Come saprete, la trama del film è mostrata nei primi quindici minuti da un onirico, quanto inquietante preludio, che si conclude con la collisione fra il pianeta Melancholia e la Terra. Molta parte della critica, influenzata dalle dichiarazioni rilasciate a Cannes, ha concluso che in Melancholia von Trier abbia voluto ripetere l’assassinio del genere umano, ossessionato dalle sue manie naziste, ma forse ha dimenticato che il primo fotogramma che appare sul grande schermo, accompagnato dalle note del Prologo del Tristan und Isolde di Wagner, mostra il viso di Justine/Kirsten Dunst distrutto dalla depressione. Justine è il personaggio che von Trier ha scelto come portavoce della sua visione del mondo, tant’è che lo ha creato ispirandosi alla sua stessa depressione. Perciò, partendo dal presupposto che l’arte deve essere libera da qualsiasi giudizio politico, ripercorreremo la complessa simbologia di Melancholia per dimostrare che, invece di essere pervaso da un nazismo di fondo, l’ultimo lavoro di Lars è un’attenta osservazione della depressione, la quale si sublima in qualcosa di mistico.
La fine del mondo, intesa come fine della società, nella cinematografia di von Trier è un motivo che ritorna spesso in Dogville, Manderlay, Antichrist ed anche in Melancholia, ma qui non si tratta di un impulso sorto dal bisogno di eliminare il mondo: la Terra viene distrutta da un pianeta che si nascondeva dietro al sole, è perciò una conseguenza della Natura matrigna. Per il regista danese è la natura ad essere cattiva, guarda caso Justine dice: “La Terra è cattiva! Non mancherà a nessuno!”. In Melancholia la malvagità della natura è un dato di fatto: il pianeta Melancholia distruggerà la Terra e gli uomini non possono che rassegnarsi. Facciamo un passo avanti e diciamo che l’Olocausto non può essere paragonato alla fine del mondo, e le accuse a von Trier cadono. Il genocidio, come definito dalla risoluzione numero 96 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, emessa l’11 dicembre 1946, è “una negazione del diritto alla vita di gruppi umani (…) razziali, religiosi, politici e altri che siano stati distrutti in tutto o in parte”, perciò non si può concludere che Melancholia esprima un qualche spirito nazista, perché von Trier va oltre e fornisce come dato di fatto che, per qualche coincidenza astrale, la Terra sarà distrutta da un pianeta rimasto a lungo nascosto dietro il sole. Se quello di Hitler e di altri dittatori o forze autoritarie fu un progetto politico, certamente deprecabile, volto ad escludere una etnia, Melancholia è un prodotto artistico che mostra l’apocalisse interiore che travolge l’occidentalismo. Infatti l’unico rigurgito che è possibile riscontrare all’interno di questa pellicola è l’avversione nei confronti della moderna società dei consumi: pubblicitaria di successo, Justine non trova alcun senso nel matrimonio come nella sua occupazione, espressione dello sfrenato consumismo dei nostri giorni e del “nulla”. Non riconoscendo più il valore delle istituzioni tipiche della società dei consumi, Justine inizia a desiderare la morte e la distruzione portate da Melancholia, al punto tale da sembrare lei la calamita che attira il funesto Pianeta verso la Terra. In definitiva si tratta di un condivisibile rifiuto, per mancanza di senso, degli sfrenati e compulsivi valori della società occidentale. Il pessimismo di cui si fa portatore Lars, attraverso le vesti di