala un’interpretazione pienamente convincente, attenta ai dettagli e alle sfumature di un personaggio carismatico ed eccentrico. La sua interazione con Armie Hammer, un po’ più legnoso ma comunque in parte mentre cerca di assecondare le varie idiosincrasie dell’artista italiano, dona ritmo al film. I dialoghi tra loro sono pungenti ed ironici, anche se la sceneggiatura dello stesso Tucci risulta ripetitiva ed incide negativamente sul risultato emotivo di alcune scene. La personalità imprevedibile di Giacometti è sicuramente il cuore pulsante di un film che presenta il genio al lavoro pieno di contraddizioni, catturato in un momento particolare della sua vita, verso la fine della sua carriera.

Final Portrait si potrebbe definire un tuffo nel passato tra arte e follia creativa, con un’estetica accattivante nella scelta dei toni di colore originali e l’ambientazione bohémien e romantica, ma non è del tutto promosso. Non si comprende pienamente l’obiettivo di Stanley Tucci che, oltre a raccontare Giacometti, non riesce ad approfondire altri aspetti rilevanti che possano lasciare qualcosa allo spettatore. E’ quindi debole il sentimento e l’emozione che una storia come questa dovrebbe trasmettere fin troppo facilmente.