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VENEZIA 68: Conferenza Stampa di 4:44 Last Day On Earth

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Alle 4:44 di domani la Terra scomparirà, colpita da una catastrofe che la devasterà e non lascerà neanche un sopravvissuto. Si è tenuta ieri a Venezia la Conferenza Stampa di 4:44 Last Day On Earth, ultimo visionario film del regista italo americano Abel Ferrara, alla quale ha partecipato insieme a parte del cast tecnico e ad i due attori Shanyn Leigh e Willelm Dafoe.

L’idea dell’apocalisse e della fine del mondo è presente anche in altri suoi film anche se in maniera velata, qui è diverso, il film è proprio incentrato su questo, può spiegarci perchè?

–          Abel Ferrara: Non voglio entrare in causa con Al Gore ma alcuni anni fa ha convocato alcuni registi per un film girato a più mani sul riscaldamento globale ma quando un’idea deve essere finanzia tata vengono scelte e selezionate soltanto determinate persone. Questo film invece è stata una buona opportunità perché ci ha permesso di realizzarlo a modo nostro. Siamo tutti felici di essere presenti qui.

Sono stata sorpresa dal fatto che i due personaggi accettino che in poche ore tutto scomparirà, le persone che hanno lavorato con lei si sono meravigliate per questa serenità rassegnata?

–          Shanyn Leigh: Il film è ambientato in un mondo che sapevamo sarebbe finito ed in certe occasioni avere un credo molto forte è l’unica speranza ed è una cosa che abbiamo soppesato molto nel farla trasparire all’interno del film.

–          Willem Dafoe: Non penso sia così sereno il mio personaggio, la cosa che mi colpisce di questo film è che per me la fine del mondo è qualcosa che ci permette di sollevare un quesito sul futuro con più forza, permette di riflettere anche sul passato. No, il mio personaggio non è sereno, ma è l’unica possibilità che ha, il mondo sta per finire.

–          Ken Kelsch (direttore della fotografia): Tutti avrebbero reagito così se fosse avvessero vissuto in un momento del genere, si arriva all’accettazione della cosa, che cosa si vuole vivere negli ultimi momenti di  vita, compresa la redenzione.

–          Neil Benezra (tecnico del suono): Mi sono occupato del suono dall’inizio fino alla fine ed è stato interessante il suono di contorno in tutta la durata del film, l’angoscia e la serenità allo stesso tempo che riesce a trasmettere.

–          Abel Ferrara: Serenità. Sì, alla fine lo si accetta. Se dovrai morire tra tre mesi, avrai più tempo per pensarci ma quando incominci a dire “attento, questa sera sarai morto”, allora si inizia a dover affrontare una cosa o l’altra, l’unica realtà, la morte. Sono due le cose sempre vere, le tasse e la morte. il fisco si occupa delle prime mentre della seconda non si sa mai nulla e l’individuo ci si deve confrontare ma nel frattempo si vive.

Al Gore conosce questo film? Si è confrontato con lui per questo progetto? Come ha scelto quella nube verde per dare il segnale della morte?

–          Abel Ferrara: Abbiamo contattato al gore, sa che c’è questo film ma non l’ha ancora visto.

–          Abel Ferrara: Il verde.. buona domanda. Abbiamo consultato degli esperti per l’aspetto scientifico, abbiamo parlato anche dell’ozono e ci hanno detto: “Certo Abel, è così ma meno ne parli e meglio è”, perché il film non è un documentario scientifico. Comunque quel verde è un effetto reale, è l’aurora boreale, un evento atmosferico naturale.

Per il compositore della colonna sonora, volevo capire qual è stato il processo creativo e se c’è stato un confronto con il regista.

–          Francis Kuipers (colonna sonora): la discussione è stata continuativa tra Abel e me, ho seguito le sue  ma la prima cosa che abbiamo fatto è stata cercare un suono che andasse bene per il film, alla fine abbiamo trovato un suono duro e crudo e quello ho inizialmente seguito, suonandolo sulla chitarra e registrandolo sul pc. Ho cominciato così poi quando sono arrivate le immagini, la musica è cambiata, è stato un processo biologico, abbiamo capito che doveva essere un blues, un gospel, suoni elementari che calzano alla perfezione con l’idea di apocalisse. Non potevo fare una musica troppo complicata, sarebbe diventata un protagonista del film

Per quanto riguarda la scenografia che tipo di accordi avete stabilito con Abel?

–          Frank DeCurtis (scenografie): La sfida per noi è stata fare un film in tempo reale, abbiamo iniziato alle 2 del pomeriggio ed abbiamo finito alle 4.40. Non volevamo mettere immagini in post produzione, elaborate al pc, ma alla fine abbiamo deciso di scegliere il digitale. È stata una scelta interessante girare in un unico luogo, seguendo l’atmosfera di quella sola location. Siamo stati un po’ dei funamboli tra un’idea di epica e una scura di apocalittico. Per quanto riguarda gli interni, quando Abel ha scritto questa sceneggiatura, mi ricordo che me ne parlò una volta in salotto a casa mia e mi disse: “vorrei un mobile come questo o come quello là” e quello abbiamo inserito. Tutto il processo si è sviluppato molto naturalmente per arrivare a mettere i vari mobili nell’appartamento, Abel voleva inoltre una luce rossa accesa nella stanza e così è stato. Volevamo mettere degli oggetti personali che gli attori potessero riconoscere, anche se magari potevano risultarne alienati ma era importante anche l’alienazione. Grazie ad Abel che è stato fantastico siamo riusciti a creare un interno che si potesse lasciare e riutilizzare.

–          Abel Ferrara: Tutto il giorno mi chiedevano se fosse autobiografico, sapete, una volta che sono creati i personaggi la battaglia è aperta, anche nella musica ci sono io, certo, cercherei di salvarmi a tutti i costi ma questo è un altro discorso. Sì, anche negli ambienti c’è parte di me.

Si dà molta importanza alla multimedialità, che cosa rappresenta per lei (Abel Ferrara)?

–          Abel Ferrara: Si sa che questi ragazzini vivono con il mondo ai loro piedi, sempre connessi alla rete con telefonini ed altri aggeggi e quando si parla di Matrix e si mette una macchina da presa contro il muro si può entrare ovunque, all’infinito. Dovunque si vada si può essere ripresi, registrati. La macchina da presa può registrarti in qualsiasi momento e i ragazzini ci sono nati in questo millennio, sono cresciuti così.

Guardando un po’ indietro nella sua filmografia, si può definire quale un poeta maledetto ma ci sono dei margini di speranza?

–          Abel Ferrara: No no, non mi sento un poeta maledetto. Questi film parlano di persone, che si tratti della fine del mondo o di vampiri, qualsiasi sia il genere cinematografico, parlano di individui, della loro vita di tutti i giorni che sia incubo o sogno, ma sempre di individui, in queste situazioni trovano se stessi e gli altri, questa è la speranza.

Per Defoe, trova di essere un alter ego di Ferrara in questo film?

–          Willem Defoe: Quando mi ha proposto questo film, c’era Abel dappertutto, in tutte le virgole, era l’impulso ed era una sceneggiatura molto personale, sappiamo che è il regista ma ha chiesto a me di raccontare la storia come attore, io sono esattamente un uomo inserito nel mondo che lui guarda mentre lo costruisce.

In fondo sappiamo che tutti siamo destinati a morire ma abbiamo capito che il dolore della morte è per chi rimane e soffre il lutto ma se non lasci niente in fondo pazienza, non è così?

–          Abel Ferrara: Quello che dicevo precedentemente. Qui abbiamo un personaggio, non gli ho detto recita te stesso, lui entra in quel personaggio. Noi abbiamo dato tutto quello che dovevamo a questo personaggio, non ci si può ritrarre in maniera non obbiettiva però bisogna arrivare a dire tutto e non solo io regista, ma tutti. Anche nel personaggio femminile ci sono io, ci siamo tutti. Siamo tutti scossi assieme ed alla fine si ha un film corale che si vuole guardare.

–          Ken Kelsch (direttore della fotografia): La cosa interessante  di Abel è che è un poeta ma questo può essere sia una benedizione che una maledizione, perché si è troppo sensibili, ogni volta si parla di Abel in qualsiasi film, che ci piaccia o meno Willelm ne è l’estensione, è l’agente di Abel. La fortuna di Abel è la capacità di fare film così personali ed è uno dei pochi autori veramente autori con la A maiuscola del proprio film. Riesce a far passare se stesso nelle proprie opere.

Per il regista. Nel suo film la terra scompare per conto dell’umanità. Nell’attualità del mondo di oggi pensa possa andare così? Nel mondo reale tutti sanno che dobbiamo morire ma non si sa quando, nel film ci sarebbe stata un’angoscia maggiore o no, non sapendolo?

–          Abel Ferrara: Questo film tratta dell’uomo che distrugge la terra ma che principalmente distrugge se stesso. Si parla dell’umanità che non riesce a capire che cosa deve fare per ridurre la distruzione del suo mondo. Siamo tutti responsabili, non è un incidente o un atto di Dio, è un atto dell’uomo, ecco di cosa parla il film e tutti si devono sentire responsabili. Due anni fa pensavo a questo lungometraggio e stavo venendo a Venezia, ero sull’aereo ed ad un certo punto sono cadute le maschere per l’ossigeno per perdita di quota e mi sono chiesto, ora? Sto per morire? Non voglio saperlo in anticipo. Ma nel film l’angoscia è collettiva, è un senso di gravità comune, si cerca di arrivare ad un punto nel quale dobbiamo fare i conti con la situazione creata da noi stessi, non è che viviamo in un mondo nel quale diciamo che questo non succederà mai, anzi.

Avete già lavorato con Abel prima, quanto avete portato nella sceneggiatura, qualcosa dei vostri valori?

–          Shanyn Leigh: Abbiamo lavorato molto effettivamente, io sono buddhista, anche Willelm, esattamente come nel film. Molto di questo film veniva dalla nostra vita personale. Volevo parlare dell’angoscia, ecco, se voi siete attaccati alla vostra famiglia, al vostro computer agli oggetti, non avrete modo di scampare all’angoscia più logorante, ma se avete una credenza spirituale allora vi troverete molto meglio.

–          Willem Dafoe: Il mio approccio in fase di scrittura della sceneggiatura  era questo sentimento rispetto al fatto che questa persona fosse un tossicomane per certi aspetti, e si chiedeva “vuoi sapere e vedere da cosciente, o vuoi essere drogato nel momento in cui tutto avverà?” Anche nelle piccole scene, facendo le cose quotidiane, tutto è impregnato dalla scelta vitale che si fa nel voler essere coscienti in un momento come quello, non sempre vogliamo essere svegli, abbiamo le nostre strategia per affrontare momenti del genere. La sceneggiatura richiede risvolti filosofici e psicologici ma ricerca queste cose attraverso la quotidianità.

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Berlinale 73: Inside, la recensione | Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

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Inside film recensione

La recensione di Inside – Foto: Newscinema.it

Presentato al 73° Festival di Berlino, Inside conta 105’ di durata e fa parte della sezione Panorama.

Regia e soggetto sono a cura di Vasilis Katsoupis mentre la sceneggiatura di Inside è firmata da Ben Hopkins. Il protagonista assoluto di questo thriller dalle sfumature comedy-drama è Willem Dafoe e verrà distribuito nelle sale statunitensi il 10 marzo 2023, attendiamo la conferma italiana.

La trama di Inside

Il ladro d’arte Nemo rimane intrappolato in un attico a Times Square durante un furto che finisce male. Con il passare dei giorni il suo stato mentale comincia a peggiorare e dovendo combattere con la fame e la sete, dovrà escogitare un piano per trovare una via di fuga, per restare lucido e per adattarsi alle disagianti condizioni, ormai inevitabili.

Il one man show di Willem Dafoe

Ci sono film che abbracciano il proprio protagonista cucendogli addosso un ruolo perfetto e imbastendo intorno a lui un ambiente congeniale che punta al risultato sperato. Mai come in questo caso la definizione può essere più appropriata, questo film è Willem Dafoe.

Un uomo imprigionato senza via di fuga che dopo averle provate tutte inizia a testare i propri limiti, finendo per immaginare soluzioni e fantasticare tra folli visioni. Il ladro lo sappiamo, è una figura negativa che solitamente dovremmo identificare come antagonista ma che qui trova un risvolto opposto.

Nemo è un uomo che non avverti mai come ostile, ti trovi ad empatizzare totalmente con lui e quasi ti dimentichi che si meriti di essere imprigionato lì e magari anche scoperto, in quanto giunto in quella situazione per qualcosa che sostanzialmente non andava fatto.

Willem Dafoe Inside

Willem Dafoe in Inside – Foto: Berlinale 73

Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

Freddo glaciale o caldo torrido, mancanza di una fonte d’acqua, istinto di sopravvivenza e di adattamento, di certo quello che a prima vista pare essere un attico pieno di comfort, diventa in un attimo un ambiente avverso dove la tecnologia, da cui ormai dipendiamo, da utile si fa nemica.

Questa interessantissima opera filmica è capace di diversificare la propria direzione, partendo da qualcosa di inizialmente molto concreto e arrivando a compiere un viaggio più concettuale. Già capace di affascinare al suo primo lungometraggio dunque, il regista greco pare avere le idee ben chiare sulla direzione verso cui portare il proprio cinema.

Un po’ come il connazionale Yorgos Lanthimos, percorre una strada che parte dal realismo e finisce nella criptica isola del sottotesto ermetico, quello in cui è necessario un lavoro mentale da parte dello spettatore per essere elaborato al meglio.

Inno all’arte

L’arte e la sua realizzazione, l’inventiva, la ricerca di soluzioni che stimolano la creatività sfociando in qualcosa di ricercato, di contemporaneo, di artisticamente riflessivo. Muffa, sudore, rabbia, rassegnazione, tanti sono gli elementi simbolici o le sensazioni percepite, che portano ad un unica domanda: fin dove si può spingere un uomo?

Un essere umano in trappola, messo a dura prova dalla situazione che involontariamente si trova a vivere, sopraffatto dal proprio istinto, troverà il modo di far pace con sé stesso e con l’ambiente circostante in un equilibrio quasi spirituale. Molto silenzioso Dafoe gioca con sé stesso, recita per sottrazione, talvolta interagendo soltanto con la mimica facciale, altre con gli oggetti presenti in scena o qua e là parlando un divertente italiano.

Inside film 2023

Inside film – Foto: Newscinema.it

Non mancano infatti passaggi simpatici, dalla Macarena agli easter egg brillanti disseminati in ogni dove, che grazie ad un ottimo lavoro di montaggio esaltano ancor di più il ritmo e il talento dell’attore, chiamato a reggere sulle proprie spalle l’intero lungometraggio.

In conclusione ci troviamo immersi in un mondo nascosto tra condizioni critiche poco rassicuranti e ostacoli decisamente ingombranti, che pulsa però quasi inconsapevolmente di innata genialità artistica e si fa metafora di quello che Nemo sta pian piano realizzando, come fosse un inception di strutture a matrioska. Un inno all’arte dunque, alle menti creative e al prepotente ma essenziale concetto “Non c’è creazione senza distruzione”.

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Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name

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Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name
3.6 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora
Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Suzume, il nuovo film d’animazione del regista di Your Name si rivela un’opera avvincente, intrigante e sorprendente, presentata in concorso alla 73esima edizione della Berlinale.

È stato presentato a Berlino il nuovo film d’animazione del regista giapponese Makoto Shinkai, che nel 2016, con Your Name, aveva commosso milioni di spettatori in tutto il mondo, fino a guadagnarsi la stima che si riserva ai nuovi maestri e, in alcuni casi, persino lusinghieri paragoni con Hayao Miyazaki.

Il suo nuovo Suzume è un’opera avvincente, intrigante, sconcertante: un film catastrofico sci-fi spettacolare che si fa saggio sulla natura e la politica, attraversato da elementi comici folli e stravaganti che in alcuni momenti ne deviano la narrazione e ne cambiano drasticamente il tono.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Già in Your Name, il regista aveva inventato un disastro – un enorme impatto meteorico – quasi sicuramente ispirato al terremoto del Tōhoku del 2011. Con Suzume, adesso, fa esplicito riferimento alle scosse e allo tsunami del 3/11 nel prologo del film, quando la protagonista si ritrova in quella che sembra ESSERE una dimensione parallela in cui regna una devastazione surreale, con case ridotte in macerie e barche spettrali incagliate dopo misteriosi naufragi.

Il resto del film si svolge circa un decennio dopo, a partire da Kyushu (purtroppo, isola che è stata colpita da un terremoto di magnitudo 5,6 appena sei settimane prima dell’uscita del film, dando ulteriore rilevanza e attualità al suo messaggio). Una mattina, in sella alla sua bicicletta, Suzume incrocia un bel giovane che cammina nella direzione opposta, e con uno stratagemma visivo preso in prestito dal cinema live action, il tempo rallenta e la regia cattura la scintilla che scatta romantica tra loro.

Lo straniero si chiama Souta Manakata e si presenta a Suzume come un “Closer”, ovvero qualcuno incaricato di chiudere una serie di portali mistici per evitare che gigantesche creatura fuggano attraverso essi e continuino a causare disastri in tutto il Paese (vermi in computer grafica che rivelano la loro pericolosità e la loro alterità anche come corpi estranei rispetto al gentile tratto bidimensionale del film). Souta, però, all’inizio del viaggio si trasforma in una sedia per bambini a tre gambe: un’idea stravagante per un compagno di viaggio che si rivela però sorprendentemente efficace.

Il film, infatti, riesce a rendere Souta molto più espressivo nella sua semplice forma geometrica di sedia rispetto a quando, da ragazzo in carne ed ossa, non può che essere il generico oggetto d’amore della protagonista. E anche in questo rifiuto di un sentimentalismo molto vecchio e abusato sta la modernità del film di Shinkai, che stavolta decide di dare un tocco contemporaneo e giovanile al suo film collaborando nuovamente con la rock band Radwimps, affiancata qui dalla strumentazione del compositore Kazuma Jinnouchi, e incorporando nella narrazione la tecnologia moderna e l’utilizzo dei social network. Lo stesso design del gatto Daijin quasi certamente ricorderà ai fan più giovani quello cattivo dello show Puella Magi Madoka Magica.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Strutturato come un road movie, Suzume invita il pubblico ad un tour del Giappone, sorvolando sui punti di riferimento familiari, come il Monte Fuji, e concentrandosi invece sui luoghi che rappresentano il patrimonio in via di estinzione del Paese del Sol Levante. Ma è la direzione dell’animazione di Kenichi Tsuchiya, che si impone con i suoi dettagli sbalorditivi, che rendono Suzume un oggetto di misteriosa bellezza nei suoi cieli notturni e negli skyline pittorici delle diverse città. La protagonista entra in connessione con il pubblico come un’adolescente in movimento e in subbuglio, comandando il percorso emotivo della narrazione.

“Il peso dei sentimenti delle persone è ciò che soffoca la Terra”, dice Souta nel film: ed è questo il manifesto di Shinkai su come la vita interiore e la topografia giapponese siano strettamente dipendenti l’una dall’altra. E proprio come nel film The Garden of Words, in cui aveva già spiegato la sua tesi emotiva attraverso la poesia Man’yōshū, Suzume è uno sforzo che cerca di restituire la complessità di un mondo interiore con umorismo e pathos, legandolo alle sorti della Terra, del mondo che sta fuori.

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Berlinale 73 | Infinity Pool, Mia Goth: “Non mi sottraggo mai davanti a questo tipo di film”

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Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Mia Goth e Alexander Skarsgard hanno rivelato di essersi divertiti molto a realizzare Infinity Pool, il thriller “provocatorio” e “viscerale” del regista canadese Brandon Cronenberg, presentato in anteprima europea alla 73esima Berlinale.

È stato presentato in anteprima europea alla 73esima edizione della Berlinale l’atteso Infinity Pool, nuovo controverso thriller diretto da Brandon Cronenberg. Il regista ne ha parlato insieme ai protagonisti Mia Goth e Alexander Skarsgard in una conferenza stampa con i giornalisti, approfondendo le tematiche del film e affrontando le controversie legate ad esso.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

L’attrice britannica, oggi famosa specialmente per essere protagonista e co-creatrice della trilogia horror di Ti West cominciata con X – A Sexy Horror Story, ha detto di aver apprezzato molto l’aspetto “provocatorio” del suo personaggio. “Non mi sottraggo mai a questo tipo di materiale e a questo tipo di film”, ha detto ai giornalisti.

“Trovo che all’interno di questo tipo di storie ci siano personaggi davvero impegnativi che mi permettono di esplorare sfaccettature di me stessa che non mi sento molto a mio agio a rivelare al di fuori di un set. Gabi è un personaggio molto vario e dinamico. All’inizio è una donna piuttosto dolce e senza pretese e alla fine del film la vediamo invece completamente selvaggia e scardinata, solo primordiale”, ha spiegato Goth.

Il personaggio di Skarsgard, invece, è uno scrittore in difficoltà, burattino di un gioco perverso e pericoloso. “Si capisce già nel suo primo incontro con Gabi che non gli ci vuole molto per seguirla come un cane affamato”, ha affermato l’attore. “È stato abbastanza divertente giocarci con quanto fosse credulone e quanto fosse facile manipolarlo. Volevo uscire dalla mia testa… buttarmi lì dentro, in questo mondo, e vedere cosa sarebbe successo. È un film così viscerale, in cui succedono tante cose”.

I due personaggi, però, sono uno lo specchio dell’altro, come suggerito da Goth. “Penso che Gabi possa ritrovare molto di se stessa in James. Ed è anche per via di questo riconoscimento che le è così facile rivoltarlo come un calzino. Perché hanno lo stesso background culturale, lo stesso status sociale e, cosa più importante, hanno entrambi una vita di insuccessi e di fallimenti. Hanno modi diversi di affrontare questa condizione, ma da dentro penso siano molto più simili di quanto sembri”, ha spiegato l’attrice.

Berlinale 73 | Brandon Cronenberg:“Un prossimo film tratto da Ballard”

Il film è in parte ispirato, per ammissione dello stesso regista, al romanzo di Super-Cannes di J. G. Ballard, pur non trattandosi di una vera e propria trasposizione fedele o ufficiale. “Adoro Ballard e in passato ho pensato spesso di adattare il suo libro per il cinema, ancora prima di realizzare Infinity Pool.

Quindi sicuramente c’è un po’ di questa influenza nel film. Non è la stessa cosa, ma sicuramente il mood è quello. Siamo attualmente in fase di trattativa con chi detiene i diritti di Super-Cannes per riuscire a realizzare un adattamento cinematografico nel prossimo futuro. Mi piacerebbe molto farlo”, ha annunciato il regista.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Di Infinity Pool si è parlato, e si continuerà a parlare, specialmente per le sue scene più esplicite e disturbanti. “Non trovo particolarmente utile avere degli intimacy coordinators (figure che garantiscono il benessere di attori e attrici che partecipano a scene di sesso o ad altre scene intime in un film) sul set”, ha dichiarato Mia Goth.

“E probabilmente questo è dovuto al fatto che ho sempre lavorato con registi fantastici: sensibili, gentili e professionali. Come appunto Brandon Cronenberg. Spesso è meglio girare la scena senza perdere troppo tempo a discutere di cosa si può o non si può fare. È una situazione che crea più imbarazzo che altro. Se c’è fiducia tra gli attori e con il regista, basta quello”.

Cronenberg ha poi scherzato sulle notizie apparse sui giornali relative a degli spettatori, nelle diverse presentazioni del film in giro per il mondo, che hanno abbandonato la sala dopo essersi sentiti male davanti alle scene più disturbanti: “In realtà, poche persone hanno lasciato la sala durante queste proiezioni. Devo dire che siamo un po’ delusi. Forse non abbiamo fatto un buon lavoro. Quando abbiamo mostrato il film ai nostri amici, pochissimi hanno riso davanti all’umorismo molto perverso della storia. E pensavamo di essere spacciati. Invece il pubblico sembra averlo compreso”.

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