Ricalcando la strategia commerciale che da anni applica alla produzione dei propri comics, la Marvel Studios, ormai più che affermata da circa un decennio come realtà cinematografica, continua a sfornare, con evidente successo, film sui propri supereroi, serie parallele, reboot, e spin-off, proprio come ha fatto in passato su carta patinata. In questi giorni, esce nelle sale Wolverine l’Immortale, seconda avventura solitaria di uno dei protagonisti più amati della saga di X-men, a distanza di qualche anno dal terzo capitolo e dal primo Wolverine Le origini, che raccontava la nascita del supereroe e gli anni precedenti all’incontro con la squadra di Xavier. Questa volta però la storia inizia da qualche tempo dopo i fatti raccontati in X-men III. Una sorta di quarto capitolo, che vede Logan, sempre interpretato (come fare altrimenti) da Hugh Jackman, questa volta ancora più in forma e ancora meno vestito, per la gioia del pubblico femminile, rifugiarsi nuovamente in un isolamento da eremita per sfuggire dai fantasmi del passato e in qualche modo a se stesso. Ma è proprio il suo passato più remoto a richiamarlo alla sua natura di soldato, di supereroe, e a risvegliare il suo istinto mutante. Un vecchio soldato giapponese, discendente da una stirpe di samurai, che aveva salvato dall’esplosione della bomba atomica a Nagasaki, adesso capo di una grande compagnia industriale, è in punto di morte e ha espresso il desiderio di rivedere chi lo salvò dalla morte per salutarlo. Ma dietro questa richiesta si cela altro, e Logan si ritroverà a dover difendere la nipote del vecchio soldato dalla yakuza.
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