Roma al tempo di Caravaggio a Palazzo Venezia

 

 

Michelangelo Merisi da Caravaggio non lasciò soltanto le sue opere a ricordarlo, ma soprattutto un’enorme eredità agli artisti contemporanei e postumi: un nuovo modo di osservare la realtà e di ritrarla sulla tela. È sicuramente questa la vera rivoluzione attuata dal pittore lombardo. Come hanno recepito l’incredibile portata del Caravaggio i suoi contemporanei? È a partire da questa domanda che nasce la mostra Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630, nella sede incantevole di Palazzo Venezia a Roma, aperta il 16 novembre fino al 5 febbraio.  Curata da Rossella Vodret e realizzata con il sostegno di Civita e Munus, l’esposizione propone ben 140 opere che arrivano da tutto il mondo, peraltro alcune per la prima volta in Italia, e offre la possibilità di comprendere quale aria tirasse a Roma tra il 1600 e il 1630.

La mostra si apre con un confronto che mette in luce due contesti assolutamente distanti, eppure conviventi, nella città romana tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. Un tema iconografico comune, la Madonna di Loreto, e due pittori ad interpretarlo: Annibale Carracci, esponente del classicismo, e Michelangelo Merisi da Caravaggio, illustre rappresentante della nuova tendenza naturalista. Classicismo e naturalismo si oppongono dando vita a due diversi modi di concepire la rappresentazione. La Madonna del Carracci è rappresentata attraverso un’impostazione rigorosamente fedele al modello classico sia dal punto di vista stilistico che iconografico. La Madonna del Caravaggio, nota anche come Madonna dei Pellegrini, è tutt’altro: è naturalismo allo stato puro, mettendo in mostra la “terrenità” della Madre di Cristo, esaltando l’umiltà della donna piuttosto che l’ascetismo della Madonna. L’iconografia classica avrebbe voluto la Madonna rappresentata in volo con la sua casa trasportata dagli angeli. Caravaggio elimina il racconto tradizionale, per dar voce alla semplicità della dimora della Vergine con il Bambino a cui fanno visita i devoti pellegrini messi in scena con i piedi sporchi. È sin da questa prima stanza che si capisce che Caravaggio è aria nuova, è anti-accademismo e anticlassicismo. L’esposizione prende corpo esaminando gli anni cruciali della pittura italiana: anni in cui si avvicendarono al soglio pontificio ben quattro papi tra i più importanti nella storia della Chiesa. Eppure questo scontro aperto tra il bolognese e il lombardo ebbe termine quando entrambi scomparvero: Annibale morì il 15 luglio 1609, Caravaggio, un anno più tardi, il 18 luglio 1610. Chi raccolse le basi gettate da questi due inestimabili geni? Pronti ad affacciarsi sul panorama artistico romano seicentesco arrivarono da Bologna, seguaci del Carracci, Domenichino, Lanfranco, Guido Reni, Albani; a seguire il drammatico naturalismo caravaggesco, Orazio ed Artemisia Gentileschi, Carlo Saraceni, Orazio Borgianni e Bartolomeo Manfredi. Caravaggio non ebbe mai una scuola, a differenza del Caracci, eppure furono molti gli artisti che ne seguirono le orme.  Insieme a queste voci italiane compaiono nomi da tutta Europa: Valentin, Vouet, Honthorst, Rubens, Ribera, a sottolineare l’incredibile diffusione  di questi due modi di vivere l’arte. Inoltre, a dare valore aggiunto a questa mostra straordinaria, è la presenza, per la prima volta in Italia, del Sant’Agostino, opera dall’attribuzione quanto mai incerta, che continua a dividere gli studiosi. Caravaggio non passa mai di moda, questo è chiaro. E, anche a quattrocento anni di distanza, resta pur sempre un nome capace di attirare flotte di visitatori.