Scomparso poche settimane fa, colpendo al cuore un popolo intero e lasciando vivamente commossi centinaia di migliaia di estimatori sparsi per tutto il mondo, in particolar modo, paradossalmente, nella detestata America del Nord, il comandante Hugo Chavez viene ricordato attraverso le immagini del documentario diretto e curato, assieme a Tariq Ali, dal regista statunitense Oliver Stone.
Libero da ogni pregiudizio, avido di spiegazioni, spesso non conformi a quelle ufficiali, ed animato da una fortissima passione civile il regista ha fatto ormai della forma documentario, un complemento della sua carriera, portando sul grande schermo una ricostruzione della realtà, che pur nella difformità dei suoi spunti, si racconta sempre con estrema libertà e coerenza. Ecco dunque che Chavez viene raccontato dal regista seguendo un doppio binario; all’immagine demonizzata proposta dai media, prevalentemente americani, accompagnata da un’acuta ricostruzione storico-politica del Venezuela e dell’America Latina tutta, Stone inframezza una serie di spontanee, amichevoli ed intense interazioni dirette con il comandante venezuelano. Se agli occhi del mondo Chavez appare come un dittatore nemico degli Stati Uniti e con lui Lula, il presidente del Brasile, Evo Morales della Bolivia e anche l’argentina Cristina Fernàndez de Kirchner, a quelli Stone e della sua troupe egli appare come un uomo estremamente amato dal suo paese, chiaramente cosciente delle complessità economiche sociali che attanagliano il suo popolo e con sorprendente animo solare ed accogliente.
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