Recensioni
La Casa dei Libri, la recensione della commedia con Emily Mortimer
C’è sempre una spigolosità che emerge nella narrazione de La Casa dei Libri quando meno ce lo si aspetta. La regista Isabel Coixet sembra infatti voler spogliare del proprio sentimentalismo ciò che dovrebbe essere romantico o commovente, riuscendo a creare una commedia tragicomica che ruota attorno ad una ineffabile giovane vedova che giunge a Suffolk nel 1950 e decide di aprire una sua libreria dopo aver messo a nuovo un vecchio edificio. Una decisione apparentemente banale, che invece diviene eroica in un paesino in cui tutti si dimostreranno ostili a questa nuova apertura e cercheranno di impedire a Florence Green (Emily Mortimer) di proseguire con successo la propria attività.
La regista spagnola decide quindi di mettere in scena una storia radicata nel passato dell’Inghilterra, che ha a che fare con la situazione sociale di un Paese dopo la guerra e con la sua divisione in classi ormai sempre più netta, per tirarne fuori l’animo più naive: ovvero la tenacia di chi decide di lottare per la diffusione della cultura e dei libri anche in quei luoghi dove nessuno li legge. La voce narrante (la cui vera identità sarà rivelata solo alla fine) mette in chiaro fin da subito il vero tema del film, che è quello di una riflessione sulla lettura come strumento di piacere (anche sensoriale e non solo cerebrale) e di crescita personale.

La casa dei Libri
La Casa dei Libri: ironia e scandalo
La Casa dei Libri è quindi un film che parla di opere letterarie e del loro impatto sulla società, dell’importanza di aprire un confronto su temi scottanti attraverso la lettura di libri che appaiono fin da subito fondamentali: Fahrenheit 451 di Ray Bradbury come Lolita di Vladimir Nabokov. Quest’ultimo, ad esempio, verrà utilizzato nel film come strumento per sottolineare le ironiche contraddizioni della storia, ovvero che un libro dalla forte componente erotica divenga il simbolo di una libreria gestita invece da una donna che non si sente per nulla sensuale e che non nasconde le proprie perplessità persino davanti a dei vestiti di un colore ritenuto troppo appariscente.
A questa idea di tenacia molto femminile si contrappone una donna dell’alta borghesia disposta ad utilizzare tutti i mezzi a propria disposizione per contrastare la diffusione di una cultura che ritiene non allineata e quindi irricevibile. Si tratta di una diversa dimensione della femminilità rispetto a quella della protagonista, certamente meno tollerabile ma non per questo irreale. I personaggi de La Casa dei Libri cercano tranquillità ed invece sembrano destinati a trovare solo scontri e problemi da risolvere, immersi in una storia in cui pare esserci sempre qualcosa di non detto che necessariamente dovrà prima o poi rivelarsi ed uscire fuori.
La Casa dei Libri: una narrazione spigolosa
Se il film di Isabel Coixet riesce a rendere su schermo un tono sognante senza mai essere sentimentale, sembra invece fallire nel legare le sorti di questo piccolo negozio di provincia a quelle di una intera società, volendo sempre restituire (senza mai riuscirsi fino in fondo) l’idea che il futuro di un Paese e della sua cultura sia in qualche modo inscindibile da quello della marginale libreria della signorina Green. Non sempre quindi La Casa dei Libri riesce ad essere complesso e raffinato come invece si dimostra essere nella descrizione che fa di alcuni rapporti fra personaggi, come ad esempio quello tra la Green ed il signor Brundish: una delicata corrispondenza comunicata allo spettatore con una invidiabile ma significativa economia di gesti.
La Casa dei Libri – TRAILER
Recensioni
The Creator: Intelligenza Artificiale al bando | Recensione

John David Washingotn in The Creator – Fonte Foto: Ufficio Stampa
Diretto da Gareth Edwards e distribuito da The Walt Disney Company Italia, The Creator sbarca nelle sale italiane il 28 settembre 2023. Protagonisti della pellicola fantascientifica, John David Washington, Gemma Chan e Allison Janney vanno a comporre un cast alquanto eclettico.
Grande appassionato ed estimatore di Star Wars, Gareth Edwards continua a scegliere, al suo quarto lungometraggio, il genere che trova più congeniale: la fantascienza. Dopo Godzilla e Rogue One – grazie al quale ha potuto dare un contributo al suo amato franchise – il regista britannico confeziona un’opera piena di fascino e d’azione.

Una scena di The Creator – Fonte Foto: Ufficio Stampa
Complice la sempre più imponente presenza dell’intelligenza artificiale nella nostra società, sviluppa e presenta riflessioni non banali. La sceneggiatura, scritta a quattro mani dallo stesso Edwards insieme a Chris Weitz, affronta così varie tematiche, dalla lotta per la propria sopravvivenza al valore dell’appartenenza, dalla libertà alla pace.
Giocando abilmente con le caratteristiche intrinseche del genere, sia a livello stilistico/scenografico, che narrativo, The Creator regala una sorta di esperienza sensoriale, dentro al quale si viene trascinati sin dalle primissime immagini. Unica pecca riscontrabile è, forse, un dilungarsi in momenti che sembrano ripetersi e nell’insistere con un uso didascalico della musica. Per quanto le note di Hans Zimmer siano, come sempre, un’opera d’arte.
Tante suggestioni, se non veri e propri omaggi, compaiono qui e là nel corso delle vicende, andando a impreziosire la fruizione. Registicamente parlando, Edwards sfrutta (e vanta) riprese di ampio respiro, ben supportato da incredibili location esotiche – la Thailandia ha ospitato le riprese – e da effetti speciali di ultima generazione.
The Creator | La trama del film con John David Washington
In un futuro in cui la robotica ha raggiunto un livello avanzatissimo, la convivenza tra esseri umani e intelligenza artificiale ha permesso di migliorare lo stile di vita. Almeno sino a quando una testata nucleare non viene fatta esplodere a Los Angeles, causando morti, distruzione e un’inevitabile guerra.

Una scena di The Creator – Fonte Foto: Ufficio Stampa
Sono trascorsi dieci anni da quel giorno, quando l’intelligenza artificiale è stata ufficialmente messa al bando in occidente e cacciata in maniera sistematica. Il governo statunitense ha addirittura creato un enorme velivolo, la U.S.S. Nomad, con il compito di esplorare la Nuova Asia e di eliminare qualsiasi minaccia incontri nel suo percorso, alla ricerca di colui dal quale dipendono tutti gli esseri robotici (“il creatore” del titolo).
Durante uno di questi raid, Joshua (Washington) perde la moglie (Chan) e anni di lavoro, ritirandosi a vita privata. Ma il suo compito non è ancora finito: essendo l’unico a essersi avvicinato al creatore, viene richiamato in azione per dare una mano al team dell’esercito.
L’appartenenza oltre le differenze
The Creator appartiene in tutto e per tutto al genere della fantascienza, sebbene a costituirne la forza siano soprattutto le relazioni umane che vengono raccontate. Joshua e la piccola Alfie (interpretata da Madeleine Yuna Voyles) stabiliscono un rapporto importante, che cresce piano piano. Ciascuno di loro va a riempire uno spazio vuoto nell’esistenza dell’altro, spingendoli ad allargare la prospettiva.
Il messaggio che emerge alla fine ha a che fare con la pace e con la libertà. Esseri umani e intelligenza artificiale possono convivere e condividere? Le emozioni e i sentimenti sono appannaggio di una sola specie?
In tre capitoli, i protagonisti affrontano un percorso che li cambia. Tra passato, presente e futuro, Joshua e Alfie mostrano quanto “siamo tutti connessi”, sottolineando il valore dell’uguaglianza e del senso di appartenenza.
Recensioni
Il più bel secolo della mia vita: la ricerca delle proprie origini | Recensione

I protagonisti del film Il più bel secolo della mia vita – NewsCinema.it
Il 7 settembre è uscito nei cinema italiani la commedia Il più bel secolo della mia vita diretta da Alessandro Bardani con protagonisti Sergio Castellitto, Valerio Lundini e Carla Signoris. Emozioni e risate portate sul grande schermo per mettere in luce l’assurda, crudele ma soprattutto reale, Legge dei 100 anni.
Il film Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani è tratto dall’omonimo spettacolo teatrale con protagonisti Francesco Montanari e Giorgio Colangeli. Nella versione cinematografica, prodotta da Goon Films, Rai Cinema e Lucky Red, ad interpretare il ruolo del centenario Gustavo è Sergio Castellitto, mentre il personaggio del trentenne Giovanni è stato affidato a Valerio Lundini.
Menzione speciale, per l’attrice Carla Signoris nel ruolo di Gianna, madre di Giovanni. La commedia Il più bel secolo della mia vita presentata in concorso durante la 53^ edizione del Giffoni Film Festival, nella sezione Generator +18, ha visto Bardani ritirare il Gryphon Award come Miglior Film.
Il più bel secolo della mia vita | La trama del film
C’era una volta (e c’è tutt’ora) in Italia, una legge chiamata 184 del 1983. Alcune persone la consideravano una norma come altre, mentre altri, un muro invalicabile alla scoperta delle proprie origini. Secondo la Costituzione Italiana, la cosiddetta Legge dei 100 anni, impedisce ad un figlio non riconosciuto alla nascita di conoscere il nome della madre. Solo al compimento del centesimo anno di età, quest’ultimo potrà scoprirne l’identità. Questa che sembra essere una fiaba assurda e crudele, non è nient’altro che la realtà.
Ed è qui, che inizia l’inedito duo formato dal centenario Gustavo (Sergio Castellitto) e il trentenne Giovanni (Valerio Lundini) uniti da un destino comune, ma vissuto in maniera completamente differente. Il ragazzo appartenente alla FAeGN, acronimo che sta per l’associazione Figli Adottivi e Genitori Naturali, è impegnato nella realizzazione di una nuova Legge che possa abrogare quella dei 100 anni. Per far sì che il nuovo disegno di legge venga preso seriamente in considerazione, è fondamentale la testimonianza dell’unico centenario ancora in vita, ignaro dell’identità della madre.

Sergio Castellitto e Valerio Lundini in una scena del film Il più bel secolo della mia vita – Fonte: NewsCinema.it
Partendo da Bassano del Grappa, Giovanni e Gustavo danno vita a questa avventura on the road, diretti verso Roma, alternato da momenti divertenti, ad altri profondi, ad altri di assoluta verità. Per Giovanni, l’unico intento è di dimostrare quanto sia assurdo che un individuo debba aspettare cento anni, per scoprire le proprie origini, grazie alla testimonianza di Gustavo.
Mentre per il centenario, andare a Roma, vuol dire tornare nei luoghi della sua giovinezza, nell’unica casa che ha mai conosciuto, il Jacki O’. Tra confronti accesi e scambi di opinioni, i due fratelli di culla, si troveranno a fare i conti con alcune zone buie del loro passato mai raccontate a nessuno.
La recensione del film diretto da Alessandro Bardani
Sergio Castellitto durante l’incontro con i giurati del Giffoni Film Festival, ha invitato i ragazzi a cercare e parlare ciò che è piaciuto del film e di evitare di citare ciò che non è piaciuto. Nel film Il più bel secolo della mia vita è davvero difficile trovare qualcosa di poco gradito. Avere due artisti come il grandioso Sergio Castellitto e il sorprendente Valerio Lundini alla guida di questo film, è stata sicuramente una scommessa vinta. La bravura di Alessandro Bardani alla direzione della sua opera prima è stata quella di aver trovato la giusta chiave di lettura, per far sì che le loro differenze si riuscissero a fondere in una cosa sola.
La sceneggiatura scritta da Alessandro Bardani, Luigi Di Capua, Maddalena Ravagli e Leonardo Fasoli, tenendo conto dell’omonimo spettacolo teatrale, rappresenta le fondamenta di questa storia, che ruota intorno alla Legge dei 100 anni. I botta e risposta tra Giovanni e Gustavo esaltano le loro differenze caratteriali, soprattutto nel modo diverso di concepire la vita. Se Gustavo è un centenario dall’animo giovane, che ha vissuto sempre da solo e ha provato le sofferenze della vita; Giovanni è un trentenne dall’animo vecchio, che sebbene abbia l’amore della madre, non si è mai goduto la vita, non ha mai fatto nulla di particolare, restando sempre dentro certi schemi.
Per l’arzillo centenario, andare a Roma significa evadere dall’ospizio nel quale vive da oltre dieci anni, per poter tornare – finalmente – nella sua amata Roma. Una città che non ha mai dimenticato, che ha custodito sempre nei suoi ricordi, anche solo attraverso un fazzoletto di tela con l’impronta delle labbra del suo grande amore conosciuto al Jackie ‘O: la diva della Dolce Vita, Rita Hayworth. Per quanto Gustavo sembra essere un uomo forte, nel momento in cui tira fuori questo pezzo di stoffa, custodito lontano da occhi indiscreti, viene fuori la sua parte più fragile.

Sergio Castellitto come Gustavo nel film Il più bel secolo della mia vita – Fonte: NewsCinema.it
La potenza delle parole in una vita di silenzi
Ad unire questi due uomini, soprannominati ‘fratelli di culla’, è la presenza di Gianna, mamma di Giovanni interpretata amabilmente da Carla Signoris. Lei è l’anello di congiunzione tra loro due. Il suo istinto materno, dai modi dolci e affabili, come solo una mamma sa essere, si riversano sul modo di rapportarsi con Giovanni e poi con Gustavo. Grazie a lei, la comunicazione tra loro porta la fine delle ‘parole non dette’ per anni, portando di conseguenza, tutti a mettersi in discussione e a dire la verità per la prima volta nella vita.
Concetti come i figli sono di chi li cresce e non di chi li fa, è una grande verità che detta ad alta voce, lascia il segno nelle persone che lo sentono dire da un centenario, a un passo dallo scoprire l’identità della madre biologica. L’ironia delle battute in romanesco dette da Gustavo cercano di colmare le ferite inferte dalla vita, fin da quando era solo un ragazzino. La colonna sonora de Il più bel secolo della mia vita è l’elemento in più, di cui il film aveva bisogno, portando lo spettatore ad emozionarsi ancora di più. La scelta di inserire il brano La vita com’è scritto e interpretato da Brunori Sas all’inizio del lungometraggio di Bardani, introduce ciò che lo spettatore andrà a vedere nei prossimi 80 minuti: “Avere vent’anni o cento non cambia poi mica tanto se non riesci a vivere la vita com’è.
Recensioni
Conversazioni con altre donne: il miglior cinema italiano in un remake | La recensione

La locandina di Conversazioni con altre donne
Dal 31 agosto 2023 nelle sale, distribuito da Adler Entertainment, Conversazioni con altre donne porta in scena una delle coppie più affiatate e affascinanti del cinema italiano: Valentina Lodovini e Francesco Scianna.
La pellicola, scritta e diretta da Filippo Conz – che torna al lungometraggio dopo circa vent’anni – è il remake dell’americano Conversazioni con altre donne (2005) di Hans Canosa. Gabrielle Zevin, compagna di Canosa, ne firmava soggetto e sceneggiatura, e Olivia Wilde aveva un piccolo ruolo come damigella d’onore.

Una scena di Conversazioni con altre donne – Fonte Foto: VelvetMag
Il punto di forza di opere come queste è, senza dubbio, la scrittura: la necessità di una base solida permette agli attori di esprimersi al loro meglio. Valentina Lodovini e Francesco Scianna rappresentano quel cinema italiano di sostanza, che sa cosa e come raccontare, riuscendo a passare senza problemi dalla commedia al dramma.
Ecco perché, in questo incontro di professionalità e sensibilità, ne viene fuori un film ben composto, elegante, strutturato e piacevole. Se le riflessioni sollevate dalla narrazione possono risultare sin troppo semplici, le emozioni arrivano comunque forti e dirette. In tanti troveranno il modo o lo spunto per immedesimarsi, lasciandosi trascinare dalle azioni dei personaggi.
Conversazioni con altre donne concentra, in meno di 90 minuti, tutta una serie di suggestioni, che hanno a che fare con le storie d’amore, di quelle che cambiano la vita, indelebili e straordinarie.
Conversazioni con altre donne | La trama del film con Francesco Scianna e Valentina Lodovini
Siamo a Tropea, con una bellissima vista sul mare, durante un ricevimento di nozze. Il clima è disteso e aleggia un profumo d’estate, spensieratezza ed eccitazione per quello che verrà. Le damigelle indossano un abito rosa shocking, non adatto a tutti i fisici. Tra di loro, ne spunta una (Lodovini), sulla quarantina, dalla bellezza mediterranea e l’aria malinconica.

Una scena di Conversazioni con altre donne – Fonte Foto: Filmitalia
La donna è seduta a un tavolino, sorseggia un drink e fuma una sigaretta, quando le si avvicina un uomo (Scianna) che inizia a conversare con lei. Tra i due c’è una chimica palpabile, che non nascondono e con cui, anzi, giocano apertamente. Al momento del lancio del bouquet, la coppia si allontana e si concede una danza solitaria, molto intima.
Man mano che la serata prosegue, emergono i trascorsi tra i due. Il loro primo incontro risale, infatti, ad anni prima. Ma, nel frattempo, tante, troppe cose, sono cambiate. Loro stessi sono cresciuti, maturati, impegnati.
Un amore oltre i confini che fa riflettere e immedesimare
La Lodovini e Scianna tornano a dividere la scena ed è un vero e proprio spettacolo, non solo per gli occhi. Il fascino e il carisma dei due interpreti monopolizzano quasi tutta l’attenzione, sebbene siano gli scambi di battute a dare forma e vita alle loro vicende sullo schermo. I protagonisti simboleggiano ciò che chiamiamo “anime gemelle”. Ma esisteranno davvero?
L’amore di cui si parla è qualcosa che trascende i confini del tempo e dello spazio, qualcosa che sembra non poter scemare nonostante tutto. Convivere con il dolore della separazione, con rimorsi e rimpianti, con la sensazione di aver perso, o forse sprecato, la propria occasione, costringe a fare i conti con se stessi.
Conversazioni con altre donne è un concentrato di sensazioni ed emozioni, in cui chiunque può riconoscersi e da cui può trarre ispirazione. La confezione offertaci da Conz è sempliemente perfetta, priva di sbavature e facili sentimentalismi, onesta e appassionata. E, sebbene si avverta sempre più spesso la mancanza di nuove idee, fa piacere notare come, a volte, il cinema italiano sia in grado di rinfrescare anche quelle già sfruttate.
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