The House That Jack Built, Lars Von Trier in un altro disturbante affresco del Male di vivere

Quando inizia la discesa verso gli inferi, quali che siano i motivi, si tratta sempre di un cadere inarrestabile.

Già da bambino Jack aveva una personalità disturbata. Dai falciatori intenti a fare il loro lavoro in sincrono nei campi, fino al movimento sgraziato di un anatroccolo ancora incerto a nuotare, Jack bambino osservava il mondo circostante già con malizia, circospezione e sfida. E sin dall’evento dell’anatroccolo con la zampetta poi sadicamente tagliata il Male interiore di Jack è cresciuto gradualmente, spingendolo a immaginare una sequela di violenti ‘incidenti’ che nell’arco di dodici anni hanno disegnato una lunga scia di sangue. Ricerca di sangue, sadismo e nessuna empatia per il prossimo sono i tratti salienti del disturbo di Jack, uomo inquadrato all’interno di un profilo narcisistico e psicopatico, e che uccide con il solo scopo di sentirsi meglio, di nuovo vivo.

Matt Dillon nel film The House that Jack Built

The House that Jack Built: la discesa negli inferi di Lars Von Trier

Il genio maledetto di Lars von Trier torna a Cannes sette anni dopo Melancholia e presenta Fuori concorso The House That Jack Built (la casa che Jack ha costruito), una sorta di auto confessione innervata di ironia e filosofia che svela retroscena e ogni piccolo dettaglio della macabra carriera omicida del protagonista Jack (uno strepitoso Matt Dillon nella versione adulta). Una discesa agli inferi contrappuntata da qualche scambio di idea, e opinione con il suo interlocutore nonché guida spirituale Verge (Bruno Ganz), e che si risolve in un istinto omicidiario senza esclusione di colpi. Uomini, donne, bambini. Tutti sembrano cadere nelle trame mortali architettate dalla mente malata di Jack e dalla sua capacità di raggirare vittime e polizia a proprio piacimento. Nella prima parte del film il danese Lars von Trier sfrutta tutta la sua sagacia e il suo sguardo più oscuro per ripercorrere con maniacale attenzione al dettaglio le scene degli efferati delitti, spesso compiuti non solo con cattiveria ma anche con la sadica soddisfazione di farla franca sotto gli occhi di tutti, Il filo rosso di sangue segue di fatto cinque incidenti e altrettanti omicidi per condurci poi nell’epilogo infernale della coscienza, oramai inesorabilmente macchiata.

Uma Thurman e Matt Dillon in The House that Jack Built

The House that Jack Built: il film che ha scioccato Cannes 2018

Lars von Trier torna in gran forma sulla Croisette con un’opera destinata – come sempre – a dividere e far parlare di sé, ma che risulta di fatto tanto disturbante quanto a suo modo coerente, nonché marchiata dal tratto di folle genialità caratteristico del regista danese. Eppure, nel suo esser pieno di elementi disturbanti, The House That Jack Built gode di uno stile e di un equilibrio notevoli. La dimensione fortemente descrittiva e narrativa della prima parte dell’opera viene spiegata e cristallizzata in un epilogo ammaliante e visionario dove la lava è sangue e dove il suono stridulo delle voci in sottofondo rievoca i tanti dannati che dal Male si sono fatti soggiogare diventandone parte integrante, proprio come il bambino Jack. Una riflessione allucinata e dissacrante sul Male e su una società inerme o fondamentalmente stupida, dove l’incarnazione del lato più oscuro ha vita facile, non incontra ostacoli, ma spesso e volentieri ha anche il “beneplacito” delle proprie vittime e la noncuranza dei testimoni.

The House that Jack Built TRAILER