FEFF 14: Intervista all’attrice Renbutsu Misako

Al Far East Festival di Udine tra i vari ospiti, è arrivata direttamente dal Giappone la giovane attrice Renbutsu Misako, vista ultimamente nell’horror The Shock Labyrinth:Extreme 3D di Takashi Shimizu. Classe 1991, ha debuttato al cinema nel 2007 con The Inugami Clan per poi rivestire ruoli relativamente importanti in The Battery e Switching – Goodbye me, ma anche il mondo delle serie tv giapponesi, dette Drama, la conosce molto bene (TBS Garasu no ciba).  A Udine per presentare il suo ultimo film come protagonista, River, Renbutsu Misako ha raccolto moli applausi e affetto dal pubblico internazionale presente al festival e il giorno dopo ci ha raccontato la sua esperienza.

Come ti sei trovata al Far East Film Festival di Udine?

Questa di Udine è stata la mia prima esperienza all’estero. In Giappone quando è stato presentato il film c’è stata molta meno partecipazione da parte del pubblico, mentre qui in Italia ho visto e percepito molto calore da parte del pubblico italiano; in tanti mi hanno chiesto una foto o un autografo. E’ stato bello.

Renbutsu tu sei giovanissima, hai appena 21 anni, come ti senti in questo ruolo da protagonista del cinema giapponese e come riesci a combinare i tuoi impegni cinematografici con quelli più semplici di una giovane ragazza della tua età?

Sicuramente non mi sento una star, né tanto meno ho mai pensato di esserlo; sono una ragazza come tutte le altre, vado all’università, condivido il poco tempo che ho tra un impegno e l’altro, con le mie amiche e colleghe.

River porta sul grande schermo due drammi ancora vivi nel cuore del popolo giapponese come ti sei sentita a recitare in un film così importante? Hai avuto qualche difficoltà?

Dopo il disastro di Fukushima il cinema giapponese si è profondamente interrogato su come, quando e se fosse giusto o meno affrontare un argomento così importante per la memoria del nostro paese. Quando abbiamo iniziato a girare, a sole due settimane dal disastro, io stessa ho avuto moltissime perplessità, ma d’altronde il mio personaggio ha uno sviluppo molto lento, si muove come un fantasma per quei luoghi e soltanto alla fine riesce a ritrovare un briciolo di tranquillità. Non ci sono forzature allo spettatore ma tutto è graduale. Mi chiedevo se fosse giusto o meno fare questo film ma alla fine ho capito come approcciare al progetto.

Come ti sei trovata a lavorare con il regista Ryuichi Hiroki ?

Era la prima volta che lavoravo con Hiroki e durante le riprese lui non mi dava assolutamente alcun consiglio, alcun tipo di indicazione ma facevamo molte prove. Lui si metteva in un angolo e mi guardava a distanza come un insegnante delle scuole, e se qualcosa non andava bene, si interrompeva tutto e si riprendeva il ciclo. Comunque queste cose le dico non in termini negativi perché comunque il lavoro è stato molto bello.

Ti piacerebbe lavorare in un altro paese o rimani fedele al Giappone?

No, mi piacerebbe molto lavorare all’estero. Questa è la mia prima esperienza all’estero e stavo pensando proprio in questo momento che se ci fosse l’opportunità, mi farebbe molto piacere lavorare in un altro paese. Tuttavia al momento non so parlare inglese e quindi devo provvedere a questo. Mi sono accorta di questo limite proprio ieri sera durante il saluto ai fan.

Nella tua brevissima, ma florida carriera ti sei trovata ad avere diversi ruoli nel cinema e nei dorama (serie tv giapponesi) , pensi che continuerai nel tuo futuro a lavorare in entrambi i settori?

Il cinema è la mia casa, è qui che ho iniziato il mio percorso, ma non c’è un confine netto tra queste due esperienze; quando mi trovo a lavorare su di un personaggio mi immergo completamente in questo e non vedo grandi differenze, certo quando si tratta di girare un dorama in una giornata possono essere girate anche dieci scene, per un film soltanto due, ma non ci sono altre differenze. Sicuramente mi piacerebbe continuare a lavorare in entrambi settori.

I format televisivi americani che hanno da poco raggiunto anche il tuo paese hanno influenzato il modo di scrivere e pensare i serial giapponesi?

Indubbiamente sì, conosco moltissimi dei miei colleghi e amici che seguono con passione le serie tv americane, 24 ore per esempio, e per noi è stato importante conoscere il loro modo di pensarle. Vedi, in Giappone c’è grande difficoltà nel creare episodi che sappiano lasciare i telespettatori con il fiato sospeso, in questo l’America ci ha aiutato tanto.

Renbutsu, un’ ultima domanda leggera per chiudere. Tra sushi e spaghetti?

Sicuramente gli spaghetti! Sto mangiando soltanto quelli in questi giorni! :)