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VENEZIA 68: Conferenza stampa di Shame
Si è tenuta oggi a Venezia la conferenza stampa del film “Shame” co-scritto (insieme ad Abi Morgan) e diretto dal regista inglese Steve McQueen, da non confondere col celebre attore americano scomparso nel ’80. Il film che vede come protagonisti Michael Fassbender (Brandon) e Carey Mulligan (Sissy) tratta della controversa esistenza di quest’uomo sulla trentina che vive a New York ed è totalmente incapace di gestire la propria vita sessuale. Quando la sorellina ribelle si stabilisce nel suo appartamento, Brandon perde sempre più il controllo del proprio mondo. Shame è un’analisi stringente e attuale della natura del bisogno, del nostro modo di vivere e delle esperienze che plasmano la nostra esistenza.
Quest’anno Mr McQueen è a Venezia in ben due ambiti, Fuori Concorso ed ai Giardini con la sua esposizione artistica, è stato un bel riconoscimento da parte della Mostra.
Steve McQueen: è un onore essere riconosciuto qui a Venezia è una di quelle cose che mi rendono onorato per il lavoro al quale ho dedicato una vita, entrambi i due processi sono simili, è sempre arte.
Stessa domanda per lei, Michael, è arrivato al Lido per presentare ben due film uno Fuori Concorso (Shame, per l’appunto) ed uno in Selezione Ufficiale (A Dangerous Method di Cronenberg), come ha preso le due selezioni?
Michael Fassbender: È un privilegio ed un onore essere qui con ben due film, è fantastico essere qui con entrambe i cast ed i registi, per presentare due opere alle quali ho creduto fino in fondo.
Com’è stato fare un film su di un personaggio come questo, che sembra essere al di la di qualsiasi possibile redenzione?
Steve McQueen: Mi piace Brandon ma è un personaggio difficile, mette a dura prova, non è molto diverso da tutti noi, non è cattivo. Vive nell’attuale con tutte le difficoltà, certo, in quanto personaggio Brandon ci è molto famigliare, non distante o repellente.
Mr. Fassbender, nelle scene più particolari si è sempre sentito a suo agio o c’è stato qualche ciak che l’ha messa in difficoltà?
Michael Fassbender: Sì le scene del sesso. Non ero proprio a mio agio, ma le ho dovute fare, la cosa importante è che tutti fossero a proprio agio e così è stato, le abbiamo girate bene alla fine.
Steve McQueen: Per le scene di sesso devo dire che Michael e Didi, gli attori, hanno fatto un ottimo lavoro, ottima recitazione, per quanto riguarda i dettagli, sono rimasto soddisfatto, gli attori sono stati veramente eccezionali.
Perché New York e non Londra, perché non la scelta di un accento londinese?
Abbie Morgan: Steve ed io siamo rimasti molto affascinati da NY, siamo rimasti colpiti e ne abbiamo parlato a lungo, a me piace tantissimo che siano state girate sull’Hudson molte scene e che ci sia l’acqua. È una città nella quale ci si può sentire soli ed al contempo essere in mezzo ad una moltitudine di persone, NY era ben intrecciata con la trama ed i personaggi.
Steve McQueen: è una città che vive 24 ore su 24 e si capisce che Brandon doveva vivere lì, è il posto dell’eccesso, il suo habitat naturale. Per me NY stessa è un personaggio del fillm, dà sostegno a tutto il resto.
Questo è il vostro secondo film insieme (rivolta a McQueen e Fassbender) dopo Hunger, nel frattempo Michael ha fatto una carriera strabiliante, questo è il suo anno. Come si è evoluta la vostra collaborazione?
Steve McQueen: Per quanto riguarda la collaborazione con Michael, è una storia d’amore, oramai è una relazione, è stato un colpo di fulmine. Se fosse stato reciproco, allora tanto meglio e lo è stato. Per me sarebbe difficile fare un film senza di lui, ma dal momento in cui ci siamo incontrati è stato amore, siamo stati fortunati perché è successo.
In Italia non ha trovato distribuzione questo film, come le hanno giustificato questa scelta?
Steve McQueen: Per quanto riguarda la mancata distribuzione, m’è stato detto che era stato per via della nudità dell’uomo, se fosse stata una donna ad essere nuda, immagino sarebbe stato differente.
Per la sceneggiatrice Abi Morgan, crede sia possibile un corrispettivo della storia, reso al femminile?
Abi Morgan: Se il tempo è maturo per il personaggio al femminile, questo non lo so. A me piace Brandon, un uomo che ha totalmente perso la sua bussola morale, potrebbe valere anche nei panni di una donna ma penso sia tatuata su un uomo, io mi innamorai del personaggio e l’ho visto nelle vesti di un uomo.
Steven, il titolo, Shame, si pensava che sarebbe stato riferito ad un incesto che alla fine non c’è stato, da dove è derivata l’idea?
Steve McQueen: le persone sono simili a Brandon che abbiamo seguito ed osservato per parecchio tempo, hanno continuato a ripetere questa parola ed alla fine è diventata il titolo. È ovvio che questi individui provino vergogna.
Per Fassbender, lei è qui con due film e due ruoli molto forti, Jung (in A Dangerous Method) Brandon, entrambi con una vita sessuale tormentata e piena di lati oscuri. Che differenza c’è di approccio tra un personaggio realmente esistito (Jung) ed uno creato dal niente come
Brandon?
Michael Fassbender: Essenzialmente il lavoro è lo stesso, prima di tutto lavoro sulla sceneggiatura e la storia, lavoro tanto e se è esistito davvero, bene, attingo alla sua biografia, se non c’è la scrivo io la invento. Il lavoro è lo stesso, si è al servizio della storia, del personaggio, certo se c’è il materiale storico si può usare quello, sennò dovrai ricrearti in mente una tua biografia del personaggio.
Nel primo film (Hunger), che era molto politico e rappresentava in una società sia mondiale che locale gli anni 80, in cui la politica interessava molto l’individuo in particolare in Inghilterra ma anche nel resto delle nazioni, c’era una forma di violenza da parte dello Stato verso gli individui. In questo film invece si ragiona sui rapporti umani, sulle affettività violente di individui che comunicano tramite violenza sessuale. C’è un’analisi che mira al passaggio tra le due forme di violenze?
Steve McQueen: Anche questo film riguarda la politica, Hunger parlava dell’Irlanda del Nord, qui si parla della politica attuale. Quanto si parla di politica adesso. Tramite internet la nostra vita è cambiata sessualmente, è cambiata la maniera in cui interagiamo.
Come mai questo personaggio? È realmente esistito? Lo ha letto in un libro o ha attinto a riferimenti
personali?
Steve McQueen: penso sia ovvio, con quello che succede oggi riguardo alle dipendenze da droghe ed alcol mi hanno portato a creare un personaggio come quello di Brandon
Abi Morgan: No, questa non è una persona realmente esistita. Abbiamo incontrato tanta gente con una vita simile a quella di Brandon ma non esiste nello specifico. Questa è stata la fonte di ispirazione, le emozioni che abbiamo provato quando entravamo in contatto con quel mondo.
Ci hai detto che in Hunger una delle scene del film derivava da una notizia che lei aveva mutuato dalla sua adolescenza, in Shame, ci sono altri richiami al suo passato
Steve McQueen: No, devo dire che mi sono sentito libero di creare, in Hunger, la situazione vedeva quest’uomo in prigione, qual’era l’opposto? Una persona libera con accesso a tutto quello che desiderava ed ovviamente l’elemento sessuale interviene ed entrambe i film sono accomunati. Come tanta libertà in questo possa diventare una prigione. Si ha l’idea di un parallelo in cui i due personaggi, nel primo caso il primo intrappolato in una prigione fisica, riesce comunque a che governare la sua libertà, mentre il secondo con troppa libertà fisica si crea una prigione mentale.
Perché ha voluto aggiungere anche la scena della droga, quando comunque il perno del film e della sregolatezza appartiene alla sfera del sesso?
Michael Fassbender: Avevamo discusso la scena della cocaina, avevamo pensato se aggiungerla o meno, volevamo parlare degli eccessi che si stimolano l’un l’altro e la coca piuttosto che il bere, fa si che si alzi il telefono e si chiami una prostituta per sesso, sono dipendenze collegate, vanno di pari passo. Sono intrecciate.
Festival
Berlinale 73: Inside, la recensione | Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

La recensione di Inside – Foto: Newscinema.it
Presentato al 73° Festival di Berlino, Inside conta 105’ di durata e fa parte della sezione Panorama.
Regia e soggetto sono a cura di Vasilis Katsoupis mentre la sceneggiatura di Inside è firmata da Ben Hopkins. Il protagonista assoluto di questo thriller dalle sfumature comedy-drama è Willem Dafoe e verrà distribuito nelle sale statunitensi il 10 marzo 2023, attendiamo la conferma italiana.
La trama di Inside
Il ladro d’arte Nemo rimane intrappolato in un attico a Times Square durante un furto che finisce male. Con il passare dei giorni il suo stato mentale comincia a peggiorare e dovendo combattere con la fame e la sete, dovrà escogitare un piano per trovare una via di fuga, per restare lucido e per adattarsi alle disagianti condizioni, ormai inevitabili.
Il one man show di Willem Dafoe
Ci sono film che abbracciano il proprio protagonista cucendogli addosso un ruolo perfetto e imbastendo intorno a lui un ambiente congeniale che punta al risultato sperato. Mai come in questo caso la definizione può essere più appropriata, questo film è Willem Dafoe.
Un uomo imprigionato senza via di fuga che dopo averle provate tutte inizia a testare i propri limiti, finendo per immaginare soluzioni e fantasticare tra folli visioni. Il ladro lo sappiamo, è una figura negativa che solitamente dovremmo identificare come antagonista ma che qui trova un risvolto opposto.
Nemo è un uomo che non avverti mai come ostile, ti trovi ad empatizzare totalmente con lui e quasi ti dimentichi che si meriti di essere imprigionato lì e magari anche scoperto, in quanto giunto in quella situazione per qualcosa che sostanzialmente non andava fatto.

Willem Dafoe in Inside – Foto: Berlinale 73
Un incubo a occhi aperti tra quattro mura
Freddo glaciale o caldo torrido, mancanza di una fonte d’acqua, istinto di sopravvivenza e di adattamento, di certo quello che a prima vista pare essere un attico pieno di comfort, diventa in un attimo un ambiente avverso dove la tecnologia, da cui ormai dipendiamo, da utile si fa nemica.
Questa interessantissima opera filmica è capace di diversificare la propria direzione, partendo da qualcosa di inizialmente molto concreto e arrivando a compiere un viaggio più concettuale. Già capace di affascinare al suo primo lungometraggio dunque, il regista greco pare avere le idee ben chiare sulla direzione verso cui portare il proprio cinema.
Un po’ come il connazionale Yorgos Lanthimos, percorre una strada che parte dal realismo e finisce nella criptica isola del sottotesto ermetico, quello in cui è necessario un lavoro mentale da parte dello spettatore per essere elaborato al meglio.
Inno all’arte
L’arte e la sua realizzazione, l’inventiva, la ricerca di soluzioni che stimolano la creatività sfociando in qualcosa di ricercato, di contemporaneo, di artisticamente riflessivo. Muffa, sudore, rabbia, rassegnazione, tanti sono gli elementi simbolici o le sensazioni percepite, che portano ad un unica domanda: fin dove si può spingere un uomo?
Un essere umano in trappola, messo a dura prova dalla situazione che involontariamente si trova a vivere, sopraffatto dal proprio istinto, troverà il modo di far pace con sé stesso e con l’ambiente circostante in un equilibrio quasi spirituale. Molto silenzioso Dafoe gioca con sé stesso, recita per sottrazione, talvolta interagendo soltanto con la mimica facciale, altre con gli oggetti presenti in scena o qua e là parlando un divertente italiano.

Inside film – Foto: Newscinema.it
Non mancano infatti passaggi simpatici, dalla Macarena agli easter egg brillanti disseminati in ogni dove, che grazie ad un ottimo lavoro di montaggio esaltano ancor di più il ritmo e il talento dell’attore, chiamato a reggere sulle proprie spalle l’intero lungometraggio.
In conclusione ci troviamo immersi in un mondo nascosto tra condizioni critiche poco rassicuranti e ostacoli decisamente ingombranti, che pulsa però quasi inconsapevolmente di innata genialità artistica e si fa metafora di quello che Nemo sta pian piano realizzando, come fosse un inception di strutture a matrioska. Un inno all’arte dunque, alle menti creative e al prepotente ma essenziale concetto “Non c’è creazione senza distruzione”.
Festival
Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Suzume, il nuovo film d’animazione del regista di Your Name si rivela un’opera avvincente, intrigante e sorprendente, presentata in concorso alla 73esima edizione della Berlinale.
È stato presentato a Berlino il nuovo film d’animazione del regista giapponese Makoto Shinkai, che nel 2016, con Your Name, aveva commosso milioni di spettatori in tutto il mondo, fino a guadagnarsi la stima che si riserva ai nuovi maestri e, in alcuni casi, persino lusinghieri paragoni con Hayao Miyazaki.
Il suo nuovo Suzume è un’opera avvincente, intrigante, sconcertante: un film catastrofico sci-fi spettacolare che si fa saggio sulla natura e la politica, attraversato da elementi comici folli e stravaganti che in alcuni momenti ne deviano la narrazione e ne cambiano drasticamente il tono.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Già in Your Name, il regista aveva inventato un disastro – un enorme impatto meteorico – quasi sicuramente ispirato al terremoto del Tōhoku del 2011. Con Suzume, adesso, fa esplicito riferimento alle scosse e allo tsunami del 3/11 nel prologo del film, quando la protagonista si ritrova in quella che sembra ESSERE una dimensione parallela in cui regna una devastazione surreale, con case ridotte in macerie e barche spettrali incagliate dopo misteriosi naufragi.
Il resto del film si svolge circa un decennio dopo, a partire da Kyushu (purtroppo, isola che è stata colpita da un terremoto di magnitudo 5,6 appena sei settimane prima dell’uscita del film, dando ulteriore rilevanza e attualità al suo messaggio). Una mattina, in sella alla sua bicicletta, Suzume incrocia un bel giovane che cammina nella direzione opposta, e con uno stratagemma visivo preso in prestito dal cinema live action, il tempo rallenta e la regia cattura la scintilla che scatta romantica tra loro.
Lo straniero si chiama Souta Manakata e si presenta a Suzume come un “Closer”, ovvero qualcuno incaricato di chiudere una serie di portali mistici per evitare che gigantesche creatura fuggano attraverso essi e continuino a causare disastri in tutto il Paese (vermi in computer grafica che rivelano la loro pericolosità e la loro alterità anche come corpi estranei rispetto al gentile tratto bidimensionale del film). Souta, però, all’inizio del viaggio si trasforma in una sedia per bambini a tre gambe: un’idea stravagante per un compagno di viaggio che si rivela però sorprendentemente efficace.
Il film, infatti, riesce a rendere Souta molto più espressivo nella sua semplice forma geometrica di sedia rispetto a quando, da ragazzo in carne ed ossa, non può che essere il generico oggetto d’amore della protagonista. E anche in questo rifiuto di un sentimentalismo molto vecchio e abusato sta la modernità del film di Shinkai, che stavolta decide di dare un tocco contemporaneo e giovanile al suo film collaborando nuovamente con la rock band Radwimps, affiancata qui dalla strumentazione del compositore Kazuma Jinnouchi, e incorporando nella narrazione la tecnologia moderna e l’utilizzo dei social network. Lo stesso design del gatto Daijin quasi certamente ricorderà ai fan più giovani quello cattivo dello show Puella Magi Madoka Magica.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Strutturato come un road movie, Suzume invita il pubblico ad un tour del Giappone, sorvolando sui punti di riferimento familiari, come il Monte Fuji, e concentrandosi invece sui luoghi che rappresentano il patrimonio in via di estinzione del Paese del Sol Levante. Ma è la direzione dell’animazione di Kenichi Tsuchiya, che si impone con i suoi dettagli sbalorditivi, che rendono Suzume un oggetto di misteriosa bellezza nei suoi cieli notturni e negli skyline pittorici delle diverse città. La protagonista entra in connessione con il pubblico come un’adolescente in movimento e in subbuglio, comandando il percorso emotivo della narrazione.
“Il peso dei sentimenti delle persone è ciò che soffoca la Terra”, dice Souta nel film: ed è questo il manifesto di Shinkai su come la vita interiore e la topografia giapponese siano strettamente dipendenti l’una dall’altra. E proprio come nel film The Garden of Words, in cui aveva già spiegato la sua tesi emotiva attraverso la poesia Man’yōshū, Suzume è uno sforzo che cerca di restituire la complessità di un mondo interiore con umorismo e pathos, legandolo alle sorti della Terra, del mondo che sta fuori.
Festival
Berlinale 73 | Infinity Pool, Mia Goth: “Non mi sottraggo mai davanti a questo tipo di film”

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
Mia Goth e Alexander Skarsgard hanno rivelato di essersi divertiti molto a realizzare Infinity Pool, il thriller “provocatorio” e “viscerale” del regista canadese Brandon Cronenberg, presentato in anteprima europea alla 73esima Berlinale.
È stato presentato in anteprima europea alla 73esima edizione della Berlinale l’atteso Infinity Pool, nuovo controverso thriller diretto da Brandon Cronenberg. Il regista ne ha parlato insieme ai protagonisti Mia Goth e Alexander Skarsgard in una conferenza stampa con i giornalisti, approfondendo le tematiche del film e affrontando le controversie legate ad esso.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
L’attrice britannica, oggi famosa specialmente per essere protagonista e co-creatrice della trilogia horror di Ti West cominciata con X – A Sexy Horror Story, ha detto di aver apprezzato molto l’aspetto “provocatorio” del suo personaggio. “Non mi sottraggo mai a questo tipo di materiale e a questo tipo di film”, ha detto ai giornalisti.
“Trovo che all’interno di questo tipo di storie ci siano personaggi davvero impegnativi che mi permettono di esplorare sfaccettature di me stessa che non mi sento molto a mio agio a rivelare al di fuori di un set. Gabi è un personaggio molto vario e dinamico. All’inizio è una donna piuttosto dolce e senza pretese e alla fine del film la vediamo invece completamente selvaggia e scardinata, solo primordiale”, ha spiegato Goth.
Il personaggio di Skarsgard, invece, è uno scrittore in difficoltà, burattino di un gioco perverso e pericoloso. “Si capisce già nel suo primo incontro con Gabi che non gli ci vuole molto per seguirla come un cane affamato”, ha affermato l’attore. “È stato abbastanza divertente giocarci con quanto fosse credulone e quanto fosse facile manipolarlo. Volevo uscire dalla mia testa… buttarmi lì dentro, in questo mondo, e vedere cosa sarebbe successo. È un film così viscerale, in cui succedono tante cose”.
I due personaggi, però, sono uno lo specchio dell’altro, come suggerito da Goth. “Penso che Gabi possa ritrovare molto di se stessa in James. Ed è anche per via di questo riconoscimento che le è così facile rivoltarlo come un calzino. Perché hanno lo stesso background culturale, lo stesso status sociale e, cosa più importante, hanno entrambi una vita di insuccessi e di fallimenti. Hanno modi diversi di affrontare questa condizione, ma da dentro penso siano molto più simili di quanto sembri”, ha spiegato l’attrice.
Berlinale 73 | Brandon Cronenberg:“Un prossimo film tratto da Ballard”
Il film è in parte ispirato, per ammissione dello stesso regista, al romanzo di Super-Cannes di J. G. Ballard, pur non trattandosi di una vera e propria trasposizione fedele o ufficiale. “Adoro Ballard e in passato ho pensato spesso di adattare il suo libro per il cinema, ancora prima di realizzare Infinity Pool.
Quindi sicuramente c’è un po’ di questa influenza nel film. Non è la stessa cosa, ma sicuramente il mood è quello. Siamo attualmente in fase di trattativa con chi detiene i diritti di Super-Cannes per riuscire a realizzare un adattamento cinematografico nel prossimo futuro. Mi piacerebbe molto farlo”, ha annunciato il regista.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
Di Infinity Pool si è parlato, e si continuerà a parlare, specialmente per le sue scene più esplicite e disturbanti. “Non trovo particolarmente utile avere degli intimacy coordinators (figure che garantiscono il benessere di attori e attrici che partecipano a scene di sesso o ad altre scene intime in un film) sul set”, ha dichiarato Mia Goth.
“E probabilmente questo è dovuto al fatto che ho sempre lavorato con registi fantastici: sensibili, gentili e professionali. Come appunto Brandon Cronenberg. Spesso è meglio girare la scena senza perdere troppo tempo a discutere di cosa si può o non si può fare. È una situazione che crea più imbarazzo che altro. Se c’è fiducia tra gli attori e con il regista, basta quello”.
Cronenberg ha poi scherzato sulle notizie apparse sui giornali relative a degli spettatori, nelle diverse presentazioni del film in giro per il mondo, che hanno abbandonato la sala dopo essersi sentiti male davanti alle scene più disturbanti: “In realtà, poche persone hanno lasciato la sala durante queste proiezioni. Devo dire che siamo un po’ delusi. Forse non abbiamo fatto un buon lavoro. Quando abbiamo mostrato il film ai nostri amici, pochissimi hanno riso davanti all’umorismo molto perverso della storia. E pensavamo di essere spacciati. Invece il pubblico sembra averlo compreso”.
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