Turner, il lato umano di un artista difficile

Arriva in Italia Turner, l’attesa opera di Mike Leigh sul grande pittore britannico, candidata a quattro Oscar, che ha già visto premiato a Cannes come migliore attore il protagonista Timothy SpallTuner non è un biopic, come il regista tiene a sottolineare, ma un film che scava in un periodo preciso della vita dell’artista, quegli ultimi anni in cui gli elementi innovativi della sua pittura lo spinsero oltre un punto di non ritorno, esponendolo all’incomprensione dei più.

Turner recensione

Il taglio impresso da Leigh è fortissimo e la sua angolatura di sguardo si rivela, come sempre, attenta agli aspetti più crudi e fragili del personaggio. Emergono così i tratti più controversi del carattere del pittore, in un intrecciarsi di ordinario e straordinario che allontana questo lavoro da qualunque stereotipo del film in costume, creando intorno alla figura di Turner un coro di personaggi di grande spessore e un cast di straordinario livello, che delinea un forte quadro sociale. La fotografia è strepitosa, coglie il sublime che si esprimeva nell’arte di Turner, e la ricerca del dettaglio è accuratissima, quasi maniacale, perfetta non solo nelle ambientazioni e nei costumi, ma anche nell’analisi linguistica e degli accenti della versione originale. Nonostante questo, il film ci immerge presto nella dimensione più umana di un Turner dal carattere difficilissimo, dalla totale costrizione emotiva, che si esprime quasi a grugniti, nella grande interpretazione di Spall: in realtà fragile come un fanciullo nello strettissimo rapporto con il padre William (il bravissimo Paul Jesson), l’artista era sensibile verso i deboli, e aveva un rapporto estremamente complesso con le donne. Spietato e distante verso la prima compagna mai sposata (Sarah Danby, interpretata da Ruth Sheen), madre delle sue due figlie mai considerate, Turner vive un’intimità quasi animalesca con la domestica gobba Hannah (Dorothy Atkinson, quasi irriconoscibile per chi l’aveva seguita in Call the Midwife), ed esprime invece tutta la sua ricchezza interiore nella lunga relazione con la vedova Sophie Booth, interpretata da Marion Bailey (già vista con Leigh nel Segreto di Vera Drake) con una profondità e una ricchezza di sfumature che strappano applausi.

Intorno a loro, ruota tutto il mondo dell’arte ufficiale, i pittori contemporanei, dal famoso Constable ai minori che si arrabattano in cerca di un’ammissione alla Royal Accademy, organismo ufficiale e immobilista che decreta la fama e dunque il successo economico degli artisti, resi magistralmente da un cast di attori che Leigh ha voluto anche capaci di dipingere, nella sua ricerca di aderenza al vero. Turner, che è uomo benestante ed affermato, e che fa parte dell’entourage più esclusivo, spinge però la sua ricerca oltre i limiti del momento storico, e si pone talmente in anticipo da essere fuori dal tempo. La sua immersione nella Natura è totale, la sua ricerca della luce, del senso più profondo del colore, lo spingono a viaggi ed escursioni nei luoghi più selvaggi, scogliere e mari in burrasca (indimenticabile la scena in cui si fa legare alla cima dell’albero maestro di una nave durante una tempesta, per osservarla dall’interno).

Turner filmLe immagini di questi luoghi naturali interrompono come lampi la narrazione, quadri di luce che innestano autentiche particelle di sublime nell’ordinario della descrizione della vita del pittore. E forse avrebbe giovato al film, di lunghezza notevole, un buon taglio di certe parti narrative a favore di questo aspetto, che pure Leigh sa rendere di lancinante bellezza. E come il racconto si apriva su un’alba di spettacolare vividezza, si chiude su un tramonto che non è una fine ma una promessa, nel grido con cui Turner esplode un attimo prima di morire: “Il sole è Dio!”. Ciò che infine resta sono i suoi quadri, che con lungimiranza di totale contemporaneità il pittore volle donare alla nazione britannica perché fossero gratuitamente a disposizione di tutti, e, nel film, i ricordi di momenti straordinari con un uomo al di fuori dell’ordinario, che passano negli occhi mobilissimi di Marion Bailey.

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