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Interviste

Incontrando Ivan Cotroneo e l’intero cast de “La Kryptonite nella Borsa”

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Questa mattina all’interno dello Spazio Lancia abbiamo incontrato il regista e l’intero cast de La Kryptonite nella Borsa, primo lungometraggio alla regia di Ivan Cotroneo, presentato in Concorso nella Selezione Ufficiale al Festival Internazionale del Film di Roma. Gli attori, Valeria Golino, Cristiana Capotondi, Luca Zingaretti, Libero De Rienzo, Fabrizio Gifuni, Luigi Catani, insieme al cineasta romano hanno avuto modo di parlare liberamente del film entrando negli aspetti più intimi del set e di quei giorni di lavorazione vissuti insieme nella Napoli ricreata ai tempi degli anni ’70. Il film, fortemente voluto dai due produttori  Nicola Giuliano e Francesca Cima della Indigo Film, uscirà il prossimo venerdì 4 novembre e sarà distribuito il 130 copie in tutta italia.

Riguardo allo sguardo sulla donna, Ivan, hai voluto dare molta attenzione a tutto il non detto, a quello che le donne si vergognano di esprimere. Come mai questo concentrarsi sulla femminilità?

Ivan Cotroneo: Ho sempre avuto a cuore questo argomento, nel film Lucia Ragni, Cristiana Capotondi ed ovviamente Valeria Golino, rappresentano tre diverse generazioni di donne, con i loro pregi, i loro difetti ed i loro sogni. Questa attenzione da un lato è scaturita quindi da un mio pallino pregresso, dall’altro, dal fatto che ho scritto la sceneggiatura insieme a Monica Rametta ed a Ludovica Rampolli, due sceneggiatrici che avevano ben chiaro dove volevano far arrivare i tre personaggi, in particolare quelli femminili e questa era una delle nostre mire, volevamo mettere in scena proprio questo aspetto.

E voi attori, come avete lavorato sui vostri personaggi?

Valeria Golino: Io lavoro poco e solo con le persone che stimo ed a cui voglio bene come nel caso di Ivan. Se dovessi dire qualcosa su questo personaggio, dico di essermi sentita molto protetta e ben voluta e questo mi ha dato la possibilità di liberarmi dalle preoccupazioni più estetiche su di esso, i fronzoli. Non ho dovuto pensare a questo perché sapevo sarebbe stato lo sguardo del regista ad abbellirmi. È stato bello lavorare in questo gruppo che mi ha dato molta attenzione. Mi sono sentita veramente a casa, come l’essere in una situazione intima e familiare. Sono stata contenta e dispiaciuta quando lo era il personaggio, mi sono fortemente immedesimato in esso.

Luca Zingaretti: Io vorrei legarmi a quello che diceva Valeria sull’atmosfera che si respirava sul set di questo film perché è stata un’esperienza oltre che professionale anche umana molto bella. È raro trovare una sceneggiatura in cui i personaggi vengono descritti così accuratamente, ognuno di essi ha un suo percorso , una sua presentazione ed una sua chiusura, questo dà il senso di realtà che serve all’attore per impossessarsi al personaggio. Ivan inoltre ha una grande capacità nell’ascolto dell’attore che mette in scena, questa è una cosa molto importante per noi perché ci ha dato l’impressione di essere parte di un progetto. Per quanto riguarda il mio personaggio, la cosa che mi ha divertito è vedere un uomo degli anni ‘70 così ben fotografato. Una società che non era ancora politically correct, vedere come eravamo, e insomma, siamo sopravvissuti ed eccoci qua, forse ora abbiamo qualcosa in più.

Cristiana Capotondi: Devo necessariamente unirmi a Valeria e Luca, il clima sul set è stato talmente familiare e amorevole che io e Picchio (Libero De Rienzo) non abbiamo avuto alcun problema anche nelle scene più difficili. Ogni suo personaggio ha il suo percorso evolutivo, il mio parte da una dimensione di divertimento ma poi si riunisce a quel filo matriarcale che tanto caratterizza le nostre famiglie. Il mio personaggio esce fuori più disinibito rispetto agli altri ma poi quando affronta le cose più serie ha la capacità di entrare in profondità nei problemi. Ha questo modo anche estetico con cui abbiamo giocato anche con costumista e truccatrici, io ho solamente cercato di parlare bene il napoletano.

Libero De Rienzo: Normalmente la paura mi ha sempre aiutato a lavorare bene, in questo caso non ce n’era, tranne che nel momento della danza, lì sì, ho avuto tanta paura.

Fabrizio Gifuni: Tante  cose già sono state dette. Oltre ad unirmi a tutto quello che hanno detto i miei colleghi, io in realtà sono stato sul set in una bolla sospesa per tre giorni in un unico ambiente ed anche io sono stato veramente molto sorpreso dalla tranquillità di ivan e questo è moltissimo perché riesce a trasmettere a tutte le componenti del set una tranquillità insolita. Oramai questi appuntamenti periodici che ho con Valeria sono abituali, ora sono diventato lo psicanalista, mancava, dopo tutti i nostri lavori insieme  è stata forse una liberazione fare la parte dell’analista.

Luigi Catani: Io me lo sono sentito dentro il personaggio (Peppino). In verità è stato Ivan a raccontarmi Peppino e ad aiutarmi. Mi è stato vicino quando sono andato a fare il primo provino, fin da qual momento ho sentito mio il personaggio.

Ivan, perché hai voluto affrontare proprio  gli anni ‘70?

Ivan Cotroneo : Lo sguardo del bambino è una cosa che mi affascina da sempre, per scrivere io mi sono rifatto al mio sguardo da bambino che avevo negli anni ‘70, mi sembravano interessanti per altro, la prima metà degli anni ‘70 nel napoletano, sono degli anni abbastanza modesti, non c’era ricchezza nei negozi o nelle case e c’era però allo stesso tempo una grande allegria e nessuna particolare barriera sociale, non c’erano degli status che segnavano delle differenze. Volevo riportare in vita quegli anni lì ma non in maniera nostalgica, non è presentato come un ricordo di qualcuno. Volevo rappresentare un film negli anni 70 come se la realtà fosse quella, quindi la difficoltà per me era cercare di fare una realtà negli anni 70 non pop, non nostalgica e quegli anni per la donna, per la costituzione della famiglia mi sembravano importanti. Il personaggio di Luca è un padre normalmente presente in quegli anni, anche affettuoso ma non ha gli strumenti che abbiamo noi oggi. Gli stessi zii che portano in giro Peppino a fare esperienze possibilmente dannose, comunque gli vogliono bene, su questo mi sono focalizzato.

Luca Zingaretti: Non c’è dubbio che noi stiamo vivendo in maniera migliore rispetto a quegli anni là ma mi è venuta da rimpiangere due cose, la prima è il borsello, pensate la comodità, non si poteva vedere, una bruttezza ma se si esclude il lato estetico era di una comodità.. ma l’altra cosa è la dimensione della lotta per i propri desideri. Ora come ora non facciamo neanche in tempo a lottare per un sogno che già lo otteniamo. Nel film i personaggi lottano per raggiungere il proprio futuro, con l’intento di renderlo migliore. Oggi effettivamente questa nostra capacità dura un po’ meno. Ecco se devo essere nostalgico lo sono verso questo aspetto.

Valeria Golino: Eravamo giovani, piccoli. Abbiamo più o meno la stessa età, Ivan ed io e abbiamo quindi lo stesso tipo di ricordi. Parte degli anni ‘70, avevo 6-7 anni ero in Grecia, erano veramente su un altro pianeta, in pochissimi anni sono successe tante cose, quello di cui parlava Luca quella specie di allegria, quell’aspetto non pedagogico, c’è secondo me va al di là della casta sociale, nel senso che non è che la piccola o la media borghesia avevano diversi modi, secondo me anche i più colti potevano avere la mancanza di strumenti per essere dei padri che ha il nostro papà nel film. In quel periodo c’era proprio un modo di vivere l0infnazia che era molto diversa. Quando vedo i genitori di oggi sono da una parte sbigottiti, dall’altro mi fanno capire che oggi c’è molta più attenzione verso l’essere bambino, io invece mi ricordo di grandi momenti di solitudine e di noia ma non vuol dire che non mi sono sentita amata dai miei genitori ma era proprio un modo diverso di trattare i bambini ma quello ti dava l’opportunità di annoiarti e fare cose che oggi neanche immagineresti avere il tempo di fare. Credo che sia quasi un privilegio di essere nata negli anni 70, come quello di essere nata al sud.

Libero De Rienzo: Io c’ero, anzi la vicenda mi appartiene anche particolarmente. La cosa più forte di tutte sono state una serie di memorie olfattive nel senso che la città profuma puzza ancora come quando c’ero io nella mia infanzia. È stata fatta una ricostruzione molto attenta di scenografia e costumi e questo ci ha dato modo di essere il più naturali possibili.

Cristiana Capotondi: Io non c’ero e sono stata una bambina anni 80 purtroppo, con fiocco tra i capelli e vestito abbinato e questo lo recrimino ancora a mia madre. Negli anni 70 erano lasciati al gioco improvvisato, era una cosa positiva, anche negli anni 80 lo spazio era lasciato alla creatività, ora purtroppo non è più così, con videogiochi ed apparecchi che ti privano di qualsiasi stimolo creativo.

Fabrizio Gifuni: Questo ha di buono il cinema o il teatro, cioè quello di tentare con pazienzax di ricostruire il nostro passato. Io sono convinto sempre di più che niente di tutto quello che accade oggi sia comprensibile senza uno sguardo costante sul nostro passato anche perché uno degli obbiettivi degli ultimi decenni è stato proprio quello di cancellare la memoria del nostro paese per avere la possibilità senza di essa di fare tutto ed il contrario di tutto, per questo il cinema ed il teatro danno molto spesso fastidio al potere, perché ci ricordano il passato e ci fanno rendere conto di come sia stato possibile sprofondare in questo presente. Una cosa che per me è molto forte è la differenza siderale che c’è nel rapporto con i corpi, i corpi che adesso abitano il nostro paese, sono lontani anni luce da quelli lì, sempre corpi nuovi, rifatti che allontanano l’idea di morte e vecchiaia. Ricordarci quanto quei corpi non si curavano di rimuovere l’idea della morte, della vecchiaia e non inseguivano l’idea di perfezione imposta dalla società dei consumi che già negli anni 70 era presente ma che sicuramente oggi controlla con molta più ingerenza le nostre abitudini. Non voglio farsi ricordare più come eravamo, per questo mi sembra importante che gli anni 70 siano protagonisti di questo film.

Ivan, il discorso finale sulla diversità che viene fatto sul tetto di quell’edificio, l’hai messo lì, alla fine, è quasi vagamente inatteso ma ne capiamo l’importanza. È una scelta tua precisa di accompagnare lo spettatore attraverso il clima goliardico fino alla fine per poi farlo riflettere?

Ivan Cotroneo: Per me era molto importante che il film finisse con quel discorso, quando l’abbiamo messo insieme con le sceneggiatrici ci spaventava molto. Superman, quando parla della diversità e dell’importanza mista alla fatica di esserlo, lo dice cercando di rispettare il tono del film, dando fastidio al bambino che a quell’età vorrebbe solo essere normale, però era importante per me in quel mo,mento perché era una conclusione che si andava ad inserire nel computo di altre conclusioni nel film, questo per me è un film sulla ricerca della felicità ed attraverso delle esperienze dolorose, sogni infranti, i personaggi continuano ad inseguire la propria felicità, la felicità è possibile ma non è una passeggiata, è faticosa ed alla fine quando il protagonista dichiara di essere pronto, lo dichiara consapevole della fatica che dovrà affrontare.

Gennaro, Superman ha paura soltanto della Kryptonite. Voi, di cosa avete paura?

Ivan Cotroneo: Ho paura di far male alle persone alle quali voglio bene, questa è la mia più grande paura.

Valeria Golino: Io ho paura che le persone alle quali voglio bene mi facciano male

Luca Zingaretti: Io veramente non saprei scegliere tra tutte le paure.. ho due paure sostanziali, una è quella di dimenticare le cose belle che mi sono successe nel passato e che spesso mi capita purtroppo. L’altra è quella di sprecare del tempo, penso che la vita sia meravigliosa e spesso e volentieri capita a tutti di sprecarla in svariate occasioni, io dalla mattina cerco di godermi la giornata che ho davanti.

Cristiana Capotondi: La mia paura più grande è sempre quella di non aver capito il senso della vita, il perché siamo qua, al di là di ogni morale o religione. Mi piacerebbe riuscire ad essere quella che sarei stata al di là dell’essere nata in una famiglia cattolica e con questi valore, la mia persona a prescindere da tutto.

Libero De Rienzo: io sono terrorizzato dalle conferenza stampa e da queste domande!

Fabrizio Gifuni: Dalla morte al senso della vita. Le abbiamo dette tutte, che altro ci sta? L’indifferenza forse, voto per questa come cosa che mi terrorizza.

Ivan Cotroneo: Luigi non ha avuto paura sul set, è la prima volta che veniva su un set, è la sua prima conferenza stampa.. è veramente un bambino coraggioso. Sul set non ha avuto paura di nulla, s’è lanciato e non ha avuto esitazioni. In tutto questo siccome gli sono stato molto vicino, pensavo dicesse voglio essere un regista ma in realtà ha risposto che vuole diventare direttore della fotografia, evidentemente luca bigazzi ha avuto il suo effetto. Io volevo ringraziare anche i due produttori, questo film nasce da una loro idea che hanno letto il libro e mi hanno proposto la trasposizione. Gli ho fatto una testa così su quello che avrebbe dovuto e non dovuto fare questo ipotetico regista ed allora loro hanno proposto a me di fare la regia. È partito, è stato messo in piedi per cui ho avuto una lunga preparazione per affrontare tutto.

Progetti futuri?

Ivan Cotroneo: non ho un progetto futuro, questo dice molto della situazione di questo paese e del cinema

Luigi Catani: studiare.

Valeria Golino: Io sto in teoria preparando questo film da regista, questo lungometraggio ma credo che prima farò il film di Maria Sole Tognazzi (“Il Viaggio Sola”, commedia romantica sofisticata) scritto da Cotroneo e Francesca Mocciano che invece ha scritto il mio film (che ancora non ha titolo), quindi ce la cantiamo e ce la suoniamo, siamo sempre noi e questo mi mette allegria. C’è come un senso di appartenenza tra le persone che hanno un certo senso del cinema, siamo diventati senza accorgersene un gruppo. 

Luca Zingaretti: Non c’ho tanta voglia di parlare dei miei programmi futuri perché oramai è sempre tutto altalenante, non posso sbilanciarmi, diciamo che ho delle cose in ballo, speriamo si concretizzino, sono molto belle, quindi speriamo vadano avanti. Siccome sono tre anni che porto avanti la lettura di Tomasi da Lampedusa, m’è tornata la voglia di tornare a fare teatro, ho comprato i diritti per trasporli e se riusciamo ad andare in porto l’hanno prossimo proverò a fare questa regia teatrale

Cristiana Capotondi: Adesso abbiamo un tour che ci aspetta, portare La Kryptonite in giro per l’Italia, questo è il primo progetto ora.

Libero De Rienzo: Di sicuro finalmente sembra che ho trovato una famiglia cinematografica nella quale sto bene, qui in sala ci sono delle persone con le quali vorrei continuare a lavorare in futuro.

 

 

 

Interviste

Stranizza d’Amuri: incontro con Giuseppe Fiorello e il cast del film | VIDEO

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Stranizza D'Amuri anteprima a Roma

Stranizza D’Amuri anteprima a Roma – Newscinema.it

Dal 23 marzo arriva al cinema Stranizza d’amuri, il primo lungometraggio da regista di Giuseppe Fiorello. Siamo stati all’anteprima di Roma.

Giuseppe Fiorello porta sul grande schermo una storia di un’amicizia e di un amore senza tempo ispirato a un tragico fatto di cronaca avvenuto in Sicilia negli anni ’80. Ambientato tra Noto, Marzamemi, Ferla, Buscemi, Priolo e Pachino, il film è interpretato da Gabriele Pizzurro e Samuele Segreto come protagonisti principali, affiancati da Fabrizia Sacchi e Simona Malato nei ruoli delle rispettive madri.

Siamo stati all’anteprima romana del film e abbiamo assistito all’incontro stampa con Fiorello e parte del cast. Potete vedere alcuni estratti di quello che hanno raccontato di questa esperienza nel video qui sotto.

Stranizza d’Amuri: video intervista

Stranizza d’amuri è anche una canzone di Franco Battiato, il titolo del film è un omaggio al Maestro siciliano la cui musica è grande protagonista del film. Dedicato a Giorgio e Antonio, vittime del delitto di Giarre, avvenuto nel 1980 in provincia di Catania.

Fiorello è rimasto particolarmente colpito dalla storia vera più di dieci anni fa e ha tenuto nel cassetto per molto tempo il sogno di trasformare tutto in un film. Giunto il momento, dal 23 Marzo è possibile vivere questo amore impossibile sul grande schermo per dare un forte messaggio al pubblico e sensibilizzarlo su una realtà omertosa e ignorante che ha lasciato il segno nel passato.

Stranizza D'amuri film

Stranizza D’Amuri – Newscinema.it

Stranizza D’Amuri: la trama del film

Sicilia 1982. Mentre le televisioni trasmettono i Mondiali di calcio e gli italiani sperano nella Coppa del mondo, due adolescenti sognano di vivere il loro amore senza paura. Gianni e Nino si incontrano per caso e poi si amano per scelta.

Il loro amore sarà puro e sincero, ma non può sottrarsi al pregiudizio del paese che non comprende e non accetta. Il loro amore non sarà compreso nemmeno dalle rispettive famiglie, generando così un conflitto interno forte e doloroso. Stranizza d’amuri racconta il sogno di amarsi senza paura.

 

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Interviste

Intervista al regista Marco Tullio Giordana: “Bertolucci mi ha salvato la vita”

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La XXI edizione del Festival del cinema di Porretta Terme ieri sera ha celebrato un evento speciale dedicato al cinquantesimo anniversario dalla prima proiezione italiana del film Ultimo tango a Parigi diretto da Bernardo Bertolucci. Una ricorrenza speciale non solo per la manifestazione cinematografica, ma anche per il regista Marco Tullio Giordana, che abbiamo avuto di intervistare telefonicamente.

Ultimo tanto a Parigi compie 50 anni

Tra i film più acclamati e discussi della storia del cinema italiano, Ultimo tango a Parigi ricopre sicuramente un posto d’onore. Ben cinquanta anni fa, per la première italiana di questo film, il 15 dicembre 1972, venne scelta la location di Porretta Terme, più precisamente del cinema Kursaal. Giudicata un capolavoro e uno scandalo, allo stesso tempo, questa pellicola diretta da Bernardo Bertolucci vide la partecipazione di attori del calibro di Marlon Brando e Maria Schneider.

Nonostante sia trascorsi così tanti anni dalla sua realizzazione, ancora oggi, viene ricordato come uno dei titoli rimasti vittima della censura giudiziaria, tanto che nel 1976 vennero distrutte moltissime copie del film. La versione proiettata ieri sera si tratta della pellicola restaurata da Vittorio Storaro per il CSC – Cineteca Nazionale nel 2018.

Marco Tullio Giordana e il legame con Ultimo tango a Parigi

A prendere parte all’unico evento ideato e realizzato per celebrare il cinquantesimo anniversario di questo film è stato il regista e sceneggiatore Marco Tullio Giordana (I cento passi, La meglio gioventù, Romanzo di una strage). Nell’intervista rilasciata per NewsCinema, il cineasta milanese non solo rende omaggio alla professionalità di Bertolucci, ma ricorda anche l’esatto momento nel quale, il regista – inconsapevolmente – con la sua arte, gli salvò letteralmente la vita a Parigi.

Intervista al regista e sceneggiatore Marco Tullio Giordana

Buon pomeriggio signor Giordana. Sono solita aprire le interviste con una domanda: come sta?
Ho un po’ di mal di gola, ma professionalmente sto benissimo. Sono a Padova per l’ultima settimana di repliche su uno spettacolo di Pasolini che ho realizzato con Luigi Lo Cascio, scegliendo anche le poesie di Pasolini e creando una drammaturgia intorno a queste poesie. Lo spettacolo ha debuttato a Venezia, poi è stato a Verona, a Milano e adesso Padova. Lo spettacolo si chiama Pa’ come erano soliti chiamarlo i ragazzi in tono dispregiativo.

Era da tempo che non lavoravo con Lo Cascio e mi sono chiesto chissà come lo avrei ritrovato. Invece è stato bellissimo ritrovare una persona così allegra, pronta a cambiare. È stato meraviglioso ritrovarlo intatto nel tempo, come uno strumento musicale che non si è fatto scalfire dal tempo ma ha acquisito solo maggiore esperienza nel suono.

Domani al Festival di Porretta Terme verrà celebrato il cinquantesimo anniversario del film cult Ultimo tango a Parigi diretto da Bernardo Bertolucci. Cosa la lega emotivamente e professionalmente a questo film? Cosa ha provato la prima volta che ha avuto modo di vederlo finito?
Sicuramente una sensazione strana, perché nei titoli di testa erano stati inseriti dei quadri di Francis Bacon, che io avevo visto alla mostra e che erano state all’origine dell’incontro fortuito con la troupe di Ultimo tango a Parigi. E poi, perché la prima scena di apertura del film è quella che io ho visto girare. Ho pensato ma questo è proprio il mio film, ma non avevo nessuno con cui vantarmi. Aver avuto la possibilità di vedere quella scena in macchina da presa mi ha dato tutta un’altra visione rispetto a quella del film. Il film mi è piaciuto molto e l’ho trovata molto conturbante.

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Leggendo alcune delle dichiarazioni che ha rilasciato in varie occasioni, mi ha sorpresa molto scoprire che dopo aver visto dal vivo Bernardo Bertolucci dirigere Ultimo tango a Parigi, lei abbia desistito nel compiere un gesto estremo, a causa di una grande delusione artistica. Quindi possiamo dire che il regista, inconsapevolmente, le ha salvato la vita?
È assolutamente vero! Lo devo ringraziare! A me è capitato di andare sul set di alcuni amici, ma devo dire che è il luogo più noioso del mondo. Se uno non è lì per fare qualcosa, c’è solo un tempo infinito ad aspettare qualcosa che non si capisce. Spesso regna il malumore, la tensione e per questo non sono molto felice di andarci.

Invece in quel set a Parigi, si respirava un’aria allegra, seducente, dove tutti erano pronti a compiacere questo regista molto affascinante e che non aveva bisogno di alzare la voce per farsi rispettare. Tutti lo volevano assecondare. Questa atmosfera mi colpì molto. Non avevo mai visto girare prima, pensavo che il cinema fosse così. Tanti anni dopo, quando mi sono ritrovato a lavorare su un set, ho voluto assomigliare a lui non solo come regista, ma come atmosfera nel quale si lavora.

Mi chiedevo, ma lei ha mai pensato a cosa sarebbe potuto accadere se lei non fosse mai passato di lì? O se al posto di Bertolucci avesse visto un altro regista?
Io sapevo chi era Bertolucci. Stavo un po’ lontano perché avevo paura che mi cacciassero, che mi prendessero per uno stalker. Però man mano mi avvicinavo come un camaleonte, per prendere i colori. Io avevo visto il film Prima della Rivoluzione di Bernardo Bertolucci perché mi piaceva molto andare al cinema. La sera al quartiere latino, davano Strategia del ragno e quello è stato il film che mi ha portato a dire: “voglio fare anche io cinema”.

È pazzesco vedere come un uomo ti può cambiare la vita senza saperlo. Tra l’altro questa cosa gliela raccontai molti anni dopo, a Bologna nel 2005. Anno nel quale il mio film La meglio gioventù era riuscito a battere ai David di Donatello i miei due maestri, Bertolucci e Bellocchio. Ricordo che rimase molto colpito dal mio ricordo.

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Negli ultimi anni, la figura di Aldo Moro è stata spesso portata sul piccolo e grande schermo. Lei stesso lo ha fatto con il film Romanzo di una strage, nel quale vediamo Fabrizio Gifuni calarsi perfettamente nel leader politico della DC, prima ancora di Esterno Notte diretto da Marco Bellocchio. Tra i suoi primi titoli, appare il documentario Forza Italia di Roberto Faenza, al quale partecipò in veste di autore, incentrato sulla crisi della DC. Un esordio che avvenne durante un periodo complesso per l’Italia, dato che uscì nel 1978, a pochi giorni dal rapimento e omicidio proprio di Aldo Moro. Secondo lei, come mai la figura di questo politico è diventata così necessaria da raccontare al cinema o in televisione?
Guardi lei mi ha fatto riaffiorare un ricordo molto forte per me, legato al film Forza Italia, realizzato con materiali di repertorio. Tranne poche cose girate, che tra l’altro girai io stesso. Ricordo che quello che avrei dovuto riprendere era l’arrivo di questi democristiani nella sede di Piazza del Gesù a Roma in occasione di una Direzione Nazionale. Ovviamente avevo la debita autorizzazione come operatore e vidi arrivare Fanfani, Forlani, Andreotti e anche Moro.

Ricordo che lo seguimmo e lui non prese le scale come gli altri ma prese un ascensore che non però non arrivava mai. Moro pazientemente stette per alcuni minuti ad aspettare in silenzio. Non appena le porte si aprirono, si girò verso di noi e disse: “siete sazi?” entrò in ascensore e andò via. Aldo Moro è stato il primo attore che ho inquadrato nella mia vita. Quando ho fatto il mio primo film, Maledetti vi amerò (1979) era passato appena un anno dal suo rapimento e assassinio. In quel film ho sentito il bisogno di parlare sia di Aldo Moro e sia di Pasolini. Due figure le cui morti hanno segnato e cambiato il destino dell’Italia.

Il film Buongiorno, notte di Marco Bellocchio è la cosa migliore fatta per raccontare quel periodo. Ho trascorso anni ad arrovellarvi, cercando di trovare la chiave giusta per raccontare quegli anni. Quando ho visto il film di Bellocchio mi sono sentito liberato. Lo spirito del tempo e ciò che ha raccontato è stato fantastico e io stesso non sarei stato capace di farlo meglio.

Pensando al vostro modo di fare cinema, trovo in lei e in Marco Bellocchio, una capacità di riuscire a raccontare storie realmente accadute e che hanno segnato pagine drammatiche del nostro Paese, in maniera profondamente incisiva e in grado di arrivare alla mente e al cuore dello spettatore.
La ringrazio molto. Diciamo che c’è anche una parentela ideale con il film che ho girato io, Romanzo di una strage in cui Gifuni interpreta un Moro più giovane. Fabrizio Gifuni è un uomo molto intelligente, persona serissima e a volte lo sgrido e gli dico “Fabrizio sorridi!”.

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Nei suoi film vengono spesso raccontate storie di giovani, uno su tutti Peppino Impastato, e di fatti realmente accaduti nella storia del nostro Paese. Per quale motivo ha voluto orientare il suo cinema verso questo genere che non sfrutta la finzione o la fantasia?
A me non interessa di raccontare il passato, ma di andare a scoprire e di tirar fuori dal buio, delle cose che uno crede siano andate in un modo e invece sono andate in un’altra. Rivelare l’altra faccia di luoghi comuni. Pensando a Peppino Impastato è stato detto che lui fosse una specie di terrorista, morto mentre cercava di armeggiare un ordigno per far saltare un treno. Questo è segno anche della vigliaccheria con cui i mafiosi non hanno voluto attribuirsi quel delitto, cosa che di solito fanno sempre, perché serve per intimidire.

Questa mi sembrava un’ingiustizia nei confronti di una figura così affettuosa. Non era un uomo burbero che scagliava gli anatemi. Era una personalità divertente che utilizzava l’arte, la commedia attraverso la sua radio per rappresentare i conflitti della terra in cui viveva in maniera fantasiosa. Mi è sembrato bello raccontare la storia di questo ragazzo. E devo dire che poi quando uscì, fece una fortuna immensa proprio per questa caratteristica di non raccontare la storia di un eroe inimitabile e che facesse dire a chiunque lo guardasse “io non riuscirò mai ad essere come lui”.

Vedere nei comportamenti quotidiani lottare con allegria e promettere sollievo, anziché tetraggine. Poi ebbi la fortuna di incontrare un interprete fenomenale, quale Luigi Lo Cascio. Fui molto fortunato. Ricordo la lavorazione in Sicilia, la collaborazione di tutti. Noi abbiamo girato a Cinisi, proprio nella città, nei posti veri. Non abbiamo dovuto nasconderci da un’altra parte.

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Questo film quindi è stato un atto di verità e di giustizia per Peppino Impastato, riuscendo ad entrare e a restare nel cuore degli spettatori. Cosa pensa quando viene invitato nelle scuole per parlare di film I cento passi?
Ogni volta che mi invitano nelle scuole medie e superiori sono molto felice di andarci. Mi è capitato anche durante il periodo del lockdown di connettermi al pc per parlare con loro. Lo faccio molto volentieri perché i ragazzi inizialmente fanno sempre un po’ di chiasso, ma poi il film prende e si identificano e capiscono tutti i passaggi. Alla fine si è creato un rapporto, come se fossimo amici. Il cinema è anche questo.

Ultimamente è uscito il film Yara, nel quale viene raccontato il brutale omicidio della giovane ginnasta Yara Gambirasio. Se dovesse scegliere di raccontare un fatto di cronaca realmente accaduto in Italia negli ultimi vent’anni, la sua scelta su quale vicenda ricadrebbe?
Non saprei. Il film si intitola giustamente Yara perché racconta l’indagine, il processo e come si è arrivati alle tre sentenza di giudizio. Mi sono basato su tutte le carte processuali. Ma il cuore del film è rappresentato dal personaggio della giudice che malgrado tutte le interferenze, le ostilità, i partiti presi, vuole andare fino in fondo.

A me piace raccontare le storie di persone per bene e che hanno volontà di fare qualcosa di buono. Se non c’è questo elemento a me passa la volontà di raccontare la storia. Non mi piace raccontare di storie di criminali e farli diventare degli eroi. Adesso tra i delitti che vedo accadere, non vedo elementi sui quali posso appoggiarmi per affrontare tutto il dolore che comporta raccontare queste storie.

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Interviste

Intervista a Fabrizio Gifuni: “Trent’anni che faccio l’attore e non ho mai perso l’entusiasmo”

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Il Festival del cinema di Porretta Terme giunto alla XXI edizione (dal 3 al 10 dicembre) ha visto tra i suoi illustri ospiti, l’attore e regista romano Fabrizio Gifuni, vincitore del prestigioso Premio Speciale Elio Petri. Pochi minuti prima della cerimonia di premiazione, avvenuta ieri pomeriggio presso lo Spazio FCP, abbiamo avuto modo di intervistarlo telefonicamente e di ascoltare tutta la sua emozione nel ritirare questo premio, a lui molto caro per una serie di motivi che potrete scoprire leggendo le sue dichiarazioni.

Il successo della serie Esterno Notte di Marco Bellocchio

L’ ultimo successo – in ordine di tempo – di Fabrizio Gifuni è stata la serie Esterno Notte diretta da Marco Bellocchio e andata in onda lo scorso novembre su Rai Uno. L’interpretazione molto intensa e apprezzata da pubblico e critica, lo ha visto raccontare gli ultimi giorni di vita del fondatore della Democrazia Cristiana, a seguito del suo rapimento ordito dalle Brigate Rosse.

Tristemente protagonista di una via crucis durata cinquantacinque giorni di prigionia, prima della sua uccisione avvenuta il 9 maggio 1978, l’attore romano ha dato prova di un’altra interpretazione magistrale nei panni del fondatore della Democrazia Cristiana. Un racconto risultato ancora più intenso e toccante agli occhi dello spettatore, grazie ad una straordinaria somiglianza e trasformazione fisica di Fabrizio Gifuni nelle vesti di Aldo Moro.

Premio Speciale Elio Petri a Fabrizio Gifuni | la motivazione

Proprio sulla scia di questo grande risultato, la giuria del Festival del cinema di Porretta Terme ha voluto conferire a Fabrizio Gifuni il Premio Speciale Elio Petri con la seguente motivazione.

La straordinaria capacità di Fabrizio Gifuni nel confrontarsi con tutti i grandi personaggi e le più importanti situazioni del Novecento è alla base della sua straordinaria carriera come attore. Da Aldo Moro a Franco Basaglia, da Alcide De Gasperi all’economista illuminato di “La meglio gioventù”, Gifuni ha saputo con i suoi personaggi raccontare contraddizioni e sentimenti delle generazioni del secondo dopoguerra.

A teatro, poi, ha saputo portare sulla scena Pier Paolo Pasolini e Aldo Moro con grande intensità, senza rinunciare a partecipazioni straordinarie importanti come in “Il capitale umano” di Paolo Virzì e senza rinunciare a importanti sperimentazioni come quelle nelle quali è stato diretto da Giuseppe Bertolucci e da Franco Battiato. Gifuni unisce una straordinaria tecnica recitativa a una grande sensibilità personale, che lo rendono un attore unico nel panorama dello spettacolo italiano.”

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Intervista a Fabrizio Gifuni

Ciao Fabrizio, complimenti e grazie per la disponibilità. La prima domanda che vorrei porti, forse è anche la più complessa: come stai?

Bella domanda, che bel modo per iniziare un’intervista. Sto bene. Compatibilmente con i tempi che non sono particolarmente luminosi e sono abbastanza apocalittici. Quest’anno sono trent’anni che ho scelto di fare questo lavoro professionalmente. Sono felice che in questa lunga marcia, non ho mai perso l’entusiasmo, la passione e la voglia di rendere onore al gioco che per me è la più alta delle attività umane.

Come sapevano gli antichi greci “solo chi sa giocare, può salvare la città”. I greci raccontavano nell’Edipo che si usciva dalle pandemie e dalle pestilenze risolvendo un indovinello e uccidendo la Sfinge. Credo che quella fosse una metafora molto precisa, che aveva a che fare anche con la capacità ludica dei cittadini, di mantenersi in contatto con il gioco e con l’infanzia.

Cosa vuol dire per te aver ricevuto il Premio Elio Petri al Festival del Cinema di Porretta Terme?

È una cosa che mi emoziona moltissimo. I premi naturalmente fanno sempre piacere quando arrivano, perché sono un riconoscimento al lavoro fatto fin qui. Ma questo mi fa particolarmente piacere, perché Elio Petri è stato uno dei registi, se non il regista, che ha maggiormente influenzato e determinato la mia scelta di fare questo mestiere più di trent’anni fa. La scoperta travolgente dei suoi film, a partire da Indagine, Classe operaia, Todo Modo, mi ha portato a pescare in questo pozzo meraviglioso delle meraviglie.

La visione di quei film e che non capivo durante la mia adolescenza e giovinezza, che non riuscivo a mettere a fuoco, sentivo che mi emozionavano particolarmente. Credo che il lavoro fatto da Elio Petri e la stagione che ha condiviso con l’altro gigante assoluto del nostro lavoro, Gian Maria Volonté, abbia portato qualcosa di realmente nuovo nel nostro Paese, non solo da un punto di vista artistico, ma da un punto di vista etico e intellettuale.

Un’altra cosa che mi emoziona, che ho detto recentemente, risale a trent’anni fa, quando ho iniziato a fare questo lavoro e mi sono imbattuto in un piccolo saggio della benemerita casa editrice che è Il Castoro, con la collana “Il Castoro cinema” dedicato ai registi. Ho letto un saggio su Elio Petri di Alfredo Rossi, davvero illuminante e che secondo me, meglio di qualsiasi altro scritto è riuscito a raccontare in profondità il cinema di Elio Petri. Scoprire che trent’anni dopo, nella giuria del premio Petri che mi verrà attribuito c’è proprio Alfredo Rossi, è qualcosa che mi emoziona particolarmente.

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Possiamo dire che è come un cerchio che si chiude?

Sono tanti cerchi che si chiudono. Questo premio arriva anche al termine di un anno e di un lavoro fra i tanti, molto impegnativo e gratificante come è stato Esterno Notte di Marco Bellocchio, che si aggira in territori abbastanza vicini al Todo Modo di Elio Petri. Tornare a lavorare su una figura come quella di Aldo Moro, che Volonté aveva incontrato due volte sul suo cammino cinematografico, una delle volte con Petri, mi fa pensare che a tanti piccoli segni, tanti piccoli fili che si riuniscono.

Elio Petri ha realizzato diversi film di denuncia, sulla classe operaia, che hanno alimentato qualche polemica. Anche tu hai fatto film impegnati in questo senso come La meglio gioventù, Romanzo di una strage, Il Capitale Umano, per citarne alcuni. Cosa ne pensi del ruolo del cinema per veicolare messaggi di cambiamento e ideologia?

Questo è un discorso complesso che meriterebbe molto più tempo, perché temo che in due battute si riduca molto il discorso. Credo che il cinema continui ad essere, sia pure con un tempo profondamente diverso rispetto a come si muovevano cineasti come Elio Petri, Rosi, Montaldo, i grandi protagonisti della stagione del grande cinema italiano. Per questo credo che è difficile fare un qualsiasi tipo di raffronto.

Il cinema continua a esserci nonostante i cambiamenti, nonostante le crisi profonde, a essere uno strumento straordinariamente grande. Così come lo è il teatro, al quale io dedico sempre molti mesi del mio lavoro durante l’anno, che non ho mai lasciato e che è profondamente collegato per vasi comunicanti al lavoro che cerco di fare al cinema e in televisione, quando se ne presenta l’occasione. Non ho mai creduto agli attori teatrali, agli attori cinematografici e agli attori televisivi. La pratica e la professione è una sola, poi sta a ciascun interprete declinare a seconda della propria passione, del proprio talento o dell’occasione il proprio lavoro in un ambito piuttosto che in un altro, però l’attore resta una cosa sola.

Il cambiamento più grande è stata la saturazione delle immagini. Da alcuni decenni, anzi negli ultimi vent’anni, siamo affogati quotidianamente da immagini che ci arrivano dai computer e dai telefoni, per cui, riuscire attraverso le immagini a restituite ancora una sorpresa, uno stupore, uno scandalo e essere particolarmente incisivi da un punto di vista emotivo, oltre che intellettuale, è molto più difficile rispetto a un tempo. Poi ci sono temi che non tramontano mai, come la libertà di espressione, dell’autocensura, ricordando quanto sia importante resistere in ogni epoca alle censure di ogni Paese. Questa forma di repressione viene portata avanti anche a Paesi apparentemente democratici ma dotate di forme molto più suadenti di autocensura per cui un’artista è chiamato a smarcarsi.

I Festival sono sempre un’occasione per toccare il cinema con mano in un certo senso, come le sale cinematografiche che permettono l’esperienza di uscire di casa e ritrovarsi in un luogo per condividere le emozioni di un film con gli altri. Vorrei chiederti, cosa ne pensi del futuro della sale e dell’ascesa dello streaming? Tra l’altro, anche tu stesso hai avuto modo di interpretare il ruolo di protagonista in un film d’azione, La Belva per Netflix, mostrandoti in una versione inedita, sconvolgente e molto ben riuscita.

Grazie mille, mi fa piacere che sia piaciuto il personaggio interpretato ne La Belva. Come dicevo all’inizio, questo vuol dire anche rendere onore al gioco. La produzione cinematografica e televisiva con l’avvento delle piattaforme hanno cambiato inevitabilmente la sala. Passare dal personaggio de La Belva a quello di Esterno Notte, significa smarcarsi da un certo tipo di pigrizia, soprattutto del sistema produttivo che tende molto a incasellare gli attori dividendolo come attore drammatico, comico, borghese, proletario, ed è la morte di questo lavoro. Penso che siamo nel pieno di un cambiamento epocale, che non riguarda solo il nostro lavoro, ma tutto il Pianeta.

Per quanto riguarda il nostro lavoro, trovo che sia una sfida tutta da giocare, perché credo che ci siano tutti i margini per recuperare la funzione e l’affascinazione della sala cinematografica, senza negare quello che è successo e dal quale non si tornerà indietro. Credo che sia necessario, soprattutto per le nuove generazioni, uno sforzo di inventiva e di fantasia, per reinventare quei luoghi. Le sale cinematografiche novecentesche sono in grandissima difficoltà e come sono state concepite un tempo, corrispondevano a una società che non è più questa.

Bisogna trovare il modo di far resuscitare il desiderio di uscire di casa, di andare in un luogo, di condividere un’esperienza e di staccarsi dal divano, in cui comodamente possiamo usufruire di milioni di titoli. Ci vuole uno sforzo di fantasia, di inventiva, è una bella sfida che non credo sia persa in partenza, però non è solo con gli slogan o gli appelli che si può risolvere il problema, ci vuole qualcosa di più.

Prima di salutarci vorrei porti un’ultima domanda: guardandoti indietro, professionalmente parlando, rifaresti tutto ciò che hai fatto?

Si. Naturalmente ci sono cose di cui sono più contento e altre meno contento. Ma non c’è niente che non rifarei e questo mi da un certo sollievo perché vuol dire che questi primi trent’anni di marcia sono stati fatti con un certo criterio e quindi rifarei tutto. Sicuramente alcune cose le rifarei in un altro modo, ma non c’è qualcosa di cui mi pento.

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