La Foresta dei Sogni, la recensione del nuovo film di Gus Van Sant

Quando si decide di porre fine alla propria esistenza terrena, è difficile immaginare di avere la freddezza di scegliere persino il posto ideale su internet. Eppure migliaia di persone ogni anno raggiungono Jukai, una fitta foresta alla base nord-occidentale del Monte Fuji in Giappone proprio con questo scopo, dopo averlo trovato come primo risultato di Google digitando “a perfect place to die”. Chissà come lo ha scoperto Gus Van Sant che ha deciso di costruire intorno a questo luogo il suo ultimo film, La Foresta dei Sogni, presentato in anteprima al Festival di Cannes del 2015 con scarso successo e nelle sale italiane dal 28 Aprile. 

Matthew McConaughey è Arthur Brennan, un professore universitario che da qualche tempo non ha un buon rapporto con se stesso e con sua moglie, interpretata da Naomi Watts. La loro relazione ha subito un duro colpo e sembra un’impresa ardua ritrovare l’armonia e l’amore di un tempo, fino ad una grave malattia diagnosticata alla donna. Questa notizia tristemente inaspettata sconvolge Arthur, mettendolo di fronte alla realtà dei suoi sentimenti e della sua vita, fino a condurlo all’altro capo del mondo, in Giappone, nella foresta fitta e misteriosa di Aokigahara, nota come “la foresta dei sogni”, situata alle pendici del Monte Fuji. Sconvolto dal dolore della perdita, egli penetra nella foresta e vi si perde, insieme al giapponese Takumi Nakamura (Ken Watanabe), che, come lui, sembra aver perso la strada.

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Il regista di Paranoid Park e L’Amore che Resta torna ad affrontare l’eterno conflitto tra la vita e la morte, analizzando l’amore e la perdita come sentimenti principali che incidono sull’esistenza del protagonista. Per gran parte del film si respira un’influenza della cultura orientale, che porta la storia su un piano narrativo sospeso tra la realtà e l’immaginazione, ingannando piacevolmente lo spettatore. La Foresta dei Sogni risulta un film drammatico che emoziona, commuove e incuriosisce, ma il suo punto debole è la sceneggiatura che spesso propone soluzioni inverosimili e dialoghi poco lineari, che indeboliscono i vari personaggi coinvolti. Non serve dire che il cast regala ottime interpretazioni, anche se è messo a dura prova da una materia forse troppo complessa da affrontare con il registro stilistico scelto. Il cuore del film è in due relazioni: quella di una coppia in rotta di collisione che prova a ricomporsi in seguito al dolore, e l’interessante confronto tra Arthur e Takumi apparentemente uniti da un destino comune, che combattono insieme per ritrovare la voglia di ricominciare. Un’avventura drammatica profondamente umana che vale la pena di vivere nonostante qualche nota stonata.

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