Passaggio particolarmente interessante in Valentino’s Ghost è quello in cui, attraverso un accurato montaggio, Singh spiega come la lobby israeliana sia riuscita ad influenzare la concezione statunitense del musulmano. Da lì il discorso si sposta sull’attuale ruolo di Israele in Palestina, che vede i musulmani relegati a vivere in scrase porzioni territoriali. Singh, con l’aiuto di cartine interattive, fa notare come dal 1948, anno d’istituzione dello stato di Israele, passando per il 1967 e per il 1973, questo si sia espanso sul territorio Palestinese in violazione degli obblighi internazionali. Particolare attenzione viene dedicata alla figura del terrorista musulmano: Singh propone, per mezzo delle interviste presenti nel documentario, la tesi secondo cui non tutti gli arabi devono essere considerati terroristi per il solo fatto di essere musulmani. Molti atti terroristici messi in atto dai musulmani, seppure non condivisibili, secondo Singh traggono origine dagli atti di forza perpetrati da Israele contro la popolazione palestinese. Singh inoltre riesce a mettere molto bene come sia labile il discrimine fra la figura del terrorista e quella di chi resiste per la difesa dell’integrità del proprio territorio e dell’unità della propria popolazione, ed in questo senso mostra le immagini di ex terroristi israeliani poi dievenuti ministri.
Nei novantacinque minuti di documentario Singh affida il sostegno delle sue tesi a personaggi come: Gore Vidal, uno dei maggiori scrittori ed osservatori della società americana, recentemente scomparso, Melani McAlister professore associato alla George Washington University, John J. Mearsheimer professore dell’Università di Chicago e scrittore dell’innovativo saggio Israel Lobby, Robert Fisk corrispondente del britannico The Independent da Beirut di fama internazionale ed Anthony Shadid considerato il miglior giornalista della sua generazione sul Medio Oriente.