The Ring 3, la recensione: il video di Samara torna a terrorizzare gli spettatori

La giovane Julia (Matilda Lutz) è preoccupata per il suo ragazzo, che da giorni non la chiama più via Skype per dare notizie della sua nuova vita al college. Un giorno, dopo tanta preoccupazione, una videochiamata arriva: sullo schermo però non appare il viso familiare di Holt, ma quello di una sconosciuta che farnetica sull’imminente arrivo di “lei”. Diretta al college per indagare, la protagonista entra in contatto con il professore del suo fidanzato: Gabriel (Johnny Galecki), autore di un libro sul “mistero di Samara”.

Questa è la trama da cui prende il via The Ring 3, nuovo sequel della celebre saga horror cominciata ormai due decenni fa. È doveroso precisare, però, che il numero compare (per ovvie ragioni di marketing) solo nella nostra versione italiana. In originale, infatti, il film di F. Javier Gutiérrez prende il nome di Rings, ad indicare quasi un reboot piuttosto che un sequel a tutti gli effetti.

Samara è tornata

Il paragone con il lavoro originale del 1998, arrivato dal sol levante per la regia di Hideo Nakata, lascia un po’ il tempo che trova, essendo The Ring 3 a tutti gli effetti la terza incarnazione della saga occidentale cominciata nel 2002 con Gore Verbinski. La pellicola arrivava a cavallo di una stagione di grande fermento per le major cinematografiche, e trasponeva in chiave orrorifica le mutazioni che stavano avvenendo nel campo dell’home video, dai turbamenti delle produzioni (costrette ad affrontare un cambiamento più grande di loro) alle prime forme di pirateria.

Era infatti la diffusione di VHS pirata, registrate e distribuite, che contribuiva a propagare la maledizione come una epidemia. Ma è proprio questo sottotesto, che aveva reso il remake di Verbinski uno strano successo da 249 milioni di dollari, ad essere praticamente assente dal nuovo capitolo, che sembra non aver fatto tesoro delle intuizioni dei suoi predecessori.

Terrore tra déjà vu e anacronismi

Nonostante siano passati ben dodici anni dal secondo film, e tante cose siano cambiate nel modo in cui fruiamo di video e immagini, The Ring 3 si limita a ricalcare quanto già visto in precedenza (riprendendo persino le ormai ridicole chiamate telefoniche di morte) piuttosto che trovare nuovi modi per terrorizzare e raccontare le fobie al centro della saga. E non basta di certo sostituire la VHS con un file informatico per rendere la narrazione più moderna ed al passo con i tempi. Al centro della storia originale c’era l’immagine, la rappresentazione grafica della paura. Ed era proprio attraverso l’analisi minuziosa di ogni singolo fotogramma che si veniva a capo del mistero attorno alla figura di Samara. Rings invece ci proietta in un incubo più fisico, dove i nemici sono fatti di carne ed ossa.

Johnny Galecki (Gabriel) in una scena del film

Dopo la visione di The Ring 3 si capisce lo sbaglio commesso anche nel voler far pesare la narrazione sulle spalle del parroco non vedente interpretato da Vincent D’Onofrio, piuttosto che valorizzare un personaggio iconico come Samara inquadrandolo in una diversa ottica che non risultasse anacronistica. Al di là del chiaro talento di Gutierrez nel mettere in scena le ossessioni e gli incubi ad occhi aperti dei protagonisti, questa terza incursione della ragazza dannata sul grande schermo non offre grandi spunti di interesse. E se quindici anni fa la paura di quella videocassetta tormentava per giorni gli spettatori, che erano immersi in quello stesso mondo ed erano protagonisti di quei cambiamenti, oggi sembra di vedere qualcosa di vecchio e obsoleto.

Il regista spagnolo aveva la grande opportunità di dare nuova linfa vitale ad una saga ancora molto amata (la branca giapponese del franchise prosegue con sequel e spin-off) e invece si è limitato a proseguire su di una strada già battuta di cui da tempo conosciamo la destinazione finale.