The Greatest Showman: intervista a Jonathan Redavid, l’unico italiano nel cast

Jonathan Redavid, classe 1985, è un coreografo che, nonostante la relativamente giovane età, può vantare collaborazioni con i più grandi nomi del panorama musicale del nostro Paese, da Laura Pasini, per la quale ha coreografato il Simili World Tour, ad Elisa e Raf. Ma il suo talento lo ha condotto anche nel mondo del cinema: Redavid ha infatti collaborato alle coreografie di The Tourist, con Angelina Jolie e Johnny Depp, ed è in questi giorni al cinema con The Greatest Showman, nuovo musical con protagonista Hugh Jackman nei panni del circense Phineas Taylor Barnum. Il performer e coreografo milanese non solo compare nel film nei panni di Frank Lentini, un italo americano con tre gambe, ma è stato anche coinvolto nelle fasi di creazione delle coreografie, disegnando l’opening ed il closing number del film. Ci siamo fatti raccontare da Jonathan la sua esperienza sul set ed i suoi progetti futuri. 

Come nasce questa collaborazione con il regista Michael Gracey ?

Conoscevo già Gracey dopo un fugace incontro a Las Vegas qualche anno fa e da quel momento ci siamo seguiti un pochino a vicenda. Dopodiché per coincidenza un mio caro amico, Shannon Holtzapffel, mi ha parlato di questo progetto che Michael stava già costruendo. All’inizio ero un po’ titubante, perché i progetti lunghi sono sempre una sfida e non sempre vanno a buon fine, poi quando mi hanno nominato gli attori ed il regista mi sono lasciato convincere. Ho quindi incontrato personalmente Gracey per una cena italiana cucinata da me. Poi da cosa nasce cosa e sono entrato a far parte anche del team creativo del film. Ho dormito con il regista per mesi in una vera e propria “casa lavoro”, insieme ad altri ragazzi che si occupavano di vari aspetti della produzione.

Puoi raccontarci qualcosa sul tuo personaggio ?

Il mio personaggio è Frank Lentini, un siciliano nato con tre gambe. A nove anni si trasferì in America per operarsi ed invece trovò la propria fortuna nel circo di Barnum, che dava possibilità di emergere a tante persone. Ho cercato di trasferire al mio personaggio quella che era la mia storia italiana. Ed ho cercato di usare il tempo che avevo a disposizione sul set per studiare i movimenti con la protesi, capire il balance e cercare di gestirne il peso, che era di circa 8 kg. Le tre gambe di Frank Lentini erano funzionanti, quindi la protesi non doveva solo servire come elemento estetico. 

Quali sono state le difficoltà che hai incontrato nel lavorare con una protesi ?

Produzione e coreografo erano convinti che non potessi ballare bene con una protesi. Ed ero un po’ meravigliato, dato che ad Hollywood i sogni dovrebbero diventare realtà. Naturalmente si poteva aggiungere la terza gamba in post produzione, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Ed anche per me non poteva essere altrimenti, perché dovevo immedesimarmi nel personaggio ed assumere una determinata postura, dato che il peso di Frank gravava sul lato destro del corpo e lo costringeva ad una strana camminata. Per costruire la protesi ci sono volute circa tre settimane ed io l’ho ricevuta solo tre giorni prima di cominciare a girare. 

Quali sono le differenze tra lavorare per un musical cinematografico ed uno teatrale ?

Nel musical teatrale devi prepararti al 100% per una determinata esibizione. Invece in un film, che è costituito da tante riprese diverse, devi dare il 100% sempre. Perché anche l’ultimo cut della giornata può essere quello buono e quello che sarà poi inserito nel montaggio finale. A livello di trucco e di immagine devi essere sempre uguale, quindi non possono esserci errori di continuità e se hai per un secondo la camicia di fuori non devi scordare di sistemartela prima di ricominciare a girare. Anche a livello muscolare devi essere perfetto ed i movimenti dovevano essere sempre gli stessi. 

Qual è la cosa che ti ha colpito maggiormente del lavoro in una produzione così imponente ?

The Greatest Showman è un film che ha visto la luce dopo circa sette anni di lavoro. Le musiche erano già state composte due anni fa da Justin Paul e Benj Pasek, che avevano già collaborato a La La Land. Sono rimasto sorpreso però dalle tempistiche: mi aspettavo di trovare ogni cosa già pianificata ed invece ci siamo dovuti muovere con estrema fretta. Fortunatamente potevamo contare su ballerini bravissimi, gente che ha lavorato con i più grandi, quindi è stato facile assegnare loro i diversi personaggi e cominciare la caratterizzazione. Mi piace poi vedere come i vari dipartimenti sul set riescano a sincronizzarsi così velocemente. È davvero incredibile.

Cosa differenzia The Greatest Showman da altri musical hollywoodiani ?

L’ultimo riferimento per il genere è sicuramente La La Land, che però è un film con pochi visual effect rispetto a questo. Il budget di The Greatest Showman è stato decisamente più elevato perché serviva un lavoro in post produzione davvero enorme. Poi quando proietti delle persone nel passato, in un periodo nel quale non si può più tornare, l’atmosfera diventa magica perché hai la possibilità di vedere cose che oggi non esistono più. Come in Moulin Rouge o Chicago, l’ambientazione è un valore aggiunto non da poco. E non è da sottovalutare anche il fascino del circo. Quello di Barnum è stato chiuso poco tempo fa, quindi l’uscita di questo film rappresenta quasi un’occasione per celebrarlo. 

Secondo te c’è la possibilità anche in Italia, dove stiamo riscoprendo alcuni generi cinematografici che avevamo chiuso nel cassetto, di assistere ad una rinascita del musical ?

Secondo me esiste questa possibilità. Io ad esempio sono andato in America con la voglia di dare il mio contributo da italiano e non con la volontà di imitare loro. Noi abbiamo una grande fantasia, anche perché spesso ci mancano i soldi. Quindi non avendo grandi possibilità di budget bisogna sempre cercare nuovi modi per fare al meglio le cose. Poi noi italiani, a differenza degli americani, non ci entusiasmiamo per ogni cosa. Anche se cinematograficamente siamo un po’ accondiscendenti con quello che arriva dall’America, dobbiamo essere orgogliosi del nostro cinema. Abbiamo registi come Giuseppe Tornatore che producono ancora capolavori. La leggenda del pianista sull’oceano, ad esempio, non è un musical ma è girato come se lo fosse. Anche Malena ed altri suoi film sono raccontati come dei musical, dalla velocità dei dialoghi ai movimenti di macchina, quindi Tornatore potrebbe benissimo cimentarsi con questo genere. Il musical non segue una regola fissa e non per forza deve essere impostato in maniera classica come Les Misérables. Film come The Mask sono più musical di tanti che vengono definiti tali. Non è necessario che ci sia un dialogo cantato. 

Esiste qualche aneddoto che puoi raccontarci su Hugh Jackman ?

Hugh Jackman è un maestro ed anche quando aveva un testo già stabilito cercava sempre di improvvisare ed aggiungere del suo al personaggio. È l’esempio di una persona che è arrivata dove è arrivata solo grazie alle sue forze e si è fatta amare per ciò che è veramente. Ogni venerdì arrivava sul set con dei gratta e vinci e li distribuiva: c’è persino chi ha vinto cinquecento dollari. È una persona che ha sempre tempo a disposizione per tutti. Non lo vedevi mai stressato, sempre solare e positivo. È difficile trovare una persona così, specialmente ad Hollywood. È stato un vero leader. 

Ci sono progetti futuri di cui puoi parlarci ?

Nei primi di gennaio lavorerò ad uno show che si terrà Las Vegas, per il quale sistemerò alcune coreografie. Poi nel 2018 tornerò di nuovo dietro le quinte. Quando sono arrivato in America ho dovuto ricominciare da capo e mi sono tolto diverse soddisfazioni da performer. Ma adesso mi manca quella componente creativa del mio lavoro, anche perché più cresci e più diventi esigente. Mi piacerebbe coinvolgere me stesso anche in una futura regia cinematografica. È una cosa che penso da un po’ di tempo, perché sono convinto che coreografia e regia vadano insieme. Anche Bob Fosse è divenuto regista perché nessun altro poteva dirigere le sue coreografie.