“Non posso insegnarvi come si fa un film. Fare un film è un’esperienza”. E per Nicholas Ray l’esperienza è tutto. Raccontare la vita è il vero scopo del suo cinema. Il corso diventa il film. We can’t go home again non è soltanto il racconto dell’esperienza che ha vissuto con i suoi studenti, ma un opera riesce a cogliere il senso di una generazione, anagraficamente distante da lui ma molto affine nello spirito. In un periodo di contestazione in cui la ribellione nei confronti del passato era radicale e necessaria, Nick si dimostra il giusto interprete dei tempi. Parallelamente è presente alla Mostra anche il documentario della moglie, Susan Ray, Don’t Expect Too Much, che racconta la genesi del film stesso, aggiungendo così una dimensione ulteriore a raccontare l’esperienza del ’73. Col documentario di Suasn Ray scopriamo le difficoltà produttive che incontrò il progetto, l’impatto che ebbe sulle persone che parteciparono, ma soprattutto il cineasta. Ne emerge un ritratto di Nicholas Ray inedito, un ribelle fuori dal tempo, il capitano di una ciurma sempre pronto all’arrembaggio. Una pellicola sulla ricerca di se stessi, e della propria identità. Una ricerca fatta da Ray e dai propri studenti, insieme, in un continuo confronto generazionale. Un film con una tale aderenza alla realtà da non trovare una conclusione, rimane aperto, inevitabilmente incompleto.