“Irrintzi”, primo album da solista per Xabier Iriondo

Baffetto alla Frank Zappa, capelli lunghi e una chitarra – una strana chitarra. Così si presenta Xabier Iriondo al pubblico dei suoi concerti, un pubblico che arriva ad essere decisamente più massivo quando l’eccentrico artista si trova a cavalcare i palchi di tutta Italia con la sua band, gli Afterhours. Iriondo ha suonato con il gruppo dal 1992 al 2001, per poi prendersi una lunga pausa di dieci anni e ritornare a schitarrare con Agnelli e soci solo nel 2011, in occasione di un tour statunitense. Il periodo di distacco dalla band milanese è risultato essere – contrariamente a quanto si possa credere – ugualmente prolifico, basti pensare alle sue innumerevoli collaborazioni – Uncode Duello, The Shipwreck Bag Show, Cristina Donà, Verdena e No Guru (tanto per citarne alcune) -, ma anche all’apertura di un negozio/laboratorio di strumenti musicali suggestivi a Milano, chiamato Soundmetak. Già perchè Xabier Iriondo, ben lungi dal vestire i panni del chitarrista ortodosso, asseconda una tendenza decisamente naif, orientata alle sperimentazioni avanguardistiche di cui il Mahai Metak – bizzarra chitarra di cui è inventore – risulta essere emblema. Queste anti-convenzioni, che possono rimandare a quelle opere dell’arista greco Takis – aventi per oggetto suoni emessi magneticamente -, hanno caratterizzato la sua verve artistica dagli esordi fin a tempi recentissimi. E’ stata, infatti, la medesima spinta propulsiva a  portarlo, nel corrente 2012, alla pubblicazione di Irrintzi, sua prima fatica discografica in veste di solista.

L’album, composto da 9 brani, funge da cartina di tornasole dello spirito iconoclasta di Iriondo, ma se gli spunti creativi, a cui il nostro attinge, possono considerarsi interessanti, la messa a punto degli stessi non sempre può dirsi monolitica. Ma procediamo per punti. Irrintzi si apre con Elektraten Aurreskua, coacervo di suoni etnici – emessi da txitsu, tum-tum e alboka, nonchè dalla voce di una bambina – che rievocano (così come in Itziar En Semea) le origini basche  del musicista. Il brano funziona. Come preludio. Ci si aspetterebbe infatti una risoluzione nelle tracce seguenti, che però tarda ad arrivare. Lo stesso approccio si ripresenta in Irrintzi e ne Il cielo sfondato, in cui una progressione armonica cromatica, la preziosa presenza di Paolo Tofani (celebre chitarrista degli Area) e le incursioni ‘indianeggianti‘ dello Shahi Baaja non aiutano a far decollare l’artefatto sonoro caleidoscopico.

A dir poco suggestiva, invece, l’idea canalizzata in Gernika Eta Bermeo, catalisi di una memoria collettiva richiamante il dramma della sanguinosa strage di Guernica – fonte di ispirazione anche per l’omonima e celeberrima opera di Picasso – e ricordata dalle parole di Karmel Iriondo Etxaburu, padre di Xabier, nonché testimone diretto del bombardamento. Si arriva, quindi, alla parabola finale del lavoro, altamente coverizzata. Un mosaico di tasselli contingenti ma in rapporto dualistico. Il susseguirsi del mash-up di Preferirei piuttosto gente per bene gente per male, dialogo montato tra Francesco Currà e Lucio Battisti; il riadattamento di The Hammer  dei Motorhead; Cold Turkey di John Lennon, suonata con i colleghi degli After – e probabilmente il brano più riuscito -, formano infatti gli ingredienti di un pastone indigesto, di una melodia litanica. Quello che Iriondo espone è una sperimentazione scevra, altamente autoreferenziale. Irrintzi è un cane che si morde la coda, un leone che ruggisce come un chihuahua, un’esegesi noise priva di fonti ed interrelazioni. Manifesto di una consistente conoscenza sonora ma di una scarsa geometria musicale.

La tavolozza è piena di colori che non trovano spazio su tela.  Eccetera, eccetera, eccetera [cit. Francesco Currà, Rapsodia Meccanica].