Distribuito in sala, dal 24 aprile, da Warner Bros. Pictures, Challengers segna il grande e attesissimo ritorno di Luca Guadagnino dietro la macchina da presa. Un trio di attori eccezionale ne suggella il successo.
Scritto dal giovane Justin Kuritzkes, Challengers si rivela un vero e proprio “oggetto del piacere”, capace di soddisfare – se non superare – tutte le aspettative. Oltre a lasciare con una voglia incontrollabile di vederlo e rivederlo. Il trucco c’è e si vede: se Zendaya appare in uno stato di grazia, forse un po’ più del suo solito, al suo fianco le danno man forte i colleghi Josh O’Connor e Mike Faist.
Affiatati dentro e fuori lo schermo, fascinosi e sensuali come non mai, i tre sono il fulcro attorno a cui tutto ruota. Rivalità, passione, amicizia, temi semplici, a cui ognuno può relazionarsi, costituiscono la base della storia.
Non ci sono grossi colpi di scena, né situazioni troppo originali. Ma non serve, perché ci pensa la regia di Luca Guadagnino a rendere l’opera straordinaria. Uno stile pop, arguto e assolutamente accattivante, che arriva a strizzare l’occhio addirittura ai videogame, è la ciliegina sulla torta.
Challengers | La trama del nuovo film diretto da Luca Guadagnino
Art Donaldson
(Mike Faist) e Patrick Zweig (Josh O’Connor) sono amici da quando avevano dodici anni. Dopo aver frequentato insieme l’Accademia e aver condiviso stanze in ogni dove, continuano a inseguire il sogno di diventare tennisti professionisti. L’incontro con la bella Tashi Duncan (Zendaya), promettente campionessa in procinto di iscriversi all’Università, minerà l’equilibrio del loro rapporto.
Gli anni trascorrono, ma la voglia di trionfo e di riscatto non abbandona mai gli animi di Tashi, Patrick e Art, ormai adulti e alle prese con nuove e difficili responsabilità. Tra campi di tennis e camere d’albergo, i tre si confrontano, scontrano e crescono (?), andando a delinare le rispettive esistenze.
Il tennis come metafora di vita
Challengers
è, in un certo senso, un’opera particolarmente esistenzialista, che usa il tennis come metafora della vita dei protagonisti. La battuta ricorrente “stiamo ancora parlando di tennis?” dà un’idea del discorso. Il gioco di cui Tasha, Art e Patrick sono amanti, sostenitori e campioni, diviene la chiave di lettura per carpirne i caratteri, le convinzioni, le scelte. Attraverso un simile filtro, ogni elemento della trama assume una differente attrattiva, aprendo il campo a tante interpretazioni.
Ed è proprio in questo che il lavoro di Guadagnino acquista punti a suo favore, portando lo spettatore dentro un universo elitario, ma rendendolo universale. Con la sua regia, incontrovertibilmente presente e significativa, il cineasta regala delle vere e proprie chicche. Qualche esempio? Le palline da tennis sparate dritto nell’occhio della macchina da presa, i ralenti che danno l’idea di quanto pesi una goccia di sudore, le riprese a schiaffo a simulare un incontro di gioco dal ritmo serrato.
Se lo sguardo del regista non si nasconde in alcun modo, e anzi si avverte l’abilità e il piacere nel catturare e restituire la bellezza dei suoi interpreti, la cosa non fa altro che andare a solleticare lo spirito voyeuristico del pubblico, appagato da ciò che vede e avviene sullo schermo. Un’ultima doverosa postilla alla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross, complice di alzare il ritmo e la temperatura di numerose scene.