The Program, Ben Foster a Roma: “Mi sono dopato davvero per fare Lance Armstrong”

Dopo The Queen e il commovente Philomena, il regista Stephen Frears torna al cinema con The Program, il film che racconta una delle truffe più significative del mondo dello sport intorno alla figura di Lance Armstrong, sette volte campione del Tour De France. Considerato un eroe, un esempio per il mondo, prima di essere scoperto come un grande truffatore. Dopo aver sconfitto il cancro, Armstrong torna in bicicletta e vince addirittura sette Tour de France, diventando il più grande ambasciatore del suo sport e un simbolo di rinascita. Con la revoca di tutti i titoli e la condanna per doping il mito viene distrutto. Frears ha cercato di fare un atto di accusa non contro un uomo ma contro una cultura perchè in fondo noi abbiamo creato Lance Armstrong” ha sottolineato l’attore Ben Foster durante la conferenza stampa del film a Roma. Quest’ultimo regala un’ottima interpretazione nei panni del campione americano di ciclismo per un film ispirato al libro di David Walsh, anche se il regista ha confessato di aver scelto di affrontare questa storia dopo aver letto il libro Vincere a qualsiasi prezzo di Tyler Hamilton, ciclista e compagno di squadra di Armstrong che si è dopato insieme a lui. Per entrare nel personaggio e studiare il suo ruolo, Ben Foster ha provato sulla sua pelle il programma di doping: “Non ho mai corso sulla bici con le scarpe adatte, ho imparato molto ma posso dire che il doping funziona. Ha cambiato il mio corpo molto rapidamente e insieme ad un programma di allenamento ti permette di andare oltre e più velocemente. E’ difficile poi fermarsi e smettere di prendere quelle sostanze ed è necessario un controllo medico più attento”.

Non ho provato a contattare direttamente Lance Armstrong perché intanto è uno che dice bugie. Da quello che so di lui tende molto a controllare le cose e le persone quindi sicuramente non avrà gradito il film così come è venuto fuori” ha dichiarato ironicamente Frears, mentre Foster ha provato a saperne di più senza successo: “Ho cercato di contattarlo e raccogliere più informazioni possibili sulla storia, ma lui non è ha voluto sapere di parlare con me. Abbiamo avuto sei settimane per prepararci a questo film, ho dovuto imparare anche ad andare in bicicletta, ho dovuto approfondire gli aspetti legati alla nutrizione e tutti i particolari per assomigliare a lui. Poi, per mia scelta personale, sotto stretto controllo medico, ho fatto veramente un programma di doping per capire meglio il mondo che dovevo rappresentare“. The Programnon è un biopic ma una crime story” come tiene a precisare il regista, ma è interessante vedere questo protagonista così diviso tra bene e male per una natura duale che da una parte affascina e dall’altra inquieta. “Armstrong era intelligente e nello stesso molto stupido, era sopravvissuto al cancro e faceva molta beneficienza ma dall’altra parte faceva il resto. Era un santo e diavolo insieme” sottolinea Frears, anche se Foster precisa che “Su 18 corridori magari solo uno era pulito. Anche gli altri intorno a lui erano tutti personaggi oscuri e mentivano, quindi per lui provo sentimenti contrastanti. Ha raccolto molti soldi per la ricerca contro il tumore e credo lo abbia fatto con la parte sincera del suo cuore. Non ha fatto solo cose negative, ma nel film Frears ha cercato di fare un atto di accusa non contro un uomo ma contro una cultura. Noi abbiamo creato Lance Armstrong“.

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Alla base di questa storia vi è una cospirazione del silenzio, poichè esisteva un’omertà diffusa in quel periodo nel mondo del ciclismo come di altri sport. Il film racconta il grande imbroglio in cui è stato coinvolto tutto il mondo, ma non viene approfondita la vita privata dell’atleta: “Non sapevo molto sulla sua famiglia, ma non ho trovato molti dettagli sulla sua vita privata che potessi usare nel film. Era sposato con Sheryl Crow, ma poi per il resto non si sapeva molto… Era interessante forse chiedersi se le donne della sua vita sapessero del doping. Tuttavia non volevo fare un biopic ma una crime story” ha detto Frears, un regista che ama spaziare nei generi scegliendo di raccontare personaggi ispirati alla vita reale soprattutto negli ultimi anni. “Se leggi il giornale trovi di tutto e il pubblico è più affascinato dalle storie ispirate alla vita reale perchè riesce ad empatizzare di più. Oggi Audrey Hepbrun e Cary Grant non lavorerebero più ed è triste perché io preferisco l’immaginazione e fantasia. Ma oggi molti film partono da storie vere e anche io sono colpevole di questo” ha precisato, aggiungendo poi poche parole sul suo prossimo film: Ho appena finito un altro film che parla del peggior cantante esibitosi al Carnegie Hall. Per la mia carriera ho la fortuna di non essermi mai considerato un autore”.