Anche la Cina ha concorso al Marc’Aurelio come miglior film della sesta edizione del Festival Internazionale del film di Roma con “Love for Life“, una storia drammatica di un amore incompreso ma intenso, diretta da Gu Changwei. I protagonisti hanno il volto di Aaron Kwok e Zhang Ziyi, attrice già famosa e internazionale che abbiamo ammirato in film come “La foresta dei pugnali volanti“, “Hero“, “La tigre e il dragone”, “The Horseman” e altri.

Un piccolo villaggio rurale cinese viene infettato dal virus dell’HIV che miete vittime una dopo l’altra e la possibilità di trovare una cura sembra essere nulla. I malati vengono scansati e relegati in una vecchia scuola abbandonata fuori dal villaggio, come una comunità di tossicodipendenti e al centro di tutto lo scandalo c’è la famiglia Zhao, di cui il secondo figlio De Yi è stato infettato a causa del traffico di sangue del fratello assetato di potere e di soldi. Relegato nella scuola però De Yi riesce a trovare la luce e la speranza di una morte serena, negli occhi di Qin Qin, moglie del cugino ma malata come lui. Il loro legame diventa amore vero e tangibile, ma è un sentimento adultero poichè entrambi hanno lasciato i relativi coniugi a causa della malattia e ora, insieme, vogliono affrontare la morte che si avvicina, ma gli abitanti del villaggio li scherniscono e fanno di tutto per rompere il loro rapporto. Vincerà l’amore?

Zhang Ziyi, attrice ormai affermata anche in America e protagonista di diversi film molto commerciali e blockbuster, torna nel suo paese questa volta per interpretare Qin Qin in un film di chiara impronta indipendente, che nella sua semplicità di mezzi e di ripresa, mantiene una discreta dignità e risulta convincente sul grande schermo. La storia è interessante e coinvolge lo spettatore, anche grazie ad alcune scene forti e ferocemente emotive come la minaccia di De Yi di morire rincorso dal treno, il suo gesto disperato quando scopre che Qin Qin è morta prima di lui, oppure la scena toccante e tenera di quest’ultima che per allietare il dolore dell’amato, si immerge numerose volte in una tinozza di acqua gelida. In gran parte delle inquadrature si avverte una certa poeticità propria della Cina e altri paesi orientali. Il tema dell’onore, del rispetto, della famiglia, dell’amore sono resi con un punto di vista diverso e ne deriva un impatto intimo e brutale nello stesso tempo nei confronti del pubblico in sala. La regia è povera ma efficace, e il cast è notevole, trovando in particolare in Zhang Ziyi e Aaron Kwok un’interpretazione commovente e molto realistica, elegante e delicata, nonostante il tema molto acido e crudo di una malattia che non risparmia nessuno.

Il ritmo non è tuttavia costante e forse la storia poteva risolversi prima, accorciando l’intera durata del film che si trascina un po’ nella prima parte, per poi abbandonarsi ad una serie di eventi più vorticosa e concatenata. Una storia d’amore triste e struggente che il regista Changwei ha deciso, in maniera bizzarra, di far raccontare alla voce fuori campo di un bambino che vediamo sepolto nell’antefatto della storia, nipote di De Yi e una delle prime vittime dell’HIV.

 

[nggallery id=69]