Prometheus, il grande kolossal che ha segnato il ritorno di Ridley Scott alla fantascienza, ha diviso pubblico e critica, tra coloro che lo hanno etichettato come un remake del famoso Alien del 1979 e altri che sono rimasti soddisfatti, godendo soprattutto della suggestione visiva e contenutistica del film. Sono passati oltre trent’anni dai grandi successi che segnarono la carriera di Scott: l’avventura nello spazio dell’intrepida Ellen Ripley, interpretata da una giovanissima Sigourney Weaver dal fascino androgino nella saga di Alien  e l’impresa di Harrison Ford nei panni di un poliziotto alle prese con la caccia a replicanti fuggiti da una colonia spaziale e rifugiatisi sulla Terra in Blade Runner. Dopo questi due grandi successi, Scott sembra aver messo da parte la fantascienza, per portare sul grande schermo altri generi come il dramma, l’action, e il romanzo storico. Basti ricordare il mitico Gladiatore, American Gangster, Nessuna Verità, Hannibal o le grandi storie di guerra come Black Hawk Dawn e Soldato Jane. Ovviamente, quindi, il suo nuovo progetto Prometheus, aveva una bella responsabilità e le aspettative intorno al film erano davvero elevate. Siamo nel 2089, quando i due ricercatori Shaw e Holloway scoprono alcuni graffiti in una grotta nell’isola di Skye, in Scozia. Vi sono raffigurate alcune creature umanoidi che indicano una costellazione: lo stesso graffito è presente in tutto il mondo, in ogni periodo storico ed in tutte le culture. Due anni più tardi Shaw e Holloway si svegliano sul Prometheus, un’astronave della Weyland Industries: la missione è quella di arrivare in un preciso pianeta di quella costellazione e svelare il mistero che sottende alla creazione della razza umana. Le cose, però, non andranno proprio secondo i piani.

Ciò che colpisce fin dalla prima scena del film è l’incredibile pienezza di ogni inquadratura, ricca di dettagli messi al posto giusto che creano un’atmosfera suggestiva e coinvolgente sia dal punto di vista scenografico che emozionale. Dopo una prima parte che funge da introduzione, della quale il regista si avvale per spiegare al meglio la teoria principale alla base della trama, il ritmo del film cresce rapidamente, diventando estremamente incalzante e precipitoso. I dialoghi ben strutturati vengono arricchiti da azione, pathos e colpi di scena che compongono una struttura narrativa articolata ma senza lacune importanti e il pubblico viene trascinato nel vorticoso mondo alieno di strane creature imponenti, chiamati ‘Ingegneri’, creatori della specie umana secondo le convinzioni degli scienziati coinvolti. Non è difficile trovare in Prometheus delle analogie con il precedente Alien, ma il film non sembra affatto un prequel o un sequel di quest’ultimo se non per un’apparizione finale. Il personaggio di Noomi Rapace ricorda senza dubbio Ellen Ripley, soprattutto nell’estenuante corsa negli stretti corridoi della navicella spaziale e nella lotta corpo a corpo con la strana creatura di turno e il robotico Michael Fassbender, molto convincente nel ruolo, ci riporta all’ambiguo androide Ash interpretato da Ian Holm nel successo del 1979. Ma tali particolari non hanno il sapore di remake  o di banali ripetizioni, ma contribuiscono a completare una storia originale e diversa da Alien, costituendo una sorta di omaggio al predecessore e a quel tipo di fantascienza pura e astratta che spesso oggi si mescola troppo con altri generi quali il thriller, l’horror e l’action dimenticando il fascino dell’Universo oscuro, enigmatico e sorprendente.

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