Venezia 70° : Child of God, recensione del nuovo film diretto da James Franco

Dopo Sal presentato lo scorso anno, James Franco torna nel ruolo di regista alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con Child of God, una storia drammatica e scioccante di un serial killer del Tennessee ispirato ad Ed Gein, il pazzo assassino che è stato fonte d’ispirazione per molti successi cinematografici, da Psycho a Non Aprite quella Porta.

Scott Hayes interpreta Lester Ballard, un uomo emarginato dalla società e relegato nei boschi, mentalmente instabile e schiavo delle sue perversioni e della sua difficoltà di relazionarsi con la gente intorno. Solo al mondo e allontanato dalla comunità, Ballard comincia a commettere violenti omicidi che coinvolgono in particolare ragazze, di cui egli conserva i corpi, cercando di instaurare con loro delle relazioni malate e surreali. James Franco ha preso come modello del suo personaggio lo stesso serial killer che ha ispirato il Norman Bates di Psycho o Leatherface di Non Aprite quella Porta, infatti si notano alcune analogie tra questi film. Ma, mentre i film precedenti hanno puntato più sull’impatto pauroso, sul mistero e sull’adrenalina tipiche dei film thriller  – horror, Franco ha deciso di costruire la struttura narrativa soprattutto all’interno della dimensione psicologica del personaggio, portando per mano lo spettatore all’interno della follia e dell’anima corrotta di Lester, che è un terribile serial killer, ma non appare propriamente come un mostro, quanto come un malato mentale che agisce in un certo modo a causa della solitudine, dell’isolamento e  del passato sfortunato e privo di qualsiasi emozione.

child-of-god-picture-1-08132013-114025Child of God funziona, ma non convince. Sicuramente stupisce positivamente l’ottima performance attoriale di Scott Hayes che è perfettamente adatto al ruolo e coinvolge, incutendo il giusto timore e la giusta inquietudine nello spettatore, ma in generale il ritmo del film rallenta troppo spesso, con inquadrature troppo lunghe ed eccessiva cura nei particolari. Alcune scene peccano di eccessivo senso esplicito, anche quando non ce n’è bisogno, suscitando più il senso di disgusto che senso di realismo e stupore. Franco spesso si fa prendere troppo la mano da inquadrature dettagliate di particolari scomodi e superflui, come la scena della defecazione in primo piano ad inizio film o i rapporti sessuali ripetuti di Lester con i cadaveri delle donne assassinate. Scegliendo la linea narrativa del thriller psicologico, il regista avrebbe dovuto mantenere più viva l’esplorazione della mente disturbata dell’assassino, presentando anche un minimo il suo background, invece il film risulta superficiale da questo punto di vista e a tratti noioso e ripetitivo. Oltre il semplice susseguirsi dei rapimenti e omicidi, sarebbe stato utile un viaggio più profondo nel movente e nelle cause della natura oscuro del personaggio.

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