Il tema dell’immigrazione è uno dei più ricorrenti tra i film di questa 68esima Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica di Venezia. Da Terraferma di Emanuele Crialese, in Concorso, a Io sono Li di Andrea Segre, per le Giornate degli Autori, i punti di vista sull’argomento sono molteplici e differenti. Il più originale, forse, è quello di The Invader, di Nicolas Provost, presente alla Mostra nella sezione Orizzonti. Il film racconta la storia di Amadou (Issaka Sawadogo), affascinante uomo africano, sbarcato sulle spiagge europee, che tenta di costruirsi una vita a Bruxelles. Lavorando duramente sotto il controllo di malavitosi africani,  Amadou perde ogni speranza di costruire un futuro , fino a quando non incontra Agnès (Stefania Rocca), ricca e sofisticata commerciante d’arte. Attratto da lei, Amadou decide di sedurla, illudendosi di trovare in lei quello che sta cercando. Quando Agnès tronca la relazione, le illusioni di Amadou si trasformano in ossessione, trascinandolo in una spirale di disperazione e violenza.

L’interesse del regista per un simile soggetto nasce dall’esperienza vissuta in Norvegia. Le difficoltà dell’integrazione e dell’accettazione dell’ondata d’immigranti che “invadono” l’Europa è un problema che diventa sempre più evidente. L’atteggiamento distaccato e freddo della gente, è una reazione che crea un muro di indifferenza che non consente alcun tipo d’integrazione.

Provost sceglie di raccontarlo dal punto di vista, distorto, di un ossessione, per evidenziare la disperazione di un uomo che cerca il suo posto nel mondo. Amadou si trova di fronte a una fredda e formale città del nord Europa, che gli è indifferente. Sin dalla prima inquadratura il regista suggerisce che la donna è la chiave d’accesso al nuovo mondo. Agnès rappresenta questo, ma la relazione tra i due è un diversivo esotico per lei, senza importanza. L’accesso al mondo borghese a cui appartiene la donna gli è precluso. L’ ostinazione di Amadou nel farsi accettare diventa così totale da superare i confini della credibilità. La dimensione paradossale e sopra le righe che il film lentamente prende, amplifica il senso di disperazione della condizione di estraneo del protagonista.