Festival
Giornate Cinema Sorrento 2014: consegnati i biglietti d’oro

Sono quindici le sale cinematografiche vincitrici del Biglietto d’Oro del cinema italiano riservato all’esercizio. I premi vengono consegnati oggi, 3 dicembre, nell’ambito della 37° edizione delle Giornate Professionali di Cinema che si concludono domani a Sorrento. I Biglietti d’Oro del cinema italiano vengono assegnati dall’ANEC, associazione esercenti cinema, alle sale monitorate da Cinetel che hanno conseguito il maggior numero di spettatori nella stagione cinematografica 2013-2014, con riferimento al periodo 1 dicembre 2013 – 30 novembre 2014.
Per i multiplex con 15 o più schermi vince il premio The Space Roma Parco De’ Medici di Roma, per i multiplex da 8 a 14 schermi vince Uci Cinemas Porta di Roma di Roma. Si aggiudica invece il premio come complesso con almeno 8 schermi con la media schermo più alta The Space Napoli di Napoli. Per gli altri complessi, i premi vengono attribuiti alla monosala, alla multisala da 2 a 4 schermi e alla multisala da 5 a 7 schermi, secondo le diverse fasce di popolazione delle località in cui sono ubicati. Per le monosale vengono premiati i cinema Politeama di Ivrea (località fino a 50 mila abitanti), Odeon diVicenza (da 50 a 200 mila), Alcione di Verona (da 200 a 500 mila), Nuovo Sacher di Roma (oltre 500 mila).
Per le multisala da 2 a 4 schermi ricevono il premio il Movieland di Fabriano (località fino a 50 mila abitanti), Odeon di Pisa (da 50 a 200 mila), Capitol di Bologna (da 200 a 500 mila), Anteo SpazioCinema di Milano (oltre 500 mila). A vincere il premio per le strutture da 5 a 7 schermi sono la Multisala Metropolis di Bassano Del Grappa(località fino a 50 mila abitanti), SpazioCinema Cremona Po di Cremona (da 50 a 200 mila), The Space Trieste di Trieste (da 200 a 500 mila), Uci Cinemas Palermo di Palermo (oltre 500 mila).
Il programma di domani, 4 dicembre, prevede la proiezione di numerosi trailer, le convention Medusa Film e Warner Bros e le anteprime, tutte aperte al pubblico e proiettate al Teatro Tasso, dei film Con tutto l’amore che ho di Angelo Antonucci, alla presenza del regista e dei protagonisti del film Barbara De Rossi, Cristel Carrisi, Fabio Ferrante, Vincenzo Soriano, ore 16, La dolce arte di esistere di Pietro Reggiani alla presenza del regista e dei protagonisti del film Francesca Golia, Anna Ferraioli, Pietro Bontempo, ore 18,30 e Pride di Matthew Warchus (proiettato in versione originale sottotitolata, ore 21,30), film ispirato a un fatto reale ed ambientato durante lo storico sciopero dei minatori inglesi del 1984. Prevista inoltre l’anteprima per le scuole, a cura di Agiscuola, del film Corri ragazzo corri di Pepe Danquart, tratto dal bestseller dello scrittore Uri Orlev. I biglietti per assistere alle anteprime aperte al pubblico sono disponibili, fino ad esaurimento, presso l’Info Point di Piazza Tasso e il Teatro Tasso.
Berlinale
Berlinale 71: Natural Light, la recensione del film premiato per la regia

Pellicola che ha debuttato il 2 marzo 2021 in World Premiere alla Berlinale 71, Natural Light è diretto da Dénes Nagy. Durata 103 minuti. Una produzione realizzata con la collaborazione di Ungheria, Francia, Germania e Lettonia, che ha vinto l’Orso d’Argento per la Miglior Regia.
Natural Light: sinossi
Il caporale István Semetka, prima semplice contadino ungherese, si trova in una situazione più grande di lui e contro la sua volontà. Facente parte di un’unità speciale il cui scopo è cacciare partigiani nell’Unione Sovietica ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, dovrà fare i conti con il susseguirsi degli eventi, in una morsa che procede per inerzia, tra paure ed impotenza.
Natural Light: recensione
Un war movie che basa la sua funzione primaria non tanto nello scontro, quanto nell’elaborazione personale di un semplice uomo. Il regista ungherese vince meritatamente l’Orso d’Argento proprio per la sua precisa e maniacale direzione. Scenografie accurate, location immersive ed un’attenzione alla ricostruzione storica con l’ausilio esemplare di costumi d’epoca, collaborano all’unisono per dipanare una vicenda che si imprime negli occhi dello spettatore principalmente per goduria visiva. Tecnicamente grandioso, forte di un’estetica calamitica, vive di luci naturali proprio come il titolo suggerisce.

Quasi unicamente girato senza l’aiuto di artificiosità, fa della fotografia un enorme punto di forza, spesso sono i focolai, gli incendi, il fuoco stesso l’unica fonte di luce ed è inutile sottolineare la magia che si crea nell’infrangersi sui volti e su ogni superficie, rispecchiando colori impossibili da replicare in modo costruito. Perfetto nel creare un’atmosfera quasi disturbante nella sua sensazionale bellezza, disegna ambientazioni naturali, panoramiche, albe, tramonti che sono quasi un vero e proprio personaggio.
In tutto questo troviamo un dramma, fatto di paure, del superamento di esse e talvolta di immagini qua e là inquietanti, utili a rafforzare ciò che già è potente di suo. Silenzi, sospiri, l’ampio spazio ceduto agli sguardi e ai primissimi piani, che identificano una struttura quasi in sottrazione, in cui la narrazione risulta una rincorsa a vivere il film invece che osservarlo.
Il sonoro in generale è bilanciato accuratamente ed accompagna questi volti consumati, stanchi, sporchi, privati di qualcosa in un percorso visivo cupo e desaturato, in cui la tavolozza sembra avere solo tonalità verdastre, giallognole e marroni. Sbalorditivo dunque principalmente a livello tecnico e per l’essenza che trasmette grazie alla maestria scrupolosa, nel catturare lo spettatore senza alcuna riserva, inutile dire che sul grande schermo ovviamente sarebbe stato superlativo.
Berlinale
Berlinale 71: Guzen To Sozo (Wheel of Fortune and Fantasy) la recensione

Guzen To Sozo (Wheel of Fortune and Fantasy) è stato presentato in anteprima mondiale alla Berlinale 71 il 4 marzo 2021. Diretto e scritto da Ryusuke Hamaguchi, il film giapponese della durata di 121 minuti ha vinto l’Orso d’Argento Gran Premio della Giuria.
Guzen To Sozo (Wheel of Fortune and Fantasy) Sinossi
Diviso in tre differenti archi narrativi autonomi, il film racconta personaggi femminili in diverse circostanze: il primo Magic si basa su un triangolo amoroso, il secondo Door Wide Open si incentra su una seduzione fallita ed infine il terzo, Once Again, narra di un incontro inaspettato.

Guzen To Sozo (Wheel of Fortune and Fantasy), la recensione
Interessante e ben delineato, il film di Ryusuke Hamaguchi tende a farci assaporare diversi sentimenti, dettati da personalità femminili, ma allo stesso tempo caratteristici di un’identità singola. Queste tre storie partono tutte con la stessa idea di base: raccontare il punto di vista femminile in situazioni totalmente divergenti.
Con questi presupposti però, ciò che si può notare è appunto come tre donne che non condividono alcuna circostanza e calate in contesti differenti, risultino allo stesso modo delicate e riservate nell’elaborazione del caso. Il tempo poi è ben scandito in ognuna delle vicende, è presente una parte introduttiva per poi metterci di fronte ad un doveroso sbalzo temporale ed infine riagganciarsi dopo mesi o anni, con le conseguenze che tutto ciò ha comportato.
Uno scorrere del tempo dunque per valutare gli effetti delle scelte fatte in precedenza. Compromessi, false illusioni, rimpianti, tutti aspetti che sono oltre che femminili, propri di ogni essere umano, perciò è come se il regista avesse voluto metterci davanti semplicemente alla vita stessa, a ciò che può accadere a tutti noi.

Se ci si fa caso ogni mini storia concepisce gli attimi inaspettati, ossia getta le sue fondamenta sul concetto di qualcosa che è involontario, non programmato, succede e basta. Degna di merito la scelta di voler dettare delle linee guida similari per poi ramificarsi in elaborazioni singole, si percepisce in maniera chiara l’intento e questo grazie ad una narrazione fluida e corposa.
Inquadrature spesso statiche, senza bisogno di grandi evoluzioni, riescono a farti empatizzare con i personaggi, la macchina da presa scompare quasi nella totalità del minutaggio, un grande pregio per un genere di film che fa del suo vanto l’immersione dello spettatore nel racconto. Concludendo ciò che si può trovare in questa pellicola è poesia, stupore, sensibilità e tutto questo espresso ai nostri occhi con una morbidezza che non è affatto da tutti.
Cinema
TFF 38: Fried Barry, la recensione del delirante film di Ryan Kruger

Diretto, prodotto e sceneggiato da Ryan Kruger, approda al Torino Film Festival edizione n.38, una commedia fantascientifica intitolata Fried Barry. Il Sud Africa è il paese d’origine e Gary Green il suo protagonista.
Un uomo tossicodipendente e già di suo alquanto svalvolato, almeno all’apparenza, un giorno di punto in bianco viene scelto dagli extraterrestri come cavia. L’alieno dentro di lui vuole provare dunque ogni tipo di esperienza umana e così come un’ameba l’uomo/alieno inizia a muoversi per inerzia in giro per la città, facendo ogni cosa e lasciandosi trasportare dagli eventi senza capacità di giudizio, finchè l’ospite avrà finito con questo inutile involucro.
Un film assurdo, con poca possibilità di percezione positiva. Tutta colpa o merito (dipende dal personale gradimento) di Ryan Kruger, visto il suo coinvolgimento nell’opera, avendo ricoperto i ruoli di regista, produttore e sceneggiatore. La scrittura come la messa in scena, peccano di banalità e troppo semplicismo; al nostro protagonista succedono cose davvero incredibili, ma non per spettacolarità quanto più per scadente plausibilità, come se ad ogni angolo della strada ci fosse qualcuno che aspetta proprio lui, per fare sesso o regalargli droghe o chissà cos’altro.

Situazioni impensabili, personaggi strambi e poca cura per le performance attoriali come per il realismo delle azioni che compiono, con errori riconducibili ad un principiante alle prime armi.
Una nota positiva risiede invece nella fotografia, contraddistinta da un tono quasi finto patinato, mediante un uso accurato di luci e colori, che senz’altro esaltano il film perlomeno visivamente.
Se si volesse provare a fare una sovralettura con l’intento di trovare un significato recondito e strettamente ispirato, si potrebbe parlare del corpo umano come semplice involucro, che viaggia parallelamente all’animo, all’essenza, a ciò che costituisce la coscienza e la volontà di agire.
Oltre a questo, noi umani abbiamo anche limiti dettati dalla nostra fragilità e dall’essere mortali, che gli alieni (almeno quelli di questo film) non sembrano avere. Pertanto da un lato ci si trova di fronte a limiti fisici, dall’altro ad emozioni che invece sono solo nostre, come l’amore, che per un alieno provare potrebbe voler dire godere di autenticità, un potere sconsiderato ed inaspettato agli occhi di un essere superiore.
Sicuramente il protagonista ha un impatto visivo peculiare, sottolineato da questo sguardo sempre allucinato che vanta una valenza macchiettistica, anche forte dell’aspetto fisico stesso dell’attore Gary Green. Detto questo, credo di aver voluto cercare un qualche messaggio un po’ troppo sofisticato per un prodotto delirante che si rivela essere caratterizzato da un potenziale interessante, ma realizzato davvero male, che non credo rimarrà nell’immaginario comune o meglio ci resterà saldo, ma per essere d’esempio quando ci si riferirà a prodotti di qualità infinitamente bassa.
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