Attraverso l’incipit di una favola quanto mai reale si apre (e apre il Festival del cinema di Roma) l’ultimo film di Luc Besson dedicato alla figura straordinaria di Aung San Suu Kyi, leader del movimento democratico in Birmania, fondatrice della Lega nazionale per la democrazia nel 1988 e premio Nobel per la pace nel ’91. Il regista ripercorre ora in maniera lenta e ora in maniera più dinamica, le vicende della San Suu Kyi che fin da piccola nel lontano 1947, all’età di soli due anni, trova il suo destino già segnato in seguito alla morte del padre, il generale Aung San, leader della lotta indipendentista birmana, assassinato dai suoi avversari politici.

Ad interpretare in maniera raffinata, elegante e rigorosa, è la splendida Michelle Yeho che nell’arco di tutta la storia riesce a costruire un personaggio credibile, così come David Thewlis che ricopre i panni del marito Micheal Aris. Besson, aiutato da testimonianze e fonti dirette, rinterpreta in maniera rispettosa e intimista due percorsi paralleli: il primo, quello storico di una Birmania in cerca di riscatto; il secondo, quello di una storia d’amore fatta di forza  e tenacia, mai dolce o melensa, bensì mostrata nel suo lato più vero e sofferto.  Il regista regala splendide vedute paesaggistiche thailandesi e diverse sequenze memorabili che aiutano a dare alla pellicola una certa dinamicità.

The Lady presenta però anche un lato negativo. Il limite risiede nel fatto che il film, portato a termine il ricalco più o meno fedele della leader birmana, non si spinge oltre, non osa. La pellicola rimane abbastanza piatta e a volte eccessivamente ridondante. è troppo facile fare perno sulle vicende commeventi di una figura così nota, troppo semplice enfatizzare la storia sulla decisione fatidica che la Lady dovrà prendere nella scelta tra la famiglia o il popolo. Il risultato finale è quello di un compito fatto più o meno bene ma senza audacia.

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