Green Book, il road movie di Peter Ferrelly dall’impeccabile esecuzione

Dopo anni di commedie scollacciate e “politicamente scorrette”, che si fondavano sul gusto verso le cose della vita più basse e triviali, Peter Ferrelly, emancipatosi da suo fratello Bobby, torna al cinema con un road movie di stampo classico, in cui non è il messaggio a contare, bensì l’esecuzione dell’opera. Ferrelly trasforma ogni possibile asprezza di una trama socialmente impegnata in un sorriso, mettendo a frutto la sua esperienza nel cinema comico per realizzare un film in cui l’umorismo esplode quando è giusto che esploda ed è “controllato” quando invece la battuta non serve.

Green Book racconta la storia Tony, un autista ignorante e razzista che, per esigenze economiche, si trova a lavorare per un elegante uomo di colore, interpretato grazie ad una intelligente scelta di casting da Mahershala Ali, la cui raffinatezza spesso stona in altri contesti più “duri” ma che qui invece è perfetta. Il viaggio su quattro ruote servirà a Tony (Viggo Mortensen, bravissimo nel riuscire a dare sfumature al personaggio assenti in sceneggiatura) a rivedere i suoi pregiudizi sul cantante afroamericano. Eppure la “conversione” del protagonista sembrerà più dipendere dai modi garbati del suo compagno di viaggio (“un bianco con la pelle scura”, lo chiamerà ad un certo punto) che da una reale presa di posizione contro il razzismo. La vera forza di Green Book non sta infatti nelle soluzioni narrative, ma nella perfetta realizzazione di un film da manuale di cinema americano. 

Green Book: cinema hollywoodiano di buon cuore

Non deve quindi sorprendere se i commenti discriminatori di Tony o il suo fare inizialmente sprezzante non suscitino mai davvero indignazione nel pubblico. Perché il suo personaggio, come un certo tipo di cinema hollywoodiano impone, è intollerante ma di “buon cuore”, disposto a ritrattare le proprie posizioni nel momento in cui matura del rispetto verso una persona che ritiene meritevole di stima. Nel fare questo, però, Mortensen regala al protagonista di Green Book un’umanità forse non prevista dalla sceneggiatura. Nei suoi sguardi e nel modo in cui lui osserva dall’esterno le esibizioni musicali di Don Shirley, riusciamo a cogliere persino il suo orgoglio e la fierezza di essere l’autista di un talento così grande.

Alla veracità di Tony si contrappone la personalità “fragile” (perché costantemente alla ricerca di approvazione dagli altri) di Don. Ma la differenza fra i due, che all’inizio del film è principalmente caratteriale, diventerà nel corso dell’avventura anche una differenza di fisico e corporatura. Così il loro legame sembrerà solidificarsi non attraverso l’accettazione delle loro reciproche differenze etniche o culturali, ma nell’affrontare insieme quelle questioni che da sempre caratterizzano le amicizie virili.

Green Book: la cura nei dettagli

Se quindi Green Book non ha una sceneggiatura abbastanza complessa e stratificata da essere un efficace “manifesto antirazzista” perfetto per gli oscar (non solo il tema del razzismo è trattato in maniera individualistica e non comunitaria, ma anche quello dell’omosessualità viene appena accennato e poi subito dimenticato), la cura nei dettagli, la gestione del ritmo della narrazione, il lavoro sui dialoghi e la grande attenzione per la recitazione, sono fattori che contribuiscono a rendere il film di Peter Ferrelly un piccolo saggio di cinema americano, da Hollywood degli anni ‘50 o inizio ‘80. Un cinema a cui un tempo eravamo abituati ma che adesso si realizza sempre di meno. 

Green Book, il road movie di Peter Ferrelly dall’impeccabile esecuzione
3.9 Punteggio
Pro
Esecuzione impeccabile e cast in stato di grazia
Contro
Sceneggiatura poco incisiva
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora