Venezia 76, Joker: il film dedicato al villain trova in Joaquin Phoenix un veicolo eccezionale

Il primo film “autonomo” dedicato a Joker, diretto da Todd Phillips, trova un mezzo espressivo perfetto nel corpo e nella voce di Joaquin Phoenix, un attore in grado di prendere una piccola intuizione per il suo ruolo (ad esempio creare una risata indistinguibile dal pianto o esprimere paura in viso per la propria risata) e da lì partire per costruire un personaggio complesso e stratificato. Nel film di Phillips ridere non è espressione di benessere o felicità, ma addirittura una condizione patologica da curare, il sintomo di un malessere prima individuale e poi collettivo. Lo stesso Joker attribuisce (ma sarà vero?) la propria risata ad una non meglio specificata condizione neurologica.

Joaquin Phoenix rende il suo personaggio un comico costantemente fuori tempo, sia quando è lui a raccontare qualcosa di divertente, sia quando è lui ad ascoltare gli altri: ride quando gli altri non ridono, rimane imperturbabile quando tutti gli altri sembrano divertirsi. Il Joker di Todd Phillips vive in una società sfacciatamente crudele, in cui dall’alto i potenti di turno, cinici capitalisti disinteressati al bene comune, guardano con insopportabile pietismo i disperati di Gotham City, sempre pronti a farsi la guerra fra loro e ad abusare di chi è più in difficoltà per sentirsi potenti almeno per qualche secondo. Il regista, almeno per la prima metà, non si limita a farci empatizzare con il suo protagonista (anche forzando un po’ la mano e sacrificando la complessità di alcuni personaggi secondari) ma addirittura si sforza affinché lo spettatore prenda le parti del Joker (che in quel momento del film è solo “un joker”).

Nonostante una prova attoriale formidabile, in grado davvero di reggere tutto il film, come quella di Joaquin Phoenix (ma anche Robert De Niro si impegna tantissimo a fargli da spalla nelle poche scene insieme), il film di Todd Phillips non pone uno sguardo diverso sul personaggio, uno davvero unico e in grado di porre il Joker in una prospettiva diversa da quella già proposta negli anni (nei fumetti, ma anche al cinema). Pur avendo la possibilità di creare una “origin story” tutta nuova, senza doversi per forza ispirare a cose già scritte, Phillips sceglie di non alterare di molto quell’idea che gli spettatori si sono fatti del personaggio negli anni anche attraverso prodotti precedenti.

Eppure con lo svolgersi della trama, quel sistema descritto come corrotto e marcio, che tutti identificano con la famiglia Wayne, tra le più ricche di Gotham, finisce per trovare una giustificazione, addirittura riuscendo a passare dalla parte della ragione quando cerca di reprimere quella ribellione popolare cominciata dal basso in seguito ad un’azione violenta del Joker. Il film sembra infatti rinunciare a quella sua complessità iniziale (descrivere la nascita di un movimento di lotta positivo, nonostante ispirato da un’azione condannabile) e sceglie di criminalizzare la protesta, di descrivere quelle masse come delle masse di facinorosi pronti ad uccidersi per strada. Così Joker si consegna a quella retorica che voleva sovvertire. Non solo non riesce a ridimensionare il mito della famiglia Wayne, ma addirittura lo rafforza.