Il western secondo Quentin Tarantino: amore e furto

La filmografia di Quentin Tarantino, fin dal suo folgorante esordio con Le Iene, si è sempre basata sulla reinvenzione di generi e stilemi del cinema passato, con operazioni in bilico tra citazionismo e revisionismo, tra classico e moderno. Era inevitabile, quindi, che il regista americano finisse per confrontarsi con uno dei generi che per primo indagò sulla potenza visiva e cinematografica del sangue e della violenza, quello dello spaghetti western italiano. E’ per questo che nella prima opera “di frontiera” di Tarantino, Django Unchained, come ammesso dallo stesso regista, “c’è Non predicare… spara!, c’è Boss Nigger, ci sono gli spaghetti western, ma anche i western americani, e i black western”. E’ chiaro, quindi, che, senza la lunga tradizione italiana di western e pellicole di avventura, senza quella ricerca sulla violenza come mezzo estetico, un regista come Quentin Tarantino non sarebbe probabilmente mai esistito. Vera e propria fonte di ispirazione per il western postmoderno di Tarantino, per i suoi film “testamento di un genere e di un’epoca” destinata a concludersi, è sicuramente la vasta filmografia del talento italiano Sergio Corbucci, il cui Django è naturalmente alla base di questo remake hollywoodiano. Ma non solo, anche un film come Il mercenario, sempre di Corbucci, viene chiaramente richiamato nella scena in cui una pallottola sparata dal dottor Schultz raggiunge il cuore di Calvin Candie passando attraverso il fiore appuntato sulla giacca. Inoltre, uno dei saloon dove entrano Django e Schultz porta proprio il nome di Minnesota Clay, omonimo film di Corbucci del 1964.

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Ma Tarantino saccheggia con furbizia e abilità gli stratagemmi visivi e registici di un grande maestro come Sergio Leone, anche lui, come molti “giganti”, dedito all’arte del “furto”, inteso come rielaborazione di temi e situazioni in forme nuove e originali. Il suo Per un pugno di dollari, infatti, vero caposaldo del genere, è una ideale (e non autorizzata) rivisitazione de La sfida del samurai di Akira Kurosawa (anche lui richiamato in Django con la esilarante scena dei cavalieri incappucciati nella nebbia). Tarantino omaggia Leone in diverse sequenze, come quella in cui la fragorosa esplosione della villa interrompe gli ultimi insulti che Stephen rivolge a Django, richiamando la celebre scena conclusiva de Il buono, il brutto e il cattivo, dove le ingiurie di Eli Wallach verso “il biondo” vengono interrotte dalle suggestive note della colonna sonora di Ennio Morricone. Nella stessa sequenza, inoltre, poco prima del botto, Broomhilda si tappa le orecchie proprio come Juan Miranda, il personaggio interpretato da Rod Steiger nel film di Leone Giù la testa. Questa ultima opera è richiamata anche nel momento in cui lo scagnozzo della miniera LeQuint Dickey, interpretato proprio da Quentin Tarantino, muore in una maniera molto simile a quella con cui esce dalle scene uno degli uomini di Miranda in Giù la testa. Ma Tarantino non si limita a omaggiare Leone esclusivamente attraverso riferimenti e citazioni, bensì riprendendo molto della sua tecnica registica, dalle stravaganti posizioni della macchina da presa, con personaggi spesso inquadrati dietro un cappio da impiccagione, ai primissimi piani durante i combattimenti. Leone e Corbucci furono i primi a sdoganare nel cinema western la figura degli “anti eroi”, personaggi deboli nei confronti della corruttibilità e della sete di denaro, in contrapposizione con i Gary Cooper e gli John Wayne del cinema western anni ’60, combattenti senza macchia sempre ligi al dovere e alla morale.

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Di fondamentale importanza nella costruzione del recente Django Unchained è stato inoltre il lavoro del nostro “terrorista di generi” Lucio Fulci. Un esempio particolarmente emblematico è sicuramente il piccolo cult spaghetti western de Le colt cantarono la morte… e fu tempo di massacro, probabilmente una delle pellicole più crude e violente nella storia del cinema western nazionale. La scena delle frustate inflitte dal protagonista tarantiniano ad uno dei poveri malcapitati fratelli Brittle richiama direttamente una delle sequenze più conosciute del film di Fulci, quella della flagellazione a colpi di frusta subita dal personaggio interpretato da Franco Nero. Ma ancora, la morte dello schiavo D’Artagnan, sempre in Django Unchained, è fin troppo simile alla scena iniziale di Tempo di massacro, in cui un peones viene inseguito e sbranato da un branco di cani affamati. Il sottofondo politico dei film tarantiniani, il razzismo di Django Unchained e la guerra civile sudista in The hateful eight, richiama invece la concezione “sociale” e “civile” del cinema di Sergio Sollima, di cui è esempio emblematico la trilogia western con protagonista Tomás Milián. Sollima racconta infatti di un povero messicano che, come Django contro gli sfruttatori e i negrieri, è impegnato nella sua personale vendetta contro i ricchi oppressori americani.

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