La perfezione plastica. La gelida purezza. Canova e Gerard. Artisti a confronto sul medesimo tema. Amore e Psiche, due teneri amanti separati dall’immortalità. È Apuleio il sublime poeta ad eternare, nella favola che lo rese celebre all’interno de Le Metamorfosi, la storia d’amore tra una donna destinata a morire e il dio immortale. Tra il 1788 e il 1793 Antonio Canova eternò quell’attimo carico di intensità e di un erotismo soave, elegante, raffinato: l’attimo che precede il bacio. Eccoli, due corpi che si avviluppano in una gestualità che rende senza tempo un momento sospeso nell’eternità. Due forme che si animano nella monocromia del marmo bianco tipica di quel neoclassicismo di cui Canova fu sommo interprete. Qualche anno dopo, François Gérard, pittore parigino nato a Roma nel 1770, presentò al Salon della capitale francese Psyché et l’Amour, il dipinto ispirato all’opera dello scultore di Possagno. Del modello “italiano” manca la grazia, l’armonia, il rispetto dei canoni estetici. Vi è gelida freddezza, distacco, forma. Eppure in quel gesto, in quell’istante l’erotismo affiora. Non molla i protagonisti, schiavi anch’essi della ardente passione.
Due versioni e due visioni a confronto, quella di Canova e quella di Gerard, grazie all’interessante iniziativa proposta da Eni con il Museo del Louvre per garantire una fruizione dell’arte gratuita basata anche su eventi, attività e approfondimenti. La mostra Amore e Psiche a Milano, curata da Valeria Merlini e Daniela Storti, sarà ospitata a Palazzo Marino di Milano dal 1° dicembre sino al 13 gennaio 2013.
“Così l’ignara Psiche per colpa sua fu presa dall’amore di Amore. Allora, sentendo crescere irresistibilmente dentro di sé la voluttà per il dio della voluttà, china su di lui con le labbra dischiuse prese a baciarlo e ribaciarlo con baci appassionati, senza freno, temendo solo che si svegliasse. Ma, mentre delirava ferita dall’eccitazione di quell’indicibile piacere, la lucerna, o per malvagia perfidia o per odiosa gelosia o perché desiderosa anch’essa di toccare e quasi di baciare un corpo così bello, fece schizzare fuori dalla punta della sua fiamma una goccia di olio bollente che andò a cadere sulla spalla destra del dio”, Apuleius scripsit.