Fuocoammare, la Lampedusa di Gianfranco Rosi: “Dopo l’Olocausto la tragedia più grande”

Si tratta della più grande tragedia dopo l’olocausto e ne siamo tutti responsabili”. Così Gianfranco Rosi ha introdotto il suo nuovo film Fuocoammare alla conferenza stampa della Berlinale 2016. Dopo il Leone d’Oro alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con Sacro G.R.A. il regista italiano ha presentato in anteprima a Berlino questo documentario intimo ed onesto sul problema dell’immigrazione che sarà nelle sale italiane a partire dal 18 Febbraio. “E’ un film politico a prescindere da tutto. Siamo bombardati da immagini e notizie sull’argomento e la politica deve assumersi la responsabilità di queste persone che muoiono attraversando il mare per fuggire da una guerra, e trasformano il mare in una tomba. Noi siamo consapevoli e colpevoli di un crimine” ha aggiunto richiamando gli applausi della numerosa stampa internazionale presente.

Il piccolo Samuele Pucillo vive a Lampedusa. Va a scuola, esce in barca con il padre e gioca con la fionda, la sua grande “passione”. Con la sua estrema naturalezza e quotidianità dona ritmo al film, mentre parallelamente il dottor Pietro Bartolo ci racconta da vicino la situazione dell’isola siciliana toccata dal fenomeno degli sbarchi sempre più numerosi dalla Siria, Eritrea, Sudan e altre parti del mondo vittime di una guerra implacabile. Un problema che ha colpito non solo l’Italia ma il cuore dell’Europa con immagini forti e dirompenti, che “lasciano un buco nello stomaco ed alimentano i peggiori incubi” come ha dichiarato lo stesso Bartolo visivamente commosso. “Dal 1991 mi occupo di immigrazione e ne ho viste di tutti i colori. Tanti bambini morti e donne violentate. Ricordare è brutto, ma spero che in questo modo con i film e gli articoli, si possa sensibilizzare qualcuno che può fare qualcosa per questo problema di portata epocale per l’Europa. Un muro o un filo spinato non ferma questa gente, le cinte si mettono solo agli animali. Nessuno vuole lasciare la propria terra se non è costretto. La responsabilità non è soltanto dell’Italia o dell’Europa, ma delle potenze che gestiscono questo a livello mondiale”. Il racconto di Rosi risulta inedito nonostante le numerose visioni di questo problema sociale e politico nel corso degli anni (basti ricordare Terraferma di Emanuele Crialese), grazie ad una narrazione che profuma di realismo e abbraccia una dimensione intimista ed emotivamente coinvolgente, senza entrare nel dettaglio delle dolorose storie dei protagonisti di quel viaggio terribile. I sogni e le speranze di molti uomini, donne e bambini sono stati inghiottiti dal mare senza alcuna pietà, mentre i più fortunati sono riusciti a raggiungere le coste italiane in condizioni critiche. Questo film documentario riunisce diversi punti di vista per un fine unico e fondamentale: arricchire la riflessione sul fenomeno migratorio, un tema su cui le politiche nazionali europee si interrogano senza trovare una vera soluzione. 

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Rispetto all’ultimo Sacro G.R.A. la regia di Gianfranco Rosi appare più definita e convincente. La telecamera resta ipnotizzata dagli sguardi profondi ed irrimediabilmente feriti degli immigrati, tormentati dal passato e spaventati dal futuro. L’ottima fotografia regala momenti di riflessione e poesia per un film “girato per autofecondazione, senza una riga di sceneggiatura” sullo sfondo di una Lampedusa nuvolosa e rurale con echi d’Irlanda. Ogni scena prende vita con intimità e totale libertà senza farsi sedurre da scontati pietismi, raccontando una vera e propria tragedia con gli occhi di un bambino. “Il mondo non vuole confrontarsi direttamente con quello che succede fuori dall’acqua” mentre migliaia di corpi spariscono per sempre in quel blu tanto piacevole da guardare quanto spietato nelle sue profondità.

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