Il più bel secolo della mia vita | Intervista al regista Alessandro Bardani: “Mi piace mischiare sacro e profano”

Alessandro Bardani
Il regista Alessandro Bardani del film Il più bel secolo della mia vita – Fonte: Alessandro Bardani

In occasione dell’uscita nei cinema italiani del film Il più bel secolo della mia vita, abbiamo intervistato il regista Alessandro Bardani. Tra aneddoti inediti e riflessioni, il cineasta ha svelato ai lettori quanto sia stata importante questa storia per la sua carriera e per il pubblico ignaro dell’esistenza di questa Legge a dir poco assurda e crudele.

A partire da oggi, gli spettatori avranno modo di vedere al cinema uno dei film più interessanti, divertenti e toccanti di questa stagione. Stiamo parlando de Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani con due protagonisti d’eccezione, Sergio Castellitto e Valerio Lundini, insieme a Carla Signoris. In concorso durante la 53^edizione del Giffoni Film Festival nella sezione Generator +18, questo film ha portato sul grande schermo una storia incentrata su una Legge italiana, tanto reale quanto assurda: il figlio o figlia che non viene riconosciuto alla nascita, avrà modo di poter conoscere la vera identità dei suoi genitori biologici, solo dopo aver compiuto il centesimo anno di età.

Il duo inedito formato dal centenario Gustavo (Sergio Castellitto) e il giovane Giovanni (Valerio Lundini) è riuscito non solo a far divertire ed emozionare i giurati del Giffoni, ma anche a convincerli a votarlo come miglior lungometraggio per la sezione Generator +18 e portando il regista a ritirare il Gryphon Award lo scorso 29 luglio. Il regista Alessandro Bardani che abbiamo intervistato per NewsCinema, ci ha parlato della sua prima esperienza come regista cinematografico e di quanto sia importante parlare di questa storia divertente e commovente allo stesso tempo.

Il più bel secolo della mia vita
Il cast e il regista Alessandro Bardani – Fonte: Instagram

Intervista al regista Alessandro Bardani

Ciao Alessandro, la prima domanda che sono solita fare agli artisti che intervisto è: come stai?

In questo momento sono tanto contento quanto stanco. La promozione del film e Giffoni soprattutto che era la cosa principale per me, si è intersecata con altre due cose che faccio: la direzione artistica di Altra Scena Festival a Piombino, durante la quale abbiamo avuto Lillo, Vinicio Marchioni e due giornalisti di Piazza Pulita che ho intervistato, ovvero Nello Trocchia e Sara Giudice, per quanto riguarda la proiezione. E poi, il giorno dopo la premiazione avevo una serata con il magistrato Alfonso Sabella, con il quale sono in tour per una serata chiamata Il cacciatore di mafiosi. Si parla della carriera di Alfonso come magistrato dopo la strage di Via D’Amelio e Capaci, fino alla fine dell’ostracismo corleonese. Ripercorriamo questa vicenda da un punto di vista storico, giudiziario ma soprattutto umano, perché quando Alfonso è entrato nel poll aveva solo 29 anni.

Ora parliamo de film Il più bel secolo della mia vita. Nel 2015 hai scritto e diretto lo spettacolo teatrale con Giorgio Colangeli e Francesco Montanari. Oggi hai deciso di portare al cinema questa storia intensa e crudele se pensiamo che la Legge dei 100 anni, esiste davvero e non è stata inventata da te.

Pensa che tutti mi dicevano: “che cosa strana che ti sei inventato”. Non ho inventato niente. La legge è vera ed è il fulcro, la scatola emotiva nella quale si sviluppano i personaggi. All’interno si concentra tragedia e comicità, come del resto è la commedia all’italiana.

Vorrei chiederti cosa ti ha spinto a voler scegliere questa storia come opera prima, visto che è la tua prima regia. Hai portato una storia molto tosta, dove si ride ma si parla anche di morte.

È una storia che mi ha affascinato talmente tanto a teatro, che il passaggio al cinema è avvenuto grazie anche a Gabriele Mainetti che è uno dei produttori. Abbiamo iniziato a parlare di portarlo al cinema e voglio ringraziare due persone che abbiamo abbracciato e sono Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, due sceneggiatori che hanno scritto Gomorra insieme a Roberto Saviano. Gli è piaciuta la prima stesura della sceneggiatura che avevo scritto con Luigi Di Capua poi sono entrati loro e abbiamo trovato una grande quadra. Volevo lavorare con due persone che non fanno commedia di solito. Il più bel secolo della mia vita racchiude l’idea che ho del cinema: mischiare sacro e profano; mischiare la gioia e la tristezza, come nella vita. La morta è vissuta dal punto di vista di un centenario, che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo: quindi è importante non perdere tempo.

I protagonisti del film diretto da Alessandro Bardani
I protagonisti Sergio Castellitto e Valerio Lundini del film Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani – Fonte: Instagram

Ricollegandomi a questa frase, vedendo il film pensi che presto o tardi finirà in tragedia, trattandosi di un centenario…

Volevo far vedere un centenario con tanta vita addosso ma a un passo dalla morte. Una delle frasi che mi piace particolarmente è “tanto c’è tempo” pronunciata da Gustavo, che significa c’è tempo di fare le cose. Credo che sintetizzi bene il personaggio di Gustavo anche in relazione al rapporto con Giovanni, quando discutono dopo il convegno e lui dice: “chi ama sbaglia”. Io allargherei questa frase con: “chi vive sbaglia”, poi l’importante è che vivi.

Gustavo è un centenario con lo spirito di un ragazzo, mentre Giovanni è un giovane con un animo da anziano…

– Loro sono due uomini che hanno reagito alla stessa ferita in maniera diametralmente opposta. Il film racconta di un centenario che guarda in avanti e di un ragazzo di trent’anni che guarda indietro. La cosa importante è che loro vengono da due background diversi: Giovanni è figlio di una generazione che ha tempo di avere tanti dubbi e di farsi tante domande. La generazione di Gustavo – personaggio ispirato a mio nonno e a quel mondo un po’ stile Franco Califano – non poteva perdere tempo in paranoie mentali, perché era impegnata a sopravvivere più che vivere. E quando ha conosciuto il benessere, ha capito quanto era importante il poter vivere, scegliere e stare tranquilli. Aver vissuto esperienze che li hanno segnati, gli hanno fatto vedere il mondo da una certa angolatura. Come dice anche Brunori Sas nel brano La vita com’è, colonna sonora del film: “la fine del mondo l’hai vista in un secondo”.

L’esperienza di lavora con Sergio Castellitto e Valerio Lundini che li vedo come il giorno e la notte, ma forse sotto certi punti di vista sono simili tra loro, cosa puoi dirmi a riguardo?

Hai detto una cosa verissima. Io conoscono Valerio Lundini da vent’anni e lui segue i social dello spettacolo. Essendo stato il direttore artistico per tre anni del Teatro Parioli a Roma della sezione Off, io proposi Valerio molto prima di tutto. Lo proposi anche per un altro festival che facevamo con Francesco Montanari. Io sono il primo fan di Valerio, da sempre, da molto prima che esplodesse. Io Valerio ce lo avevo sotto al naso, ma sai quando non ci pensi? Pensavamo ad altri attori, poi mi sono detto: “ma c’è Valerio! Proviamo Valerio.”

Quando ho incontrato Sergio Castellitto e ci siamo messi a parlare dell’altro attore co-protagonista, io gli ho detto una serie di nomi di altri attori e senza influenzarlo, lui ha subito detto: “Valerio Lundini. Me lo ha fatto conoscere mio figlio Pietro. È un genio assoluto.” Mettere due mondi così apparentemente diversi in realtà sono legati da una cosa sola: sono due eccellenze in quello che fanno. Avere un vero attore di esperienza come Castellitto, vicino a un ‘non attore’ come Lundini che si è rivelato più attore di altri attori, è stato come mischiare sacro e profano. Valerio ha dato una grande personalità al personaggio di Giovanni, un po’ surreale. Quando Sergio parla del film come di una favola ha ragione, perché non è facile incontrare un centenario e Giovanni dal carattere sicuro e rigido, ma dal modo di fare fiabesco.

Scena dal film Il più bel secolo della mia vita
Una scena del film Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani – Fonte: Instagram

La reazione dei social e dei giovani al trailer del film

Insieme a Sergio Castellitto e Valerio Lundini, a dare una connotazione materna, accogliente alla storia è stata l’attrice Carla Signoris. Com’è nato questo ruolo?

Carla Signoris è stata grandissima, soprattutto nella scena insieme a Sergio Castellitto. Per me è stato un privilegio conoscerla ed ha dato una grande umanità al film, che è dedicato ai miei genitori. Infatti i genitori di Giovanni si chiamano Massimo e Gianna e quando abbiamo girato la scena di cui ti parlavo prima, guardavo il monitor e piangevo come un bambino, perché sostanzialmente, lei ha dato una grande umanità al personaggio e aveva il nome di mia mamma. Devo dire che l’ho scritto ricordando mia madre e quando lei lo ha interpretato è stato grandioso. Carla ha donato l’amore incondizionato di una donna nei confronti di suo figlio, che anche se adottato è pur sempre suo figlio. Poi c’è da dire che è stata molto brava ad entrare in punta di piedi e lasciare il segno nella storia, sebbene sia incentrata sul rapporto tra Gustavo e Giovanni.

Al momento dell’uscita del trailer, curiosando sui social mi è capitato di leggere dei commenti come: “non avevo capito che il vecchio era Castellitto”. A tal proposito, vorrei chiederti com’è nato il look e il trucco che è stato applicato per renderlo un perfetto centenario, che tra l’altro non ha intaccato in alcun modo l’espressività

Ho voluto lavorare fortemente con il truccatore Andrea Leanza – che ha trasformato Pierfrancesco Favino in Craxi – e insieme a lui, a concepire il look di Castellitto è stata Denise Boccacci. Con Andrea ci siamo conosciuti tanti anni fa e devo dire che ha fatto davvero un lavoro egregio. Quando ha fatto la prova trucco per la prima volta e ha girato la poltrona, eravamo io e Gabriele Mainetti e quel momento non me lo scorderò mai. Lo avevo davanti e ho detto subito: “è lui”.

Prima di lasciarti, vorrei chiederti qualcosa sull’esperienza vissuta al Giffoni Film Festival che tra l’altro si è conclusa nel migliore dei modi con la vittoria nella sezione Generator +18.

La vittoria è stata la ciliegina sulla torta, ma il momento più alto è stato il momento della proiezione con tutti i ragazzi. Aver ricevuto anche domande scomode, spigolose, il fatto che si sono comportati come un pubblico retrò, applaudivano durante la proiezione, ridevano, è stato veramente un meraviglioso tsunami, come ho voluto definirlo. I ragazzi sono stati fantastici. Il calore anche dopo la premiazione, mi hanno fatto delle domande, chiesto delle foto, è stato davvero bello. Un ufficio stampa che ci era stato mi disse: “Ale guarda che il Giffoni è un’esperienza che non dimenticherai mai”. Ed è vero, è stato un meraviglioso vortice, l’atmosfera che si respira lì è meravigliosa e spero di portare anche altri lavori.