Berlinale 71: Natural Light, la recensione del film premiato per la regia

Pellicola che ha debuttato il 2 marzo 2021 in World Premiere alla Berlinale 71, Natural Light è diretto da Dénes Nagy. Durata 103 minuti. Una produzione realizzata con la collaborazione di Ungheria, Francia, Germania e Lettonia, che ha vinto l’Orso d’Argento per la Miglior Regia.

Natural Light: sinossi

Il caporale István Semetka, prima semplice contadino ungherese, si trova in una situazione più grande di lui e contro la sua volontà. Facente parte di un’unità speciale il cui scopo è cacciare partigiani nell’Unione Sovietica ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, dovrà fare i conti con il susseguirsi degli eventi, in una morsa che procede per inerzia, tra paure ed impotenza.

Natural Light: recensione

Un war movie che basa la sua funzione primaria non tanto nello scontro, quanto nell’elaborazione personale di un semplice uomo. Il regista ungherese vince meritatamente l’Orso d’Argento proprio per la sua precisa e maniacale direzione. Scenografie accurate, location immersive ed un’attenzione alla ricostruzione storica con l’ausilio esemplare di costumi d’epoca, collaborano all’unisono per dipanare una vicenda che si imprime negli occhi dello spettatore principalmente per goduria visiva. Tecnicamente grandioso, forte di un’estetica calamitica, vive di luci naturali proprio come il titolo suggerisce.

natural light film recensione

Quasi unicamente girato senza l’aiuto di artificiosità, fa della fotografia un enorme punto di forza, spesso sono i focolai, gli incendi, il fuoco stesso l’unica fonte di luce ed è inutile sottolineare la magia che si crea nell’infrangersi sui volti e su ogni superficie, rispecchiando colori impossibili da replicare in modo costruito. Perfetto nel creare un’atmosfera quasi disturbante nella sua sensazionale bellezza, disegna ambientazioni naturali, panoramiche, albe, tramonti che sono quasi un vero e proprio personaggio.

In tutto questo troviamo un dramma, fatto di paure, del superamento di esse e talvolta di immagini qua e là inquietanti, utili a rafforzare ciò che già è potente di suo. Silenzi, sospiri, l’ampio spazio ceduto agli sguardi e ai primissimi piani, che identificano una struttura quasi in sottrazione, in cui la narrazione risulta una rincorsa a vivere il film invece che osservarlo.

Il sonoro in generale è bilanciato accuratamente ed accompagna questi volti consumati, stanchi, sporchi, privati di qualcosa in un percorso visivo cupo e desaturato, in cui la tavolozza sembra avere solo tonalità verdastre, giallognole e marroni. Sbalorditivo dunque principalmente a livello tecnico e per l’essenza che trasmette grazie alla maestria scrupolosa, nel catturare lo spettatore senza alcuna riserva, inutile dire che sul grande schermo ovviamente sarebbe stato superlativo.