C’era una volta in America torna al cinema: la recensione

La vita di un uomo. La storia ripercorsa attraverso i gesti, le frasi, le parole, le immagini, i suoni del passato. Quello di Noodles non è semplicemente il racconto di un momento, è la storia universale di un uomo che incontra la vita, la fa sua attraverso le scelte. Dettate dal destino. Dettate dalla società. Dettate dalla necessità. Il suo è il personaggio più emblematico della storia del cinema. Costruito perfettamente dalla interpretazione straordinaria di Robert De Niro, incantevole nel ruolo del protagonista. Sergio Leone lo immortala con un sorriso ieratico ed estatico nell’ultima immagine del film. È il simbolo di un’umanità a cui il regista guarda con pietas. Il suo occhio fissa la scena, la rende un affresco, un dipinto in cui ognuno ha un suo ruolo. Dalle comparse agli attori principali, Leone assegna a ciascuno l’ardito compito di prendere parte al grande affresco di un’America negli anni del proibizionismo e del post-proibizionismo.

C’era una volta in America. Solitamente iniziano così le favole. Ma Leone non è Andersen. Le sue non sono favole, bensì storie. Fatte di incontri. Fatte di personaggi incantevoli. Fatte di ambientazioni straordinarie. Once upon a time in America nasce per caso. Leone legge Harry Gray, l’ex gangster autore di The Hoods, quattrocento pagine sulla malavita di alcuni gangster ebrei. Il regista le legge tutte d’un fiato. Si appassiona. “Questo film è stato un’ossessione per mio padre, che si era innamorato di questo libro con una storia stupenda. Quando, a Cannes, è spuntato questo giovane produttore, Arnon Milchan, si innamorò del progetto di trasporre il libro in film e propose a mio padre di partire subito con le riprese, dopo quasi dieci anni di blocco. Durante le riprese c’era questa troupe italo-americana che si era perfettamente integrata. Mio padre era un direttore straordinario: la troupe italiana aveva trascinato con entusiasmo quella americana” racconta la figlia Raffaella. L’incontro con Gray era stato decisivo per Leone. Si erano incontrati sul finire degli anni sessanta e il regista era rimasto affascinato da questo ex malvivente di poche parole capace di scrivere una storia che gli offriva l’opportunità di confrontarsi con quello che sarebbe divenuto il capolavoro del cinema di tutti i tempi.

Nel 1984 il film usciva nei cinema a distanza di tredici anni da Giù la testa e di sedici anni da C’era una volta il West, che formano un’ideale trilogia. Dopo ventotto anni, grazie alla caparbietà della famiglia di Leone, al restauro della Film Foundation finanziato da Gucci, C’era una volta in America ritorna in 70 sale nella versione originale e restaurata con ben sei blocchi di scene inedite e ventisei minuti in più, raggiungendo la durata di 4 ore e 19 minuti. Un evento straordinario, realizzato nell’ambito di The Space Extra, che porterà il film di Leone nei cinema per 4 giorni, da giovedì 18 ottobre sino a domenica 21 ottobre. “Questo era un sogno che avevamo da sempre, per quanto mio padre avesse amato la versione che era andata al cinema nel 1984. Personalmente rimango legata anche io a quella versione con la quale sono cresciuta, ma era necessario l’inserimento di queste scene inedite perché vi erano dei punti che andavano chiariti. Oggi questa è, per me e per mio fratello, la volontà di rendergli un grandissimo omaggio nel modo che avrebbe preferito” ha affermato ancora Raffaella Leone. Riportare sul grande schermo uno dei film più belli della storia del cinema mondiale è una ambizione molto alta e molto suggestiva. D’altra parte C’era una volta in America è cinema allo stato puro, creato dalla perfezione dell’occhio del regista, della penna degli sceneggiatori, della presenza degli attori, da De Niro a James Woods, da Elizabeth McGovern a Joe Pesci. Tutto è perfezione in questa pellicola. Tutto parla a chiare lettere di un capolavoro. Mai definizione fu più precisa per un’opera d’arte senza tempo. Corale. Universale. Infinita.