Free state of Jones, la ribellione armata di Matthew McConaughey

A distanza di diversi mesi dalla sua uscita americana, e dopo una accoglienza da parte della critica specializzata più tiepida del previsto, arriva anche nelle nostre sale il nuovo Free state of Jones, ritorno sul grande schermo di Matthew McConaughey nei panni del guerrigliero Newton Knight, in lotta contro le truppe confederate americane. La pellicola, diretta da Gary Ross (il regista del primo capitolo della saga cinematografica di Hunger Games), racconta però molto più della storia di un contadino che decide di ribellarsi con le armi ai soprusi e alle ingerenze di un esercito che nega i diritti fondamentali, riuscendo nel tentativo di attualizzare e universalizzare una lotta che è ancora oggi quella di tanti cittadini.

L’importanza della costituzione

Ma se il rischio era quello di appiattire la narrazione sul cinema storico più commerciale e moraleggiante, Ross confeziona una pellicola affascinante e ricca di spunti interessanti, giocando su diversi piani temporali (non certo una scelta usuale per un lavoro di questo genere). Free state of Jones parla di libertà e di costituzione in un momento della storia americana in cui questi due elementi sono messi in forte discussione. Il regista statunitense ci ricorda intelligentemente che quella costituzione per cui si è tanto lottato, che garantisce i diritti acquisiti con la guerra civile e con la morte, non è stata ancora del tutto applicata, e per questo gli insegnamenti di Knight sono destinati a sopravvivere al suo corpo.

Troppo lungo?

Nonostante la grande prova di McConaughey, ripreso ancora una volta nel suo aspetto più emaciato e ruvido, 139 minuti di pellicola rimangono forse un po’ eccessivi e pesanti da digerire, così come alcune lungaggini che potevano essere sapientemente tagliate. La storia raccontata è però di fondamentale importanza per capire le storture moderne, e il regista di Hunger Games riesce nel difficile compito di renderle onore, non cadendo in facili lezioncine.

Free state of Jones rischia in alcuni momenti di cedere il fianco alla sua anima più convenzionale, quella che scorre via senza particolari guizzi, ma trova la sua giusta dimensione nella parte finale, quando il regista palesa il suo tentativo di non limitarsi a raccontare un preciso momento storico, bensì di analizzare le conseguenze attuali di quelle battaglie per i diritti. E questa analisi giunge alla conclusione che, nonostante il sangue versato e gli uomini che si sono sacrificati, i diritti oggi sono scritti sulla carta ma disattesi nella quotidianità, impedendo alle persone di condurre la propria esistenza nella massima libertà.

Perché la “storia non si ferma davvero davanti a un portone”: le battaglie sono destinate a durare in eterno e ci sarà sempre un nuovo momento in cui sarà necessario imbracciare il fucile, metaforicamente e letteralmente parlando.