Time Out of Mind, Richard Gere da star a senzatetto

Anche quest’anno Richard Gere è stato ospite al Festival Internazionale del Film di Roma, con la sua solita eleganza e serenità. Ha presentato Time Out of Mind, il film diretto da Oren Moverman, nel quale veste i panni di un senzatetto che gira per le strade di New York, portando sul grande schermo un nuovo stile cinematografico originale ed insolito, ma interessante da esaminare. George è un uomo disperato, che ha perso la moglie in seguito ad un tumore, e non ha un suo posto nel mondo, mentre vaga per la città americana, tra il grande rifugio del Bellevue Hospital e le affollate strade in cui la gente cambia strada, pur di non averlo vicino. Al rifugio incontra un uomo che gli restituisce la speranza nel futuro, e gli consiglia di ricostruire il rapporto con la figlia che non vede da molti anni. George così entra in contatto con la dura realtà degli emarginati e prova a rialzarsi ed andare avanti.

gereMentre nella sala Petrassi volava indisturbato un piccolo pipistrello entrato da non si sa dove, l’attore ha raccontato questa sua esperienza alla stampa italiana e internazionale nella conferenza stampa del film, iniziando a spiegare: “La sceneggiatura mi fu mandata più di dieci anni fa e conteneva già i semi di questo film, ma non pensavo di poterlo fare in quel momento. Risale alla fine degli anni ’80, quindi ormai 30 anni fa, ma quando l’ho letta c’era una perfetta corrispondenza con l’attualità. Avevo un’idea, ho acquisito i diritti ma avevo delle difficoltà a spiegare come volevo realizzare il progetto. Poi ho letto il libro ‘The Land of Lost Souls’ e per caso ho conosciuto Oren Moverman e gli ho parlato del film. Lui ha accettato e poco più di un anno fa è successo tutto“. Poi ha continuato, spiegando: “Ho fatto tanta ricerca, ho visitato tanti centri dei senzatetto, e mi ha sorpreso l’esperienza di stare per strada. Avevamo 21 giorni per girare tutto il film e pochi soldi, e un concetto da seguire: “l’impronta del film sarebbe stata invisibile e avremmo fatto le riprese per strada con il teleobiettivo, con cineprese nascoste sui tetti, sulle panchine, etc…” e non sapevo se mi avessero riconosciuto. La prima giornata è stata in un luogo pieno di gente nel centro di New York, abbiamo fatto delle riprese digitali e nessuno mi ha riconosciuto, è stato incredibile come attore e persona nota vivere una cosa del genere, sentirmi davvero invisibile, o peggio di invisibile”.

Io facevo l’attore là fuori, non volevo soldi e davo la possibilità di creare un merito positivo alle persone. Quindi non sarò mai in grado di immedesimarmi in pieno” ha spiegato poi, sottolineando l’opportunità che gli ha dato questo film di studiare e comprendere l’atteggiamento delle persone comuni rispetto a queste figure sfortunate della società, che vivono spesso nascoste dallo sporco e dalla povertà. “Secondo me le sceneggiature migliori che troviamo oggi sono fatte per film indipendenti, di massimo 10-11 milioni di dollari. La cosa meravigliosa della nostra epoca è che questi una volta erano i cosiddetti film fatti dai grandi studi, ma adesso non è così. Nessuno ci guadagna con questi film, ma è il futuro del cinema serio, per raccontare una storia interessante. Se è un dramma nessuno ti finanzia il progetto, invece se lo fai passare per una commedia romantica o un thriller è ok“.  “Persino alla stazione di NY nessuno mi ha riconosciuto tranne due persone di colore che mi hanno semplicemente salutato dicendo “Ciao Richard come va?”. Forse questo vuol dire che le persone delle minoranze, rispetto a noi bianchi sono meno chiuse in una scatoletta, persi nel cellulare etc… sono meno isolati dal mondo. I senzatetto sono circa 60mila a New York e 20mila sono bambini, ed è l’unico posto in cui per legge devono ricevere assistenza: un letto e due pasti al giorno se completano le fasi burocratiche. C’è un forte desiderio di appartenere a qualcosa o qualcuno nel mondo. Sono persone sfollate che cercano un luogo a cui appartenere, ci sono dei momenti nel film in cui si va al di là della questione minore per parlare di questioni più importanti. A chi e a cosa apparteniamo?”.

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Richard Gere ha dedicato del tempo a guardare questa gente più sfortunata, sempre più numerosa in tutto il mondo, ma soprattutto ha documentato in qualche modo, insieme a Moverman, il comportamento scostante e spaventato della gente comune, che sembra aver paura che il fallimento sia contagioso e, per questo, girano alla larga da questi individui senza casa, invece di cercare di conoscere la loro storia.