La sindrome di Antonio, sulle orme di Platone nella Grecia dei colonnelli

Arriva nelle sale italiane La Sindrome di Antonio, lungometraggio diretto da Claudio Rossi Massimi e tratto dal suo omonimo romanzo pubblicato nel 2005 (leggi qui la nostra intervista). La pellicola mette in scena il viaggio del giovane Antonio Soris (Biagio Iacovelli), nel settembre del 1970, sulle orme di Platone nella Grecia dei “colonnelli”, per scoprire cosa si nasconde oltre quella grotta in cui siamo confinati, e cosa c’è dietro quelle ombre che erroneamente consideriamo realtà.

Durante il suo pellegrinaggio Antonio incontrerà una affascinante ragazza, Maria (Queralt Badalamenti), di cui si innamorerà perdutamente, così come tanti compagni di strada che lo aiuteranno a capire meglio la condizione di un Paese che cerca di sopravvivere alla tirannia spietata di un regime autoritario nato con lo scopo di annullare ciò che gli stessi greci hanno inventato millenni fa: la democrazia.

la sindrome di antonio film

La poesia dei personaggi e i limiti del racconto

Ma il passaggio da romanzo a grande schermo non è mai facile o immediato, e qualcosa per strada rischia di perdersi se non si riesce a trovare il giusto equilibro fra narrazione per immagini e sceneggiatura. La sindrome di Antonio conserva la sua natura letteraria in una forse troppo eccessiva verbosità, rendendo così alcuni dialoghi improbabili e artificiosi e alcune scene inutilmente cariche e pesanti. Il film di Claudio Rossi Massimi trova invece la sua giusta dimensione nel momento in cui entrano in scena i pittoreschi personaggi di un racconto dalle atmosfere quasi oniriche e mitologiche: dal Vassilis interpretato da Antonio Catania, zoppo proprietario di una locanda, al ristoratore greco un po’ filosofo con le sembianze di Moni Ovadia, passando per il pittore silente Klingsor interpretato da Giorgio Albertazzi, alla sua ultima apparizione sul grande schermo prima della sua scomparsa.

La poesia di questi uomini fuori dagli schemi e fuori dal tempo riesce a trasmettere le speranze di un Paese che non ha mai smesso di lottare e di sognare nonostante la dittatura. Una situazione che oggi, pur in un contesto differente, i greci son tornati a vivere dopo tanti anni, strozzati da manovre economiche che si sono rivelate fallimentari e disillusi nei confronti di una rivoluzione politica che è finita per infrangersi contro il muro dei poteri centrali, quella di Tsipras ora come quella sessantottina che fa da sfondo alle vicende del film. La sindrome di Antonio mantiene le caratteristiche dei buoni libri, e vive grazie ai suoi momenti più piccoli e impercettibili, come la scena emblematica nel locale greco che propone solo musica straniera, segno di una dittatura che opera anche attraverso la sottrazione della cultura e la omologazione della tradizione.

La sindrome di Antonio Giorgio Albertazzi

La passione che anima il viaggio

Il lavoro di Claudio Rossi Massimi però fallisce nel tentativo di comunicare queste suggestioni interessanti attraverso un impianto visivo convincente, che invece si appiattisce su di una regia priva di guizzi e apparentemente più adatta al mondo televisivo che a quello cinematografico. Neanche le apprezzabili interpretazione dei due protagonisti, e la magnetica presenza scenica di Queralt Badalamenti, riescono a colmare una lacuna che grava sulla efficacia di tutta questa operazione. Non ci resta che augurare buona visione a tutti coloro che decideranno di affiancare Antonio nel suo viaggio, abbracciando la genuinità e la passione dietro il suo racconto, e sorvolando su di una narrazione ancora troppo ancorata alle pagine scritte piuttosto che al linguaggio del grande schermo.

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