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Festival di Roma: Carlo!, la conferenza stampa

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Questa mattina gli autori di Carlo!, Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni, hanno presentato il documentario insieme al suo protagonista, Carlo Verdone, al produttore Marco Belardi e a Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema. Carlo!, presentato fuori concorso nella categoria Prospettive Italia del del 7.RFF, è un documentario sincero e divertente, mette a nudo aspetti importanti della vita del riservatissimo Verdone, con rispetto e senza sforzi celebrativi.

Credi che nella tua carriera sia intervenuta una fortuna particolare?

Carlo Verdone:”Nella vita accadono spesso avvenimenti apparentemente normalissimi, sembrano cose insignificanti, ma dentro di loro c’è una piccola gemma che devi sapere cogliere al volo. Direi che la mia fortuna più grande è stata avere una famiglia come la mia, con quell’entourage. Mio padre era una persona molto severa è vero, ma anche molto ironica. I miei mi spingevano a conoscere il mio quartiere a notare i tic le particolarità che distinguevano una persona dall’altra. Ecco i miei mi hanno iniettato questa importante curiosità che mi spinge a voler conoscere. Ma se nel 1976 non fosse arrivato all’improvviso un mio amico inglese, che non parlava una parola d’Italiano, la mia vita forse non sarebbe stata così. Lo portai all’Alberichino dove si esibiva Formica, l’indimenticato mimo. Rimanemmo a cena lì e chiacchierando con un vecchio amico e i ragazzi del Patagruppo, che mi ascoltavano fare delle imitazioni, il direttore del teatro mi propose di scrivere qualche monologo, offrendomi uno spazio per 10 giorni. Fu mia madre a darmi una grossa spinta. Quello era un periodo fantastico a livello di sperimentazione. Spesso la vita si fa un po’ da sé e sembra che il destino abbia già deciso per te quali passi devi fare. Se non mi avesse notato Enzo Trapani, se Sergio Leone non avesse messo la tv su Non-Stop una sera forse non sarebbe andata così. Però esiste una fortuna che può lanciarti, ma per continuare o hai talento oppure il pubblico ti manda a casa. La mia fortuna più grande credo sia stata quella di frequentare tanta gente, di non essermi fatto sfuggire niente. Nella mia mente c’è un film continuo in cui c’è tutto quello che la mia curiosità cattura dalla vita quotidiana. Io ho imitato sempre il personaggio grigio: partendo dalla voce ho ricostruito ogni volta un tipo diverso. Quando mi hanno chiesto di fare un documentario su di me, mi ha stupito il fatto che me lo avesse chiesto Ferzetti, che con i miei film è stato sempre rigoroso. Ciò mi ha fatto riflettere. Quando ci siamo rincontrati anche con Giagni, ci siamo messi d’accordo per non fare una cosa celebrativa, ma sincera, autentica, mostrandomi per quello che sono, ossia come uno che ama la gente, che ha più di un’anima: quella malinconica, ironica ed anche quella feroce. Quando mi scontrai con Cecchi Gori, perché non voleva fare un film sulla sedia a rotelle, io lottai contro il produttore per girare Perdiamoci di vista. Se non ci fossero stati i film minori, non ci sarebbero stati quelli belli. Ecco io ho cercato sempre di lavorare con onestà ed entusiasmo. Ho sempre pensato anche al pubblico oltre a quello che voglio fare io, perché io faccio commedia e non ci trovo niente di male.”

Quali sono i tic e i caratteri di oggi che stimolano la tua fantasia?

C.Verdone:”Oggi sono tutti uguali, la caratteristica ce la dice il tatuaggio, non c’è più nulla da scoprire. Hanno tutti il taglio di capelli uguale, basta vedere il calcio. Sembra quasi che si mandino un segnale di virilità. Bisogna individuarli singolarmente, penetrarli e scovare qualcosa di curioso, ma noto che c’è tanta omologazione. Noto patologie uguali che prendono aspetti diversi. Oggi ci sono patologie come la mitomania, ma ci ha già scavalcato la politica nella sua rappresentazione. L’incursione della politica nella commedia all’italiana è deprimente e ha messo in crisi i comici, perché non sappiamo più che raccontare della politica. Sento il bisogno non più di raccontare il tipo, ma il tema: le relazioni familiari, sentimentali, questa società liquida di consumatori politici, come dice Baumann. Lascio ad altri, più freschi e giovani di me, l’abilità nel saper trovare quello che ho trovato io tanti anni fa. Qualcosa di interessante lo ritrovo nei vecchi trasteverini che hanno ancora una poesia da comunicarti. Ci sono personaggi della mia età che sono abbastanza ridicoli. Nel mio ultimo film ho dato a Giallini la parte che avrei potuto fare 10 anni fa, mentre io mi sono messo sulla retroguardia.”

G.Giagni:”Il rischio è sempre quello della celebrazione. Grazie alla generosità di Carlo, siamo riusciti ad inserire voci discordanti, come quella di Goffredo Fofi o quella di Pasquale Plastino. Questo ha fatto sì che venissero fuori degli importanti chiaroscuri. Era fondamentale anche tirare fuori il lato nascosto di Carlo, che però è molto riservato. Nonostante ciò ci ha messo a disposizione dei suoi filmati inediti, famigliari. Ci ha messo a disposizione 40 minuti di filmato all’interno della sua vecchia casa famigliare, dove si è messo veramente a nudo. Ha tirato fuori un lato molto nascosto di sé. Questo è un documentario per un pubblico molto vasto, infarcito di gag, ma quello che più mi piace è stato mettere a nudo lati personali di Carlo. Ecco mi è piaciuto raccontare le anime di Carlo: quella che ama Jimi Hendrix, i Led Zeppelin e quella coatta.”

F. Ferzetti:”E’ vero che sono stato severo con Carlo, è una deformazione personale, ti soffermi sulla regia spesso. Carlo però sa che mi erano piaciuti molto i suoi ultimi film. Ad esempio ha avuto molto coraggio ad usare una certa ferocia, in Grande,Grosso e Verdone, che invece nella commedia italiana si ha una certa ritrosia ad accettare. Questo mi ha dato lo spunto per iniziare a scavare. Abbiamo capito che Carlo non ha solo gli elementi per fare i film comici per il grande pubblico, ma anche qualcosa d’altro dentro per realizzarli. E’ stato essenziale fare un film accanto a Carlo, abbiamo abbandonato tutti i nostri strumenti critici per capire tutto il lavorio che c’è prima, durante e dopo un film di Verdone.”

Quali saranno le prossime occasioni per il pubblico per vedere questo documentario?

Marco Belardi: uscirà in home video il prossimo mese o con Warner o Medusa, poi sarà in onda sui canali Rai.

 

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Berlinale 73: Inside, la recensione | Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

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Inside film recensione

La recensione di Inside – Foto: Newscinema.it

Presentato al 73° Festival di Berlino, Inside conta 105’ di durata e fa parte della sezione Panorama.

Regia e soggetto sono a cura di Vasilis Katsoupis mentre la sceneggiatura di Inside è firmata da Ben Hopkins. Il protagonista assoluto di questo thriller dalle sfumature comedy-drama è Willem Dafoe e verrà distribuito nelle sale statunitensi il 10 marzo 2023, attendiamo la conferma italiana.

La trama di Inside

Il ladro d’arte Nemo rimane intrappolato in un attico a Times Square durante un furto che finisce male. Con il passare dei giorni il suo stato mentale comincia a peggiorare e dovendo combattere con la fame e la sete, dovrà escogitare un piano per trovare una via di fuga, per restare lucido e per adattarsi alle disagianti condizioni, ormai inevitabili.

Il one man show di Willem Dafoe

Ci sono film che abbracciano il proprio protagonista cucendogli addosso un ruolo perfetto e imbastendo intorno a lui un ambiente congeniale che punta al risultato sperato. Mai come in questo caso la definizione può essere più appropriata, questo film è Willem Dafoe.

Un uomo imprigionato senza via di fuga che dopo averle provate tutte inizia a testare i propri limiti, finendo per immaginare soluzioni e fantasticare tra folli visioni. Il ladro lo sappiamo, è una figura negativa che solitamente dovremmo identificare come antagonista ma che qui trova un risvolto opposto.

Nemo è un uomo che non avverti mai come ostile, ti trovi ad empatizzare totalmente con lui e quasi ti dimentichi che si meriti di essere imprigionato lì e magari anche scoperto, in quanto giunto in quella situazione per qualcosa che sostanzialmente non andava fatto.

Willem Dafoe Inside

Willem Dafoe in Inside – Foto: Berlinale 73

Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

Freddo glaciale o caldo torrido, mancanza di una fonte d’acqua, istinto di sopravvivenza e di adattamento, di certo quello che a prima vista pare essere un attico pieno di comfort, diventa in un attimo un ambiente avverso dove la tecnologia, da cui ormai dipendiamo, da utile si fa nemica.

Questa interessantissima opera filmica è capace di diversificare la propria direzione, partendo da qualcosa di inizialmente molto concreto e arrivando a compiere un viaggio più concettuale. Già capace di affascinare al suo primo lungometraggio dunque, il regista greco pare avere le idee ben chiare sulla direzione verso cui portare il proprio cinema.

Un po’ come il connazionale Yorgos Lanthimos, percorre una strada che parte dal realismo e finisce nella criptica isola del sottotesto ermetico, quello in cui è necessario un lavoro mentale da parte dello spettatore per essere elaborato al meglio.

Inno all’arte

L’arte e la sua realizzazione, l’inventiva, la ricerca di soluzioni che stimolano la creatività sfociando in qualcosa di ricercato, di contemporaneo, di artisticamente riflessivo. Muffa, sudore, rabbia, rassegnazione, tanti sono gli elementi simbolici o le sensazioni percepite, che portano ad un unica domanda: fin dove si può spingere un uomo?

Un essere umano in trappola, messo a dura prova dalla situazione che involontariamente si trova a vivere, sopraffatto dal proprio istinto, troverà il modo di far pace con sé stesso e con l’ambiente circostante in un equilibrio quasi spirituale. Molto silenzioso Dafoe gioca con sé stesso, recita per sottrazione, talvolta interagendo soltanto con la mimica facciale, altre con gli oggetti presenti in scena o qua e là parlando un divertente italiano.

Inside film 2023

Inside film – Foto: Newscinema.it

Non mancano infatti passaggi simpatici, dalla Macarena agli easter egg brillanti disseminati in ogni dove, che grazie ad un ottimo lavoro di montaggio esaltano ancor di più il ritmo e il talento dell’attore, chiamato a reggere sulle proprie spalle l’intero lungometraggio.

In conclusione ci troviamo immersi in un mondo nascosto tra condizioni critiche poco rassicuranti e ostacoli decisamente ingombranti, che pulsa però quasi inconsapevolmente di innata genialità artistica e si fa metafora di quello che Nemo sta pian piano realizzando, come fosse un inception di strutture a matrioska. Un inno all’arte dunque, alle menti creative e al prepotente ma essenziale concetto “Non c’è creazione senza distruzione”.

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Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name

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Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name
3.6 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora
Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Suzume, il nuovo film d’animazione del regista di Your Name si rivela un’opera avvincente, intrigante e sorprendente, presentata in concorso alla 73esima edizione della Berlinale.

È stato presentato a Berlino il nuovo film d’animazione del regista giapponese Makoto Shinkai, che nel 2016, con Your Name, aveva commosso milioni di spettatori in tutto il mondo, fino a guadagnarsi la stima che si riserva ai nuovi maestri e, in alcuni casi, persino lusinghieri paragoni con Hayao Miyazaki.

Il suo nuovo Suzume è un’opera avvincente, intrigante, sconcertante: un film catastrofico sci-fi spettacolare che si fa saggio sulla natura e la politica, attraversato da elementi comici folli e stravaganti che in alcuni momenti ne deviano la narrazione e ne cambiano drasticamente il tono.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Già in Your Name, il regista aveva inventato un disastro – un enorme impatto meteorico – quasi sicuramente ispirato al terremoto del Tōhoku del 2011. Con Suzume, adesso, fa esplicito riferimento alle scosse e allo tsunami del 3/11 nel prologo del film, quando la protagonista si ritrova in quella che sembra ESSERE una dimensione parallela in cui regna una devastazione surreale, con case ridotte in macerie e barche spettrali incagliate dopo misteriosi naufragi.

Il resto del film si svolge circa un decennio dopo, a partire da Kyushu (purtroppo, isola che è stata colpita da un terremoto di magnitudo 5,6 appena sei settimane prima dell’uscita del film, dando ulteriore rilevanza e attualità al suo messaggio). Una mattina, in sella alla sua bicicletta, Suzume incrocia un bel giovane che cammina nella direzione opposta, e con uno stratagemma visivo preso in prestito dal cinema live action, il tempo rallenta e la regia cattura la scintilla che scatta romantica tra loro.

Lo straniero si chiama Souta Manakata e si presenta a Suzume come un “Closer”, ovvero qualcuno incaricato di chiudere una serie di portali mistici per evitare che gigantesche creatura fuggano attraverso essi e continuino a causare disastri in tutto il Paese (vermi in computer grafica che rivelano la loro pericolosità e la loro alterità anche come corpi estranei rispetto al gentile tratto bidimensionale del film). Souta, però, all’inizio del viaggio si trasforma in una sedia per bambini a tre gambe: un’idea stravagante per un compagno di viaggio che si rivela però sorprendentemente efficace.

Il film, infatti, riesce a rendere Souta molto più espressivo nella sua semplice forma geometrica di sedia rispetto a quando, da ragazzo in carne ed ossa, non può che essere il generico oggetto d’amore della protagonista. E anche in questo rifiuto di un sentimentalismo molto vecchio e abusato sta la modernità del film di Shinkai, che stavolta decide di dare un tocco contemporaneo e giovanile al suo film collaborando nuovamente con la rock band Radwimps, affiancata qui dalla strumentazione del compositore Kazuma Jinnouchi, e incorporando nella narrazione la tecnologia moderna e l’utilizzo dei social network. Lo stesso design del gatto Daijin quasi certamente ricorderà ai fan più giovani quello cattivo dello show Puella Magi Madoka Magica.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Strutturato come un road movie, Suzume invita il pubblico ad un tour del Giappone, sorvolando sui punti di riferimento familiari, come il Monte Fuji, e concentrandosi invece sui luoghi che rappresentano il patrimonio in via di estinzione del Paese del Sol Levante. Ma è la direzione dell’animazione di Kenichi Tsuchiya, che si impone con i suoi dettagli sbalorditivi, che rendono Suzume un oggetto di misteriosa bellezza nei suoi cieli notturni e negli skyline pittorici delle diverse città. La protagonista entra in connessione con il pubblico come un’adolescente in movimento e in subbuglio, comandando il percorso emotivo della narrazione.

“Il peso dei sentimenti delle persone è ciò che soffoca la Terra”, dice Souta nel film: ed è questo il manifesto di Shinkai su come la vita interiore e la topografia giapponese siano strettamente dipendenti l’una dall’altra. E proprio come nel film The Garden of Words, in cui aveva già spiegato la sua tesi emotiva attraverso la poesia Man’yōshū, Suzume è uno sforzo che cerca di restituire la complessità di un mondo interiore con umorismo e pathos, legandolo alle sorti della Terra, del mondo che sta fuori.

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Berlinale 73 | Infinity Pool, Mia Goth: “Non mi sottraggo mai davanti a questo tipo di film”

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Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Mia Goth e Alexander Skarsgard hanno rivelato di essersi divertiti molto a realizzare Infinity Pool, il thriller “provocatorio” e “viscerale” del regista canadese Brandon Cronenberg, presentato in anteprima europea alla 73esima Berlinale.

È stato presentato in anteprima europea alla 73esima edizione della Berlinale l’atteso Infinity Pool, nuovo controverso thriller diretto da Brandon Cronenberg. Il regista ne ha parlato insieme ai protagonisti Mia Goth e Alexander Skarsgard in una conferenza stampa con i giornalisti, approfondendo le tematiche del film e affrontando le controversie legate ad esso.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

L’attrice britannica, oggi famosa specialmente per essere protagonista e co-creatrice della trilogia horror di Ti West cominciata con X – A Sexy Horror Story, ha detto di aver apprezzato molto l’aspetto “provocatorio” del suo personaggio. “Non mi sottraggo mai a questo tipo di materiale e a questo tipo di film”, ha detto ai giornalisti.

“Trovo che all’interno di questo tipo di storie ci siano personaggi davvero impegnativi che mi permettono di esplorare sfaccettature di me stessa che non mi sento molto a mio agio a rivelare al di fuori di un set. Gabi è un personaggio molto vario e dinamico. All’inizio è una donna piuttosto dolce e senza pretese e alla fine del film la vediamo invece completamente selvaggia e scardinata, solo primordiale”, ha spiegato Goth.

Il personaggio di Skarsgard, invece, è uno scrittore in difficoltà, burattino di un gioco perverso e pericoloso. “Si capisce già nel suo primo incontro con Gabi che non gli ci vuole molto per seguirla come un cane affamato”, ha affermato l’attore. “È stato abbastanza divertente giocarci con quanto fosse credulone e quanto fosse facile manipolarlo. Volevo uscire dalla mia testa… buttarmi lì dentro, in questo mondo, e vedere cosa sarebbe successo. È un film così viscerale, in cui succedono tante cose”.

I due personaggi, però, sono uno lo specchio dell’altro, come suggerito da Goth. “Penso che Gabi possa ritrovare molto di se stessa in James. Ed è anche per via di questo riconoscimento che le è così facile rivoltarlo come un calzino. Perché hanno lo stesso background culturale, lo stesso status sociale e, cosa più importante, hanno entrambi una vita di insuccessi e di fallimenti. Hanno modi diversi di affrontare questa condizione, ma da dentro penso siano molto più simili di quanto sembri”, ha spiegato l’attrice.

Berlinale 73 | Brandon Cronenberg:“Un prossimo film tratto da Ballard”

Il film è in parte ispirato, per ammissione dello stesso regista, al romanzo di Super-Cannes di J. G. Ballard, pur non trattandosi di una vera e propria trasposizione fedele o ufficiale. “Adoro Ballard e in passato ho pensato spesso di adattare il suo libro per il cinema, ancora prima di realizzare Infinity Pool.

Quindi sicuramente c’è un po’ di questa influenza nel film. Non è la stessa cosa, ma sicuramente il mood è quello. Siamo attualmente in fase di trattativa con chi detiene i diritti di Super-Cannes per riuscire a realizzare un adattamento cinematografico nel prossimo futuro. Mi piacerebbe molto farlo”, ha annunciato il regista.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Di Infinity Pool si è parlato, e si continuerà a parlare, specialmente per le sue scene più esplicite e disturbanti. “Non trovo particolarmente utile avere degli intimacy coordinators (figure che garantiscono il benessere di attori e attrici che partecipano a scene di sesso o ad altre scene intime in un film) sul set”, ha dichiarato Mia Goth.

“E probabilmente questo è dovuto al fatto che ho sempre lavorato con registi fantastici: sensibili, gentili e professionali. Come appunto Brandon Cronenberg. Spesso è meglio girare la scena senza perdere troppo tempo a discutere di cosa si può o non si può fare. È una situazione che crea più imbarazzo che altro. Se c’è fiducia tra gli attori e con il regista, basta quello”.

Cronenberg ha poi scherzato sulle notizie apparse sui giornali relative a degli spettatori, nelle diverse presentazioni del film in giro per il mondo, che hanno abbandonato la sala dopo essersi sentiti male davanti alle scene più disturbanti: “In realtà, poche persone hanno lasciato la sala durante queste proiezioni. Devo dire che siamo un po’ delusi. Forse non abbiamo fatto un buon lavoro. Quando abbiamo mostrato il film ai nostri amici, pochissimi hanno riso davanti all’umorismo molto perverso della storia. E pensavamo di essere spacciati. Invece il pubblico sembra averlo compreso”.

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