Venezia 72 – Go With Me, la recensione del film di Daniel Alfredson

Tra i film più deludenti di questa 72° edizione della Mostra del Cinema di Venezia c’è sicuramente Go with Me, il thriller a tinte western diretto da Daniel Alfredson ed interpretato da Anthony Hopkins, Julia Stiles e Ray Liotta. Tratto dal romanzo Via con Me di Castle Freeman Jr., Go with Me racconta la storia di Lillian (Julia Stiles), una giovane donna che, tornata a vivere nella sua cittadina originaria dopo la morte della madre, si imbatte in Blackway (Ray Liotta), un crudele serial killer disposto a tutto per darle la caccia. Gli abitanti del paese, come anche lo sceriffo, sanno dell’esistenza di Blackway ma nessuno muove un dito per fare qualcosa. Rimangono così solo due opzioni da seguire. Lasciare la città come suggerito dalle autorità o prendere pistole e fucili e, come in un moderno western, affrontare il nemico in un duello in cui ne resterà solo uno. A suggerire la seconda e più brutale opzione ci penseranno un anziano taglialegna (Anthony Hopkins) ed il suo aiutante (Alexander Ludwig); gli unici individui disposti ad accompagnare Lillian nella epica impresa di uccidere una volta per tutte il crudele Blackway.

Dopo aver diretto i due deboli sequel della Trilogia Millennium, Daniel Alfredson debutta a Hollywood con Go with Me, un thriller talmente fiacco da far rimpiangere i film con l’allora esordiente Noomi Rapace. Nonostante alcuni elementi vincenti come un best-seller mondiale, un cast internazionale ed una serie di riferimenti ai western di Sergio Leone, Alfredson sbaglia il tono della pellicola, confezionando un thriller lento e prevedibile che non coinvolge lo spettatore dal primo all’ultimo minuto di proiezione. I personaggi, sviluppati secondo i classici ruoli del western, si muovono senza una precisa direzione, dando poche possibilità ai bravi attori che li interpretano di dimostrare le loro indubbie qualità. Il cattivo risulta così più una “macchietta” che il terribile ed impronunciabile villain che tutti affermano ed il thrilling è evanescente come la nebbiosa ed inquietante scenografia che fa da sfondo alla storia: “L’ambiente che circonda i protagonisti è una sorta di ulteriore protagonista del film – ha svelato il regista in conferenza stampa questa mattina – ho cercato delle location simili a dei paesaggi svedesi che ho visto nella mia vita per ricreare l’atmosfera di quei luoghi”.

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Ma, nonostante le buone intenzioni di Alfredson, il film proprio non convince risultando l’ennesimo buco nell’acqua di Anthony Hopkins, qui nelle vesti oltreché di attore anche di produttore: “L’idea di sviluppare il film come un western classico è nata da Anthony Hopkins – ha rivelato il regista – quando gira un film riflette sul personaggio e su come affrontarlo. Ha fatto di tutto per realizzare questo film”. E purtroppo il risultato finale non è direttamente proporzionale allo sforzo produttivo intrapreso per realizzarlo. Le uniche note al merito di un film come Go with Me sono la splendida fotografia di Rasmus Videbaek e l’ottima performance di Julia Stiles, che dopo venti anni di carriera, affronta qui con eleganza il suo primo ruolo drammatico: “Julia ha fatto un lavoro fantastico – ha continuato il regista – si è impadronita del ruolo e non si è lasciata intimidire dal personaggio“. Ma sono aspetti che non compensano la debole regia di Alfredson, l’assenza di qualsiasi tipo di tensione e la lentezza e banalità della storia raccontata. Elementi che rendono Go with Me uno di quei pochi film che proprio non sentivamo il bisogno di vedere.