Festival
Il Florence Korea Film Fest apre con il kolossal Masquerade
Apre l’11ª edizione del Florence Korea Film Fest, che si terrà a Firenze dal 15 al 24 marzo p.v. Masquerade del regista Choo Chang Min, Campione di incassi in Patria con oltre 12 milioni di biglietti venduti. Masquerade, kolossal in costume ambientato nel 17° secolo in Corea, è stato il film più visto del 2012 e il terzo della storia del cinema coreano. Alla proiezione del film, in prima assoluta in Italia, sarà presente il regista.
Sarà inoltre la star asiatica Jeon Do-Yeon l’ospite d’eccezione della undicesima edizione del Festival. All’attrice sarà dedicata, per la prima volta in Italia, una retrospettiva e sarà a Firenze per incontrare il pubblico e riceve il premio Florence Korea Film Fest. Jeon Do-Yeon, musa di grandi maestri come Lee Chang-dong, con il quale ha vinto il premio come Miglior Attrice al Festival di Cannes 2007 per il film Secret Sunshine. Jeon do Yeon ha attraversato la new wave cinematografica coreana cavalcandola e lasciando il segno. La retrospettiva, con 8 dei suoi film più significativi, presenta il suo esordio come attrice in The Contact di Jang Yoon-hyeon, in prima italiana; il drammatico Happy end, nel quale interpreta il controverso ruolo di una donna alle prese con il suo ruolo di madre e moglie; l’immaginifico My Mother The Mermaid in cui interpreta un doppio ruolo, per vederla poi in una veste romantica in My Dear Enemy. In anteprima nazionale sarà presentato Countdown e riproposto Untold Scandal in cui interpreta una bella e cinica nobildonna. L’attrice incontrerà il pubblico martedì 19 marzo alle ore 21 in occasione della proiezione di The Housemaid di Im Sang Soo. Il programma della undicesima edizione presenta 52 film di cui 32 lungometraggi (16 in anteprima nazionale) e 20 corti, per dieci giorni di proiezioni e 4 registi ospiti.
Tra le novità di quest’anno la sezione K-Eros, una retrospettiva interamente dedicata al genere erotico, un genere che ha raccontato forse meglio di tutti gli altri i profondi cambiamenti che la Corea ha attraversato negli ultimi anni. La retrospettiva, 8 film dagli anni ’80 ad oggi, ci restituisce il racconto per immagini di uomini e donne, vittime o carnefici, a cui l’erotismo ha cambiato la vita, mettendo insieme stili e visioni di un mondo al contempo reale, fantastico e fatale. Tra gli ospiti della sezione il regista Kim Dae-sun che presenterà The Concubine un film in costume che racconta la storia di una ragazza che decide di lasciarsi alle spalle gli stenti e di diventare concubina del re. Nella sezione sarà omaggiato il regista Park Chul-Soo, recentemente scomparso, con il suo ultimo film B.E.D. protagonista un uomo che ha sviluppato un legame ossessivo con il proprio letto matrimoniale. Gli altri titoli sono: Between the Knees di Lee Jang-ho in anteprima nazionale; Sweet Sex & love di Bong Man-dae, Yellow Hair di Kim Yu-min sempre in anteprima nazionale; Lies di Jang Sun-woo; Hypnotized di Kim In-shik e il film collettivo Five senses of eros dei registi Oh Ki Hawn, Hur Jin Ho, Kang Young Mo, Park Juno, Kim Jin. Tra le nuove sezioni anche K-Animation dedicata ai film d’animazione con due anteprime nazionali: The King of Pigs, film indicato per un pubblico di adulti, e per i più piccoli Padak sulla storia di uno sgombro finito nella rete dei pescatori per diventare sushi. La manifestazione mostrerà uno spaccato della cinematografia contemporanea nlla sezione Orizzonti Coreani con 7 film tra cui le anteprime nazionali Front Line di Jang Hoon, il pupillo di Kim Ki Duk, che affronta il tema della guerra tra Nord e Sud Corea; il noir Helpless della regista Byeon Yeong-joo e il film d’azione Confession of a Murder del regista Jeong Byeong-gil che presente a Firenze. The Taste of Money di Im Sang Soo, anche lui presente a Firenze, racconta la storia di una delle famiglie più ricche di Seoul. Im Sang-soo è uno tra i registi più quotati del panorama coreano contemporaneo. La sezione Independent Korea, dedicata ai film di giovani registi indipendenti che difficilmente trovano spazio nella grande distribuzione coreana, presenta 4 film tra cui tra cui Pluto della regista Shin Su-won che sarà fra gli spiti del festival. Tra gli eventi speciali la consueta Notte Horror con l’anteprima nazionale di The Sleepless di Kim Dong Bin. I film della sezione “Corto, Corti” saranno proiettati prima di ogni lungometraggio. Tra i cortometraggi la prima italiana di Jury di Kim Dong-ho, fondatore del BIFF Busan International Film Festival, il più importante festival di cinema asiatico. Gli altri cortometraggi della sezione provengono dall’Asiana International Short Film Festival e del SESIFF – Seoul Extreme Short International Film Festival. La chiusura del festival sarà affidata a Pietà di Kim Ki Duk, miglior film della Mostra del cinema di Venezia 2012.
Tra gli eventi collaterali: sabato 16 marzo si terrà la tavola rotonda con Im Sang-Soo e a Fiesole l’inaugurazione della mostra collettiva dal titolo Korea Sculpture Festival.L’esposizione organizzata in collaborazione con la Korean Sculptor’s Association e con il Comune di Fiesole sarà aperta dal 16 Marzo al 12 Aprile. Domenica 17 si terranno eventi ed esibizioni “Open Air”. Sabato 23 Marzo, infine, torna in Italia dopo tre anni il gruppo K Pop il più popolare in Corea del Sud e i “Bye Bye Sea” (Annyeongbada).
Il Florence Korea Film Fest, ideato e diretto da Riccardo Gelli, è organizzato dall’associazione Taegukgi – Toscana Korea Association e realizzato con il contributo della Regione Toscana, della Fondazione Sistema Toscana, della Provincia di Firenze, del Comune di Firenze, del Comune di Fiesole, del KOFIC – Korean Film Council, del Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica di Corea del Sud e dell’Ambasciata della Repubblica di Corea in Italia. ll festival è sponsorizzato da Kia Motors Company Italy, main sponsor della undicesima edizione. Si avvale, inoltre, del supporto di Samsung Electronic Italia e Korean Air. La manifestazione rientra tra le iniziative della “Primavera Orientale” organizzata da Fondazione Sistema Toscana.
Festival
Black Flies: l’incubo urbano di due anime che vagano in una cupa realtà | Recensione

La recensione di Black Flies – Newscinema.it
Abbiamo visto in anteprima Black Flies a Cannes 2023 ed ecco la nostra recensione.
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2023, il lungometraggio diretto da Jean-Stéphane Sauvaire si sviluppa in 120 minuti e vede protagonisti Sean Penn nel ruolo di Gene Rutkovsky e Tye Sheridan in quello di Ollie Cross.
Basato sul romanzo di Shannon Burke I corpi neri (2008), segue la storia del giovane paramedico Ollie Cross, il quale accompagna la guardia medica notturna Gene Rutkovsky in giro per le violente strade di New York. Situazioni al limite della sopportazione umana e imprevisti dietro l’angolo, metteranno alla prova questi due professionali operatori medici, forgiando anche un legame che andrà oltre al normale rapporto tra colleghi.
Black Flies: un thriller compatto
Immediatamente esplosivo e compatto, il film inizia prosegue e si conclude seguendo una linea ansiogena che non lascia modo allo spettatore di concepirlo diversamente. Per tutta la sua durata, questo dramma dalle venature thriller investe intensamente tanto gli occhi quanto le corde emotive di chi guarda.
Ciò che ne esce è principalmente una connessione di anime differenti, capace di crescere ma anche incupirsi. Da un lato c’è un veterano, un mentore scheggiato da traumi ormai radicati nel profondo, mentre dall’altro troviamo la nuova recluta, il novellino che gli farà da partner, mosso da venerazione ed enorme stima nei confronti del capo medico.
Lavorare a testa bassa seguendo il classico percorso di formazione, studiando e imparando sul campo, questo è il destino che Ollie vorrebbe seguire, ma ahimè la vita a volte sceglie per te e lo stravolgimento di trama sarà all’ordine del giorno. Crude realtà, situazioni instabili, un’imprevista ondata di momenti stressanti. Il lungometraggio è capace di definire davvero bene le difficoltà di questo lavoro.

Black Flies – Newscinema.it
Sean Penn e Tye Sheridan strepitosi
Sean Penn e Tye Sheridan risultano perfettamente calati nei panni dei loro personaggi ma ancor più riescono a rendere credibile quel profondo feeling che contraddistingue il rapporto. Varie meteore vagano attorno ad essi, come Michael Pitt dal temperamento impulsivo, carismatico e giustamente odioso e un Mike Tyson, inutilmente sprecato.
Esplicito visivamente e coraggioso nelle tematiche, affronta depressione e sensi di colpa incessanti, strattonandoti con poca gentilezza all’interno di una ragnatela narrativa che si sviluppa tra disturbi interiori. Luci intense, sirene persistenti e un impianto sonoro determinante che sfocia in vette assordanti, riportano allo spettatore il profondo disagio di Ollie.
Un incubo urbano
Se il ritmo da un lato dona identità e definisce un clima solido e ben caratterizzato, il film non si dimentica di controbilanciare, mostrandoci la pace e la calma in un contesto più intimo, riservato, quando Ollie entra in questo limbo staccato dal caos lavorativo, distraendosi nel silenzio dell’amore, tra carezze e silenzi che compensino la frenesia.
Sean e Tye sotto la mano di Jean-Stéphane Sauvaire, trovano dunque lo spiraglio giusto, quella finestra accessibile che li rende le mosche nere del titolo, insetti sporchi che vagano su un mondo di cupe realtà.
Festival
Dall’alluvione in Emilia Romagna a Cannes 2023: il nostro viaggio impossibile on the road (VIDEO)

Dall’alluvione in Emilia Romagna a Cannes – Newscinema.it
Siamo partiti da Ravenna in macchina per raggiungere il Festival di Cannes 2023 e in questo vlog vi portiamo con noi in questa avventura.
Il 19 Maggio 2023 l’Emilia Romagna era nel pieno dell’alluvione e noi dovevamo partire da Ravenna per raggiungere il Festival di Cannes 2023. Ci siamo chiesti per giorni cosa fare perchè molte strade erano chiuse e noi avevamo programmato il viaggio in macchina che, in condizioni normali, si fa in circa sei ore e mezza.
Abbiamo deciso di tentare la sorte e provare in nome della passione per il cinema e per non perdere alcuni giorni di festival tra film, incontri con star e tanto altro. Così siamo partiti in tarda mattinata da Ravenna, cercando di raggiungere l’autostrada. E non è stato facile, come potete vedere dal vlog qui sotto.
Da un cinema trasformato in centro di acc0glienza a Cannes 2023
Siamo partiti in macchina la mattina del 19 Maggio 2023 per arrivare intorno a mezzanotte sulla Croisette dove poi siamo rimasti alcuni giorni per seguire il celebre Festival dedicato al cinema da ormai 76 anni. Il nostro viaggio è iniziato dal Cinema City di Ravenna, trasformato per l’emergenza alluvione in un centro di accoglienza per le persone evacuate e sfollate dai vari piccoli centri intorno alla città.
Un luogo che di solito regala emozioni ed è un rifugio dalla triste e stressante realtà quotidiana, questa volta è diventato un rifugio pratico e confortevole per coloro che avevano bisogno di un posto asciutto e sicuro dove poter sopravvivere e rimettere insieme i pezzi. Da lì abbiamo proseguito finendo in strade completamente sommerse, facendo marcia indietro più volte e provando altre vie per poter andare avanti.
Un viaggio infinito
Un’avventura ricca di imprevisti, pause forzate, traffico, pioggia ininterrotta…alla fine ce l’abbiamo fatta e sul canale YouTube MADROG CINEMA, come sui nostri profili Instagram e TikTok trovate varie foto e video della nostra esperienza a Cannes 76 tra impressioni sui film, incontri con star di Hollywood e tanto altro.
Se ti piacciono i video che trovi sul canale non dimenticare di iscriverti e attivare la campanella così sarai avvisato ogni volta che aggiungeremo un nuovo contenuto. Questo viaggio alla fine è andato bene, ma al posto delle sei ore e mezza previste normalmente per questo tratto ci abbiamo impiegato circa 12 ore. Però per il cinema questo e altro!
Festival
Cannes 76: Killers of the Flower Moon, la degenerazione del gangster movie scorsesiano

Una scena di Killers of the Flower Moon (fonte: Festival de Cannes)
Negli ultimi trent’anni, Martin Scorsese ha indagato con il suo cinema i meccanismi, le dinamiche, gli accordi e le procedure attraverso le quali il crimine funziona come uno Stato dentro lo Stato, regolato da leggi non basate sul diritto ma su un codice specifico che si impara solo crescendo in quel mondo. Anche Killers of the Flower Moon, in un modo o nell’altro, parla di questo.
Nella contea omonima dello Stato dove sono stati costretti a trasferirsi dal governo Usa, contrariamente alle altre tribù di nativi d’America, gli Osage sono diventati ricchissimi grazie ad un accordo che ha lasciato loro i diritti di sfruttamento del sottosuolo gonfio di petrolio. Questi nativi miliardari, scopriremo presto, non controllano però veramente il proprio patrimonio, che viene loro elargito con il contagocce dai «guardiani» bianchi sulla base di richieste motivate e documentate.
A Fairfax, la famiglia Hale fa il bello e il cattivo tempo, organizzando matrimoni di convenienza per accaparrarsi l’eredità degli Osage, ma anche imbastendo improvvisate frodi assicurative e depredando le tombe dei defunti. Insomma, dei ladri di polli la cui superbia, nonché la convinzione di essere antropologicamente superiori agli indigeni con cui convivono, li condurrà progressivamente, finanche inconsapevolmente (essendo gli assassini interessati solo al contingente, incapaci di avere contezza dell’insieme), allo sterminio di una popolazione. La banalità del male, declinata in tutta la sua rozzezza.

Una scena di Killers of the Flower Moon (fonte: Festival de Cannes)
Con il procedere della narrazione, man mano che gli obiettivi della famiglia diventano sempre più sanguinosi e spietati, Killers of the Flower Moon comincia ad assumere le sembianze di un film di Scorsese: gradualmente mette lo spettatore nelle condizioni di riconoscere i movimenti, le soluzioni di montaggio, le inquadrature tipiche del suo cinema. E proprio la riconoscibilità di quel modello renderà evidente la sostanziale differenza tra i gangster che abbiamo conosciuto lungo tutta la sua filmografia e questi gretti e dozzinali arraffoni: la differenza tra forza e potere (capacità dell’uomo di determinare la condotta di altri uomini) e il dominio (la malattia del potere, la malattia della forza).
Tanto il capitale che il potere, quanto più si accumulano senza strutturarsi socialmente, tanto più tendono a scadere in dominio, a porre le condizioni per una realtà umana che risulta generalmente aberrante, inconscia violazione, dilapidare cieco, tragica efferatezza. Killers of the Flowers Moon rappresenta in questo senso la “sclerotizzazione” del modello scorsesiano, imponendosi come potere malato che pretende la dipendenza dei sottoposti, attraverso cui percepiamo la ferocia di ogni singola uccisione o azione criminale: la sua deliberata crudeltà.
Retrospettivamente, quindi, riconosciamo la violenza manifesta e illegale della mafia di Goodfellas o anche di The Irishman come qualcosa di rudimentale, approssimativo, rispetto a quella ideologizzata, agguerrita, sostanzialmente razzista, che viene esercitata nel film dai gruppi dominanti a scapito della popolazione indigena. Diventa così fondamentale l’aspetto “virale” di questa nuova opera, la morte come patologia ereditaria, che diventa contagiosa e si diffonde come un’epidemia nel villaggio, decimandolo nel giro di qualche anno. Il dominio è, in questo senso, un fenomeno parassitario, incapace di vita autonoma ma costretto a infettare, sfruttando le energie e gli apparati delle vittime, per sopravvivere e propagarsi.
Viene meno, in questo caso, anche la mitizzazione del “codice”, quel legame ancestrale, umano, profondissimo e silenzioso, che spesso ha legato i criminali di Scorsese ai loro boss, che mai, in alcun modo, venivano messi in discussione o traditi (emblematico in questo è proprio The Irishman). Quel rispetto delle regole, quel senso di riconoscenza che faceva accettare ogni ordine impartito, anche quelli più feroci e dolorosi, in Killers of the Flower Moon è praticamente assente, perché assente è il concetto di famiglia, di clan. Il rapporto che lega Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) allo zio Ernest (Robert De Niro) non segue quelle logiche lì, perché a mancare è il senso di affiliazione e di appartenenza (che invece accomuna, in contrapposizione fortissima, la comunità Osage).
Killers of the Flower Moon | un affresco epico e corale
Da spettatori assistiamo all’esecuzione di un lunghissimo piano, tappa dopo tappa, lungo dieci anni. Lo osserviamo, come sempre avviene nei film di Scorsese, dal punto di vista degli aguzzini, di cui comprendiamo la mediocrità, la totale mancanza di capacità. Se DiCaprio è una semplice pedina degli eventi, abituato ad obbedire perché la ritiene la soluzione più facile e meno impegnativa, anche il “Re” (così viene chiamato dai suoi sudditi) De Niro si rivelerà, alla fine, troppo arrogante e sicuro di sé per rendersi conto dei tantissimi errori grossolanamente commessi, molto meno raffinato di quello che vorrebbe far credere.

Una scena di Killers of the Flower Moon (fonte: Festival de Cannes)
In questo affresco epico e corale, che segue il passaggio di un decennio, il cambiamento dei costumi, l’evoluzione delle relazioni e delle tecniche di sopraffazione, Scorsese trova anche il modo di raccontare un’altra forma di potere, quella che ha a che fare con la capacità di reagire e la capacità di modificare l’inerzia: il potere del narratore, dell’avveduto e attento affabulatore. Tra i sensi estremi di possibilità, potenzialità e capacità di compiere, realizzare, è significativa quella radice che in alcune lingue fa coincidere il potere col generare e col creare.
Il modo in cui Scorsese sceglie di raccontare le ultimissime battute della vicenda dei suoi personaggi, mettendosi peraltro in scena in prima persona, sta lì a dimostrarlo. Il potere, quello della macchina-cinema e del regista che la conduce, deve agire mutualmente maieutico, anche alle maggiori dimensioni, tenere conto degli altri (delle vittime vere e di quelle del meccanismo narrativo) per non diventare anch’esso dominante, considerare anche la responsabilità dell’agire nei riguardi del pubblico. Il potere (nel senso di “essere capace di”, “capacità di azione”) in sé non è affatto negativo: la sua carica positiva dipende dalla sua capacità di aprirsi a comunicare. Come fa, ad esempio, un cineasta alla soglia degli ottant’anni, consapevole della sua potenza, della sua influenza, ma sempre impegnato in un dialogo autentico con gli spettatori.
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