Uno dei registi italiani che aiutano a risollevare l’immagine del nostro paese all’estero è Paolo Sorrentino, in particolare con il suo ultimo film che arriverà al cinema il prossimo 14 Ottobre, distribuito da Medusa. Dopo aver passato tutta la sua adolescenza ad ascoltare David Byrne e i Talking Heads, il regista ha deciso di dare al suo primo film americano il titolo di una delle sue canzoni preferite di questo gruppo, ovvero “This must be the place”.

And you’re standing here beside me/I love the passing of time/Never for money/Always for love /Cover up and say goodnight . . . say goodnight/Home – is where I want to be/But I guess I’m already there/I come home – she lifted up her wings/Guess that this must be the place“.

Questa canzone risulta la sintesi perfetta di questo film che porta sul grande schermo la storia intensa, controversa e pungente di Cheyenne, una rockstar cinquantenne, da molti anni lontana dai riflettori e dalla sua chitarra, che si chiude in se stessa, immersa in un brodo di tristezza e noia, scambiato facilmente per depressione. La sua vita subisce una scossa, quando da New York arriva la notizia della morte del padre  e Cheyenne si imbarca in un viaggio on the road per l’America alla ricerca di un ex militare tedesco, che il padre ebreo aveva cercato per tutta la vita, per vendicare un’antica umiliazione che aveva avuto luogo ad Auschwitz. La ricerca di una giustizia relativa per il padre, introduce un po’ di luce nella vita piatta e priva di alcuno stimolo della rockstar, che percorrendo le lunghe highways già note in molti road movie, ritrova un pezzetto alla volta la lucidità e la consapevolezza di se stesso, vedendo più chiaramente lo scopo della sua vita e di quella missione in particolare. Nei panni di Cheyenne, uno Sean Penn straordinario, senza l’interpretazione del quale, il film non avrebbe il cuore, ma anche il resto dei personaggi sono fondamentali e compensativi, come Frances McDormand nei panni della moglie positiva e allegra del protagonista, una fan affezionata che è come una sorella per lui e lo stesso David Byrne che interpreta se stesso ed è anche curatore della splendida e coinvolgente colonna sonora.

Sorrentino si allontana leggermente dalla sua regia italiana, ma questa poetica a stelle e strisce risulta un completamento rispetto a film precedenti come “Il Divo” o “Le Conseguenze dell’Amore“, realizzando un film che emoziona, commuove e porta per mano nella più profonda e cupa dimensione dell’essere umano che non crede più in nulla e non vede nessuna cosa per la quale valga la pena vivere. Cheyenne è un personaggio indimenticabile e originale, che il regista non perde mai di vista e cura nei minimi particolari, dalla voce debole, all’andatura flemmatica e ad un aspetto esteriore che si ispira a Robert Smith dei Cure, ma ritrae in realtà un fanciullo eccentrico più che un uomo di mezza età con un passato intenso e di successo.  L’aspetto così dirompente di questa rockstar cela il suo Io reale che vorrebbe essere liberato, ma è intrappolato dal cerone e dal rossetto acceso come in una gabbia emotiva che lega saldamente il cuore e i sentimenti di un uomo in standbye, amorfo e passivo in attesa di qualcosa che gli mostri la strada da percorrere per uscire dall’apatia. Il suo aspetto lo lega al suo passato, che lui odia e non condivide più.  Grazie ad una magistrale performance di Sean Penn e alla regia di Sorrentino che si snoda tra grandangoli, piani sequenza e movimenti di macchina morbidi e fluidi che descrivono scene suggestive e soddisfacenti dal punto di vista visivo, “This must be the place” risulta un film davvero da non perdere, perfetto mix di ironia e disperazione, poichè la storia estremamente drammatica lascia spazio a battute esilaranti e situazioni simpatiche che rendono il tutto più piacevole da seguire.

 

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