Everest, intervista a Josh Brolin

Ha aperto la 72° Mostra del Cinema di Venezia Everest, il kolossal diretto da Baltasar Kormàkur ed interpretato da un cast stellare composto da Jake Gyllenhaal, Jason Clarke, Emily Watson, John Hawkes, Josh Brolin, Keira Knightley, Robin Wright e tanti altri. Tratto dal saggio Into Thin Air di Jon Krakauer, la stesso autore di Into the Wild, Everest porta sul grande schermo la spedizione che nel 1996 costò la vita a otto persone. Una tragedia che, grazie alla Universal Pictures, Kormakur rappresenta attraverso un’opera ricca di emozioni. Emozioni che il regista Baltasar Kormakur e l’attore Josh Brolin hanno condiviso con noi, raccontandoci l’esperienza sul set, le difficoltà del progetto ed i legami instaurati durante le riprese del film.

Quale è stata la scena più difficile da girare?

Il regista voleva continuassi a ripetere una scena particolarmente difficile da girare. Non ne potevo più, avevo ormai la faccia piena di neve e mi chiedevo perché dovessi continuare a rifarla. La scena in questione è una di quelle sequenze rischiose che possono veramente venire male. Ma rivedendola sul grande schermo mi sono accorto che effettivamente funziona. La gente si commuove quando la vede. Fare questo film non è stato facile ma mi ha permesso di capire tante cose importanti. Non faccio questo mestiere per fare film che nessuno vuole vedere, ma per raccontare storie bellissime come questa.

Che cosa può raccontarci del suo personaggio?

Il mio personaggio all’inizio del film non è particolarmente simpatico, ma lentamente emerge la sua vulnerabilità e lo spettatore capisce che sta affrontando delle situazioni molto difficili.

Ha mai vissuto delle esperienze estreme?

Ho scalato alcune montagne in California, ho affrontato il freddo ma non ho provato nulla che si avvicini anche solo lontanamente a quello che ha vissuto Rob. Noi raccontiamo una storia e cerchiamo di simulare il più possibile la realtà per avvicinarci allo spettatore.

Everest Venezia 72

Nel corso della sua brillante carriera ha mai avuto paura di fallire?

So perfettamente cosa voglio. Il mio timore più grande è rendermi conto sul punto di morte di non aver fatto delle cose importanti. La paura di sbagliare c’è sempre. Anche quando ho girato Bush c’erano tante possibilità di fallire. Ero stressatissimo, avevo la faccia paralizzata dall’ansia. A volte ci guardavamo con Oliver Stone e ci chiedevamo “cosa stiamo facendo?”. Ma alla fine è andata bene.

Che cosa la gratifica di più come attore?

Per me la cosa più bella è lavorare con i fratelli Coen. Loro hanno uno stile particolare, ti mandano il miglior copione della tua carriera e ti invitano ad interpretare una parte con estrema tranquillità. Poi lavori una mezza oretta in cui ti sembra non succeda quasi nulla, ti danno l’ok e alla fine ti accorgi di aver fatto uno dei migliori film mai visti. Sono due registi estremamente intelligenti, girano in modo veloce, non ti fanno complimenti anche se realizzi la migliore scena della tua carriera ma sono unici.

Il film è riuscito a rappresentare realisticamente la storia originale?

Ci sono tante versioni di questa storia. Queste persone stavano sull’Everest dove le condizioni sono talmente estreme che non riesci più a ragionare. E’ normale che non ci sia una descrizione precisa di quello che accadde.