L’Arrivo di Wang, la recensione

Ieri a Venezia sono sbarcati nientemeno che gli alieni. Sono infatti approdati al Lido i Manetti Bros. con il loro quinto film per il grande schermo, L’Arrivo di Wang, inserito nella sezione Controcampo Italiano.

Il lungometraggio vede Gaia (Francesca Cuttica), un’interprete di cinese, chiamata per una traduzione urgentissima ed in totale segretezza. L’incarico ha da subito qualche stranezza, ma la faccenda si fa ancora più oscura quando la ragazza verrà bendata per raggiungere il luogo dell’incontro. A volerla in quell’incarico era stato Curti (Ennio Fantastichini), un agente segreto privo di scrupoli, che deve interrogare il fantomatico signor Wang, impossibilitato a comunicare con loro per via del cinese, unica lingua in grado di parlare. Proprio per via della segretezza, l’interrogatorio inizialmente avviene al buio ma Gaia non riesciendo a tradurre bene decide di porre un limite o verrà fatta chiarezza, nel vero senso della parola o smetterà di collaborare. Ma quando la luce verrà accesa, Gaia si trova di fronte l’inimmaginabile, se le sue ipotesi riguardo l’identità della misteriosa persona erano oscillate tra un possibile terrorista ed un ricercato, bhè davanti a lei si troverà qualcosa di ancora più sconvolgente, un essere proveniente da un altro mondo.

Esatto, i Fratelli Manetti con questo film hanno deciso di parlare di alieni e quindi di azzardare e percorrere la strada del film di genere, in questo caso fantascientifico, quando in Italia purtroppo la fantascienza è considerata un filone di serie B. Eppure, grazie agli effetti speciali curati dalla Palantir Digital e da un team composto dalle più grandi menti degli effettisti italiani ma da sempre trapiantati all’estero per mancanza di lavoro nel Bel Paese, L’Arrivo di Wang non ha nulla da invidiare alle mega produzioni americane, con effetti curati nei minimi dettagli ed una risoluzione veramente alta, basti pensare che al gruppo di lavoro ha collaborato anche uno degli artefici di Avatar di James Cameron.

Ma tralasciando l’aspetto tecnico, il film racconta fondamentalmente l’incontro/scontro tra tre individui. È una storia psicologica di tensione in cui tre personalità enormemente diverse si confrontano manifestando a poco a poco le proprie caratteristiche. Il concetto è chiaro, il dialogo lo riusciranno ad instaurare meglio la ragazza e l’alieno piuttosto che i due esseri umani, questo a metafora di come chi ci è accanto tutti i giorni possa essere più diverso di chi viene da un altro pianeta. Il film, pur rimanendo un film di genere, riflette su alcuni temi umani ed etici: quanto bisogna fidarsi del prossimo? Che cos’è un pregiudizio? Quale limite si può superare per difendersi da una possibile minaccia, o quanto si può rischiare di sbagliare per perseguire i propri ideali? La predisposizione verso un’accettazione incondizionata del diverso, basata sul valore dell’uguaglianza, spinge la protagonista ad esporsi sempre di più e a contribuire in modo decisivo alle vicende, mentre l’agente Curti ragiona esattamente nella maniera opposta, dimostrando uno scetticismo congenito che lo porta a dubitare di qualsiasi cosa l’alieno dica. Chi avrà ragione alla fine? Quale sarà la migliore maniera di agire in una situazione simile? Questo ce lo diranno solamente gli eventi, certo, colpisce la capacità che hanno avuto i Manetti di indirizzare l’attrazione dello spettatore verso una determinata svolta, salvo poi stravolgere questo orientamento con originale imprevedibilità.

Sperando di poterlo vedere nelle sale il più presto possibile, continueremo a seguire il lavoro dei due registi romani, che hanno già in post produzione un altro film.