“La forma è davvero uno scopo? Non è piuttosto il risultato del processo del dare forma? Non è il processo essenziale? Una piccola modifica delle condizioni non ha come conseguenza un altro risultato? Un’altra forma? Io non mi oppongo alla forma, ma soltanto alla forma come scopo. Lo faccio sulla base di una serie di esperienze e di convinzioni da queste derivate. La forma come scopo porta sempre al formalismo”: aveva detto Mies van der Rohe a Walter Rietzler, direttore della rivista del Deutscher Werkbund Die Form. La forma diviene il risultato finale del progetto, e non il punto da cui partire. È con questo scarto che l’architetto di Aquisgrana rivaluta completamente uno degli elementi cruciali dell’architettura: “La costruzione non definisce soltanto la forma, ma è la forma stessa. Dove la vera costruzione prova un contenuto autentico, là sorgono anche opere vere; opere vere e corrispondenti alla loro essenza. E queste sono necessarie. Esse sono necessarie in se stesse e in quanto parti di un ordine genuino. Si può ordinare soltanto ciò che è già in sé ordinato. L’ordine è qualcosa di più dell’organizzazione. L’organizzazione è la determinazione della funzione. L’ordine invece è attribuzione di significato”. Divenuto direttore del Bauhaus, Mies aveva come obiettivo la creazione di spazi contemplativi, neutrali, attraverso un’architettura che unisse semplicità materiale e integrità strutturale, non dimenticando mai una scrupolosa ricerca del particolare, tanto da affermare “Dio è nei particolari”. Con la sua opera ha attraversato l’Europa e l’America portando innovazione e cambiamento in Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna e Messico.
Il doodle di Google, raffigurante la sede dell’Illinois Institute of Technology di Chicago, non è che un omaggio doveroso ad uno dei più geniali architetti del secolo scorso. “Il meno è il più”, diceva Mies.