Festa del Cinema di Roma, incontro con Jude Law: “Fare l’attore è un privilegio”

Uno degli ospiti più attesi della decima edizione della Festa del Cinema di Roma era sicuramente Jude Law. Accolto calorosamente dal pubblico della Sala Sinopoli, il divo di Hollywood ha raccontato tanti aneddoti sulla sua carriera e sui ruoli che preferisce interpretare, svelando i retroscena di cult del cinema come A.I. – Intelligenza Artificiale, Era mio padre e Anna Karenina e regalando interessanti chicche sul rapporto con grandi artisti come Steven Spielberg,  Michael Caine e Paolo Sorrentino. Per scoprire qualcosa in più dell’attore che da oltre 20 anni incanta il pubblico mondiale con brillanti commedie come L’amore non va in vacanza, ottimi sci-fi come Gattaca e intensi noir come Closer, leggete qui sotto:

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Che ricordo ha del set di A.I. – Intelligenza Artificiale di Steven Spielberg?

Steven mi propose la versione ampliata dello script scritto da Kubrick. Stanley avrebbe dovuto produrre il film ma poco prima dell’inizio delle riprese morì. L’obiettivo fu quello di realizzare A.I. nel modo più fedele possibile alla visione di Kubrick. Per quanto riguarda Steven è un vero e proprio maestro del cinema. Ha diretto alcuni dei migliori film di sempre. Quando si lavora con un regista come Steven la paura di sentirsi un piccolo ingranaggio di una grande macchina è enorme. Ma in realtà Steven collabora molto con i suoi attori. Ad esempio il look del personaggio e le sue doti nel ballo sono idee mie. Uno dei film che preferisco di Steven è Incontri ravvicinati del terzo tipo. Già all’epoca mi avevano colpito quelle incredibili qualità per cui è diventato poi famoso.

Quando si rivede nei film del passato, sente mai il desiderio di cambiare qualcosa?

Ci sono tante cose che cambierei. Spesso però penso che in molti film avevo anche quindici anni di meno e non sapevo bene cosa fare.

Che approccio segue quando interpreta personaggi esistiti realmente?


Da teenager cercavo di seguire l’istinto piuttosto che le indicazioni del regista. Ora ho capito che è importante educarsi e imparare qualcosa di un mondo sconosciuto. È una sorta di viaggio di istruzione. Anche se credo che la cosa più importante per un attore sia capire cosa il regista voglia.

È più divertente interpretare il buono o il cattivo?

Quando interpreti un personaggio non puoi giudicarlo. Nessun cattivo poi si ritiene tale. C’è un sottile equilibrio da trovare indagando i lati oscuri dei personaggi positivi e viceversa. Personalmente poi credo che il divertimento su un set dipenda da tante cose come le persone con cui si lavora o il progetto. Mi sento molto fortunato a fare questo mestiere. Fare l’attore è un privilegio e se non mi diverto c’è qualcosa che non va.

Come è stato lavorare con Paolo Sorrentino?

Adoro tante sue opere, in particolare modo La grande bellezza. Quando mi è arrivata la sceneggiatura di Il giovane Papa ho subito colto l’opportunità. Sono qui a Roma da agosto, interpreto un Papa americano non realmente esistito. Un ruolo interessante ma un po’ scomodo perché per non sgualcire il costume di scena mi tocca stare 14 ore senza sedermi mai.

Che cosa ha imparato da un grande attore come Michael Caine?

Incontrai Caine qualche anno prima di Sleuth. Parlammo della versione originale con Laurence Olivier e sviluppammo un elenco di persone che avrebbero osato mettere mano alla sceneggiatura di un remake. Harold Pinter accettò, così mi trovai sul set con Caine e Pinter.

Che cosa ricorda del set di Era mio padre di Sam Mendes?

Quando ho lavorato in Era mio padre, Sam aveva già realizzato American Beauty. Di lui ricordo l’occhio acuto nella esplorazione dei personaggi e la straordinaria attenzione ai dettagli. Inoltre in quel film c’erano attori di spessore recitativo e fisico come Tom Hanks, Daniel Craig e Paul Newman. Sapevo che il confronto sarebbe stato duro così decisi di dimagrire per dare al mio personaggio uno spessore tutto suo.


Per interpretare Anna Karenina si è basato sul libro originale o sullo script del film?

Ho letto lo script e ho visto altre versioni cinematografiche della storia. Mi ha affascinato il modo in cui lo sceneggiatore ha puntato sull’aspetto intimistico del lavoro non polarizzando i personaggi. Ad esempio il conte Karenin non viene rappresentato come cattivo. Poi ho letto anche il libro e ho ancora più apprezzato lo script. Molti mi hanno ringraziato perché finalmente il mio personaggio è stato riscattato.

Ha trovato delle differenze nel lavorare con registi di nazionalità diverse?

A prescindere dalla nazionalità dei registi molti dei film che ho girato avevano dei grandi budget mentre altri avevano mezzi più ridotti. È sempre importante lo spirito con cui si affronta un progetto perché il budget non è poi così importante quando si fa un film in cui si crede. In ogni caso la cosa che conta di più è la personalità dei registi. Dopotutto i film sono dei registi che li fanno.

Perché ha dichiarato che il suo film preferito è La morte corre sul fiume?

Mia madre mi mostrò questo film quando avevo sedici anni. Ero già innamorato del cinema ma La morte corre sul fiume mi fece capire che anche nel cinema è possibile trovare una teatralità. Noi attori siamo sempre tentati di far apparire la scena nel modo più realistico possibile. È un discorso interessante ma non dobbiamo sottovalutare l’importanza della teatralità. Amo questo film perché c’è un sottile equilibrio tra la realtà della storia e l’involucro fiabesco.