Cosmopolis è un film esasperante ed estenuante, costruito su sequenze di dialoghi filosofici a volte dilungati fino all’estremo; ogni pensiero espresso dai personaggi si trasforma in un fiume in piena, saltando, è il caso di dirlo, “di palo in frasca” senza alcuna sequenza logica. A lungo andare la sceneggiatura (scritta dallo stesso Cronenberg in sei giorni) premia lo spettatore con qualche sorriso, ma nulla di più. Né la regia, estremamente statica e priva di inventiva, né l’interpretazione degli attori convincono del tutto: Pattinson, scelto probabilmente appositamente per la sua fissità espressiva, fa’ quel che può nel cercare di limitare i danni, risultando ancora impacciato ma riuscendo tra alti e bassi a comunicare il lato chiuso, malato e introspettivo del suo personaggio. La Gadon insieme alla Binoche e alla Amalric risultano convincenti, ma a brillare su tutti è la prova attoriale, seppur breve, di Paul Giamatti. Cronenberg fallisce nel tentativo di rendere Cosmopolis una sorta di incubo a occhi aperti, sospeso tra suggestione e realtà distorta, in cui il disagio particolare, sia fisico che mentale, di Packer, vissuto all’interno del suo ambiente protetto, riflettono quello macroscopico del mondo circostante. Quando poi le due dimensioni collimano, l’inarrestabile e folle discesa verso l’autodistruzione è inevitabile.
Cosmopolis è un film apatico, freddo e logorroico, un viaggio a vuoto. Il film è in concorso al Festival di Cannes.
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