La Tartaruga Rossa, la recensione della prima co-produzione europea dello Studio Ghibli

Parallelamente ai tanti incontri con autori e disegnatori, Lucca Comics & Games è anche occasione per i tanti appassionati di assistere alle anteprime cinematografiche delle pellicole in arrivo nel nostro Paese. Dato il focus principale sul mondo del fumetto, ampio spazio è stato riservato in questa edizione 2016 ai lavori di animazione. Nella giornata inaugurale la BiM Distribuzione ha presentato ai tanti spettatori accorsi al Cinema Centrale della città toscana il nuovo lavoro del regista olandese Michaël Dudok de Wit: La Tartaruga Rossa, prodotto in collaborazione con lo Studio Ghibli e vincitore del Premio speciale Un Certain Regard allo scorso Festival di Cannes.

Il tema della simbiosi con la natura, della primitiva immedesimazione con gli elementi di un mondo incontaminato, è da sempre particolarmente caro al mondo della animazione giapponese, data la soffocante società tecnologica che guida il mondo del Sol Levante e i fantasmi di tragedie recenti come quella di Fukushima che inseguono gli abitanti di un Paese ricco di contraddizioni. Forse è proprio per questa ragione che il più grande e conosciuto studio di animazione giapponese ha deciso di produrre questa opera in gran parte europea, che riflette sulla natura umana e sull’ esistenza delle persona, degli ostacoli da superare e dei sogni da poter realizzare.

the red turtle

La natura dà, la natura toglie

Un naufrago cerca disperatamente di fuggire dalla desolata isola su cui è relegato, ma dovrà scontrarsi con un misterioso animale marino che cercherà di affondargli la zattera costringendolo a numerose ritirate. Da quel fastidioso animale nascerà però una bellissima donna, che inizierà il confuso protagonista verso una esperienza carnale con la natura che lo circonda, e che gli donerà un bambino, dalle ali forti come quelle dei gabbiani che sorvolano il mare e con la libertà di una tartaruga che nuota nelle profondità degli abissi.

Lo scenario è lo sconfinato oceano di Ponyo, ma a differenza di quanto si possa immaginare, natura e uomo non sono analizzati in maniera dualistica e contrapposta, bensì due mondi che possono convivere in un rapporto inevitabile. Un rapporto che vedrà però sempre la natura vincere con la propria forza dirompente su di un uomo che nulla conta al di fuori del suo personale microcosmo. Il naufrago protagonista non ha nulla di diverso, infatti, dai minuscoli granchi che lo seguono nella speranza di una mollica di cibo: anche lui lotta per la sopravvivenza e anche lui deve fare i conti con i pericoli che lo attendono in agguato. Nonostante ciò, non è mai intelligente sfidare la natura, bensì è sempre consigliabile assecondarla e piegarsi alle sue regole, più grandi di noi. La Tartaruga Rossa segue le tracce di Rousseau, per virare in alcuni momenti sulla concezione più feroce di Werner Herzog: la natura dà, la natura toglie.

la tartaruga rossa film

La vera forza del lungometraggio è quella di trasmettere il proprio magnetismo attraverso uno stile artistico e visivo asciutto quanto essenziale, ma allo stesso tempo ricco di sfumature nel passare da una colorazione a quella diametralmente opposta, dal blu acceso del mare e del cielo al grigio apatico della notte. Il film di Dudok de Wit è una pellicola completamente priva di dialoghi, ma per la naturale universalità del disegno e degli argomenti trattati riesce nel difficile compito di coinvolgere lo spettatore, con grande merito di una colonna sonora meravigliosa. Nonostante tutto questo, La Tartaruga Rossa è anche un’opera che si avvolge su se stessa, indugiando dove avrebbe dovuto lasciare il mistero, e toccando solo tangenzialmente aspetti che invece avrebbero meritato ulteriori analisi.

Attenzione verso il minuscolo

Ma questa produzione Ghibli è soprattutto un film che vive di piccole scene e brevi momenti: dalle tartarughine che cercano di entrare in acqua affrontando le onde che le riportano a riva al granchio che, scampato dalla curiosità del bambino, viene fatalmente raggiunto da un gabbiano affamato. Questa attenzione verso il minuscolo, per la natura nella sua totalità, dalla vastità del mare al ragnetto più insignificante, è certamente il fascino maggiore di una pellicola così complicata quanto forse eccessivamente prolissa. Quella che infatti sarebbe stata una grande idea per un cortometraggio risulta decisamente meno efficace con una durata (pur relativamente breve) di ottanta minuti, lasciando spazio a sequenze di riempitivo che interrompono quel misterioso quanto enigmatico incantesimo che il film cerca di instaurare con lo spettatore.

Ma indagando oltre, ciò che stupisce veramente è il dipinto di una natura incontrollabile e imprevedibile, in grado di consolarti e aiutarti anche quando non la rispetti (la comparsa magica della donna dal cadavere della tartaruga uccisa per frustrazione) ma anche di distruggerti quando meno te lo aspetti (lo tsunami che travolge la foresta). Quella tartaruga che come Lo squalo di Spielberg si avvicinava da sotto le acque per attaccare il malcapitato naufrago si rivela essere in realtà la salvezza dello stesso protagonista, che riuscirà a trovare la propria completezza nella più totale povertà e mancanza. Una sottrazione che si fa ricchezza, un tormento che si fa amore.

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