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Interviste

Intervista a Tim Burton su Frankenweenie

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Il film in bianco e nero e in stop-motion d’animazione Frankenweenie , diretto da Tim Burton che risale al 1984, è una toccante storia di un ragazzo e il suo amato cane. Dopo aver inaspettatamente perso Sparky, il giovane Victor (doppiato da Charlie Tahan ) lo ricuce insieme e sfrutta la potenza della scienza per portare il suo migliore amico in vita, ma deve affrontare subito conseguenze non volute e talvolta mostruose per le sue azioni. Burton sta per riportare questo vecchio film sul grande schermo in una versione tutta nuova e in 3D con il cast vocale che comprende anche Catherine O’Hara , Martin Short , Martin Landau , Atticus Shaffer e Winona Ryder .

Durante una giornata dedicata alla stampa per il film, in cui i giornalisti americani hanno avuto la possibilità di visualizzare in anteprima quasi 30 minuti del film, il regista / produttore Tim Burton ha parlato della storia originale del suo breve film, del casting di attori scelti per esprimere alcuni dei personaggi, di come è cambiata la tecnica dello stop-motion nel corso degli anni, della speranza che il pubblico più giovane voglia esplorare i mostri che sta pagando in un tributo al film, e della conversione al 3D. Ha anche parlato del fatto che Seth Grahame-Smith sta lavorando sulla scrittura di Beetlejuice 2 e che potrebbe essere interessato a partecipare a seconda di ciò che penserà della sceneggiatura, poi del suo prossimo film su Pinocchio con Robert Downey Jr. e che Big Eyes è in preparazione, ma che non si sa mai quale di questi sarà pronto per primo ad andare avanti. Di seguito riportiamo un estratto dell’interessante intervista realizzata da Collider.com.

Passando alla tua idea originale, quando hai deciso di trasformare il tuo Frankenstein  in un film di mostri?

Quando abbiamo fatto il corto, abbiamo pensato, “senza troppi problemi, questo potrebbe avere un maggiore potenziale.” Il nucleo era sempre quello, e ho voluto mantenerlo. E con esso anche la linea centrale della storia. Abbiamo solo cercato di allungare il brodo in altre parti, nel modo più naturale possibile. Una delle cose che mi interessava era avvicinarmi più ai bambini, e alla politica dei ragazzi ma anche alla rivalità con i bambini e i loro esperimenti. Quel mondo sembrava aver funzionato con questo motivo per House of Frankenstein. Ma abbiamo cercato di agire in modo naturale, senza far sentire che si trattava di due storie diverse. Il ragazzo con la sua originale storia del cane è la radice di tutto.

Qual è il tuo rapporto personale con questa storia, e dove è nata questa idea originale?

Ho ricordato il mio primo rapporto con un animale domestico, dove l’amore era incondizionato. Esci fuori da quella porta e quando cammini nuovamente, è come essere stato via per tre anni. E poi, perché gli animali di solito non vivono così a lungo, e quindi è anche il primo rapporto puro e anche la prima forma di morte che ho sperimentato. E ‘stata una combinazione molto potente. Ecco da dove mi è venuta  la storia. Era l’idea di non dimenticare il trauma emotivo di perdere quel tipo di rapporto, ma facilmente relativo alla storia di Frankenstein, che è un altro tipo di amore. Era facile sposare le due cose senza apparire come uno strappo.

C’era un cane specifico a cui ti stavi riferendo?

Sì, ho avuto un cane.

Quanti anni avevi?

E ‘stato intorno al periodo dai cinque ai nove anni. Non era come avere un pesce rosso. Se fossi stato innamorato del mio pesce rosso, allora avrei potuto avere bisogno di aiuto. Almeno un cane è leggermente diverso ed è più normale.

Negli ultimi dieci anni hai lavorato molto con Johnny Depp e Helena Bonham Carter , ma non sono coinvolti in questo film. Tuttavia hai Martin Landau, Martin Short e Catherine O’Hara per fare le voci, e hai lavorato con loro prima, ma è passato un po’ di tempo dall’ultima volta. 

Questa è una cosa personale che ho voluto fare per tenerla personale. Le voci devono essere sempre giuste. Con Martin Short e Caterina O’Hara è così. Ecco perché ho fatto fare tre voci ciascuno. Per me c’è una grande energia con loro. E con Winona Ryder, che non vedevo da molti anni. La stessa cosa con Martin Landau. Qualcosa del genere rende solo il tutto ancora più personale.

Vuoi dire che questo è il film più personale che tu abbia mai fatto?

Probabilmente sì. Ha tutti gli elementi necessari.

E ‘ creativamente stimolante per te lavorare su qualcosa completamente da solo, invece di lavorare su materiale già esistente?

Sì e no. Con tutto ciò, lo fai tuo. Anche se si sta facendo qualcosa che lo studio ti manda, o qualcosa che si basa su un libro o un racconto, alla fine di tutto, si tenta di fare quello che è tuo. Questo è basato sulla mia passione per il cinema horror. Tutto si basa su qualcosa, in qualche modo.

State sperando che il pubblico più giovane voglia esplorare i mostri che stai pagando per un tributo al film?

Sì, penso di sì. È interessante. Con i miei figli, il mondo cambia e ci sono videogiochi e le cose sono molto più veloci, e mi chiedo come i ragazzi pensino a questi vecchi film, come Frankenstein , che sono molto lenti. Non è molto uguale al ritmo della vita contemporanea. Il mio ragazzo è un prodotto di stile di vita veloce, ma se si mette qualcosa dello stile di Frankenstein, tutto diventa come un sogno strano. E ‘molto affascinante vedere come i ragazzi non rispondono a nulla, ma soprattutto a questi vecchi film horror.

E ‘stato divertente riempire il film con così tanti riferimenti?

Penso sempre che non si dovrebbe mai fare riferimenti solo per farli. Ho sempre cercato di farli, ma se non li conosco, si passa oltre e la storia è il centro di tutto. Dovrebbe essere una cosa di cui devi sapere di cosa si tratta.

Si potrebbe fare un film che assomiglia a questo con un computer, ma non avrebbe quella qualità artigianale e si sente. C’è un certo grado di lotta per l’imperfezione, in questo senso?

E ‘un buon punto. E ‘un punto interessante perché la tecnologia può offuscare le linee. Abbiamo avuto buone marionette per La sposa cadavere che un sacco di gente pensava essere stato fatto con il  computer. Una volta avviato confondendo i confini, si entra in un problema. Ogni modulo ha i suoi grandi elementi. C’è la grande animazione al computer, la grande animazione disegnata, e si può considerare grande ogni tipo di animazione. Quello da sperare è che, quello che ti piace di una certa forma, non lo perdi. Abbiamo cercato di lasciare che i nostri limiti di budget lavorassero per noi. Basta seguirli.

Ti piacerebbe fare un film d’animazione più tradizionale?

Beh, per me, questo è il più tradizionale che si possa fare.

Com’è stato prendere i tuoi disegni originali e il lavoro con i collaboratori per fare questo film?

Beh, già solo con la natura della stop motion, le cose cambiano. Si può fare un disegno, ma poi è quando cominci a fare il burattino, il disegno non funziona. C’è un continuo avanti e indietro, in termini di ciò che viene fuori. Questa è solo una collaborazione normale. Non è molto diverso da qualsiasi altra cosa, in modo particolare. Diventa solo una parte di ciò che è e ciò che sarà il risultato finale.

Sparky ha una somiglianza con il cane di Family Dog . Era intenzionale, o era Family Dog basato su disegni originali che avevi fatto per Sparky?

No, probabilmente dipende dal fatto che tutti i miei disegni hanno lo stesso aspetto. Questo è probabilmente vero. Che ha più a che fare con esso di ogni altra cosa. E ‘come qualcuno che chiedeva al tizio che disegnava Charlie Brown, “Puoi disegnare in modo diverso? Ci piace il personaggio, ma la testa deve essere così rotonda?

I ragazzi in aula hanno tutti i look e la voce molto diversi. Hai intenzionalmente lavorato su di essi per assicurarti che sembrassero così diversi l’uno dall’altro?

Già. E ‘sempre sulla base di uno schizzo o un disegno, quindi c’è una certa quantità di cose che sono allo stesso modo nella progettazione. Il disegno è solitamente organico. Non è così che è stato basato su un libro e abbiamo intenzione di ricreare con amore ogni illustrazione. Si inizia in questo modo, fin dall’inizio.

Com’è stato dirigere questo film, quasi 30 anni dopo il corto originale?

Io non sono una di quelle persone che è come, “Ora gli effetti sono migliori, quindi torniamo indietro e aggiorniamo tutti gli effetti.” Ero grato per il live-action, perché, se fosse stato con l’ animazione, probabilmente non avrei ottenuto il live-action. Ora, la versione animata ha un senso. E, penso che ci siano sufficienti elementi nuovi, e la stop-motion è il mezzo di supporto diverso.  Non mi sentivo come se stessi calpestando un vecchio territorio. Era un modo per esplorare in modo diverso.

Come è stato convertirlo in 3D?

E’ una conversione e c’è bisogno di tempo. Si può vedere in 3D male a causa di una conversione cattiva, o buono se la conversione è buona. E ‘solo una questione di trascorrere il tempo con il film. La cosa grandiosa di qualcosa come questo, e lo stesso è stato con Nightmare , è che non c’è niente di più chiaro di questo, in termini di ciò che i set sono stati e la posizione e la distanza. Tutte le informazioni sono lì per effettuare la conversione nel modo in cui deve essere fatta.

Questo è un momento molto intenso per te, con due film in uscita quest’anno che hai diretto ( Dark Shadows e Frankenweenie ), e uno che hai prodotto ( Abraham Lincoln Vampire Hunter ). Hai iniziato già a pensare ai progetti futuri?

No. Penso che dovrei fare una pausa.

Quanto lavoro ti è rimasto ancora da fare per questo film?

Manca l’editing, la musica e il suono.

Hai sempre intenzione di dirigere questo da solo?

Tutto da solo. Sono un grande ragazzo, ora. Nessuna ruota di formazione, niente. No, queste cose succedono abbastanza organicamente. Ogni progetto è diverso. Nel caso di questo, abbiamo voluto fare un po’ più a mano, così abbiamo ridimensionato il tutto. Un altro progetto sarebbe stato diverso. Ognuno ha la propria energia. Questo sembrava giusto farlo così. Less is more.


Il cinema e la scrittura sono le compagne di viaggio di cui non posso fare a meno. Quando sono in sala, si spengono le luci e il proiettore inizia a girare, sono nella mia dimensione :)! Discepola dell' indimenticabile Nora Ephron, tra i miei registi preferiti posso menzionare Steven Spielberg, Tim Burton, Ferzan Ozpetek, Quentin Tarantino, Hitchcock e Robert Zemeckis. Oltre il cinema, l'altra mia droga? Le serie tv, lo ammetto!

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Cannes 76 | Jehnny Beth e Iris Chassaigne presentano Stranger: la nostra intervista alle registe

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Jehnny Beth e Iris Chassaigne fotografate alla Semaine de la Critiqu (credits: Aurélie Lamachère)

Jehnny Beth e Iris Chassaigne fotografate alla Semaine de la Critiqu (credits: Aurélie Lamachère)

Jehnny Beth è presente quest’anno a Cannes nelle vesti di attrice nel film Anatomie d’une chute di Justine Triet (in concorso) e in quelle di regista per il cortometraggio musicale Stranger, presentato in Semaine de la Critique assieme alla co-regista Iris Chassaigne. Ecco cosa ci hanno raccontato a riguardo.

Jehnny Beth è una delle artiste francese più poliedriche e imprevedibili: attrice nominata per un César nel 2017, fondatrice dell’etichetta Pop Noire Records e cantante della band britannica Savages, alla Semaine de la Critique ha presentato il cortometraggio musicale Stranger, che ha co-diretto al fianco di Iris Chassaigne (People who drive at night, Swan in the center). Stranger è un film in cui le preoccupazioni nascoste della quotidianità si scontrano con un’incredibile sete di vita: il cortometraggio racconta, attraverso la musica, la rinascita di una donna (Agathe Rousselle, già protagonista di Titane) che ha perso il contatto con sé stessa e che gradualmente si riconnette con le sue emozioni quando incontra una sconosciuta.

D: Stranger nasce dalla musica e dai brani che Jehnny aveva scritto per il suo nuovo album solista. Da dove arriva quindi l’idea di espandere quelle canzoni con un progetto crossmediale, dal taglio cinematografico?

JEHNNY BETH: Penso sempre alle immagini quando scrivo la mia musica. Ma nell’industria musicale, dove i brani prendono vita e si evolvono, c’è questa idea del videoclip legata alla commercializzazione della musica e non tanto ad una ambizione artistica. Inoltre, quando ho scritto i brani che hanno poi composto il progetto di Stranger, mi è sembrato che ascoltati insieme raccontassero una storia. Quindi ho immaginato, senza sapere all’inizio quale sarebbe stata la forma che avremmo scelto, di scrivere qualcosa di narrativo che tenesse insieme queste canzoni. È stata un’intuizione, più che altro. E poi si trattava di qualcosa che non avevo mai fatto prima e sperimentare cose nuove è sempre una delle principali motivazioni che mi guida.

Una scena di Stranger (credits: Semaine de la Critique)

Una scena di Stranger (credits: Semaine de la Critique)

D: Iris, in che modo questo progetto si inserisce nel tuo percorso da regista? Hai trovato nella prima bozza di sceneggiatura presentata da Jehnny qualcosa di familiare con il tuo percorso artistico? 

IRIS CHASSAIGNE: Penso che il progetto sia molto diverso dai cortometraggi che ho diretto in passato, ma c’è sicuramente una connessione tematica. Ci sono sempre questi personaggi che si sentono estranei, “strangers”, per l’appunto, nel mondo in cui vivono. Non sanno bene come adattarsi al mondo che li circonda, che sembra ostile e incomprensibile. E così anche l’idea del desiderio che si oppone alla noia della quotidianità, quando questa è vuota e senza stimoli. Sono alcune sfumature che ho portato quando sono entrata nel progetto come co-regista. Molto però era già presente, come ad esempio lo spazio in cui avremmo girato: questi enormi uffici che mi hanno immediatamente affascinato, perché sono interessata a questi non-luoghi, freddi e glaciali, in cui spesso si svolge la nostra vita (il centro commerciale del suo precedente cortometraggio, ndr). Lo abbiamo utilizzato un po’ come se fosse l’ufficio di Play Time di Jacques Tati, sfruttando tutte le possibilità che ci offriva in termini di composizione dell’inquadratura.

Una scena di Stranger (credits: Semaine de la Critique)

Una scena di Stranger (credits: Semaine de la Critique)

D: Come avete lavorato affinché la musica non prendesse il sopravvento sul resto del film e, allo stesso tempo, aggirando i meccanismi tipici dei musical tradizionali?

IRIS CHASSAIGNE: Prima di girare pensavamo sempre a come raggiungere questo equilibrio tra le due componenti, quella musicale e quella visiva. Poi, in realtà, una volta che abbiamo cominciato, il problema non si è posto più. Non c’è stata mai davvero una contrapposizione tra le due cose. Abbiamo iniziato a considerare la musica come uno strumento della messa in scena, come se questa fosse un altro attore, un altro personaggio nella storia.

JEHNNY BETH: Ci sono molti riferimenti cinematografici che ci hanno aiutato e che ci hanno ispirato, come ad esempio Annette. La scena della motocicletta è stata molto influenzata da quella, molto simile, che c’è nel film di Leos Carax con Adam Driver. Però, allo stesso tempo, non volevo realizzare un musical, perché le canzoni non erano state scritte con quello scopo e perché io, da spettatrice, non amo molto il genere. La cosa che mi annoia dei musical è che c’è sempre quel passaggio un po’ ridicolo dal momento in cui i personaggi parlano normalmente a quello in cui poi iniziano a comunicare tra loro cantando. Persino la loro voce cambia e la cosa mi crea sempre un po’ di fastidio da spettatrice. Quando stavamo pensando a come utilizzare la musica nel film e ai suoni da mixare nelle scene in cui non erano presenti i miei brani, ci è venuta l’idea di non far parlare mai il mio personaggio nei momenti in cui non canta. È stata una decisione presa poco prima di cominciare a girare.

IRIS CHASSAIGNE: Effettivamente, adesso che mi ci fai pensare, l’idea di far esprimere il personaggio di Jehnny solo attraverso la musica, e di non farlo parlare nel resto delle scene, serviva anche a questo. Ad evitare quell’effetto un po’ imbarazzante. La musica è la sua dimensione ideale: si esprime con la musica quando parla e quando pensa. Contrapponendosi invece al personaggio di Agathe (Rousselle, ndr) che invece si esprime principalmente attraverso la parola.

D: Il corpo di Jehnny e Agathe è fondamentale per veicolare le loro emozioni, in questo caso, e ovviamente poi diventa anche lo strumento attraverso cui la musica esprime tutto il suo potenziale catartico e liberatorio. Come avete affrontato questo aspetto?

JEHNNY BETH: L’utilizzo del corpo come forma di espressione è sicuramente una cosa che accomuna me e Agathe Rousselle. Ho ovviamente adorato la sua interpretazione in Titane e mi piace molto il suo approccio molto fisico al cinema. È una cosa che nel cinema francese stiamo esplorando da poco, in realtà. Agathe è sicuramente una delle attrici più interessate a questo e grazie a Titane ha acquisito una grande esperienza. Prendi la scena della rissa nel club, ad esempio: ci si è buttata a capofitto e ne è venuta fuori alla grande!

IRIS CHASSAIGNE: Abbiamo anche lavorato al movimento del corpo di Agathe nelle scene che non sono musicali, quelle magari in cui è da sola su schermo. L’obiettivo era quello di comunicare, attraverso gesti inconsueti e movimenti inusuali, il suo desiderio e la sua irrequietezza.

Una scena di Stranger (credits: Semaine de la Critique)

Una scena di Stranger (credits: Semaine de la Critique)

D: Se la musica dei tre brani che compongo il film è sempre strettamente collegata alla narrazione, all’evoluzione emotiva dei personaggi, mi sembra invece che i testi abbiano una potenza più collettiva, che va al di là di quello che sta succedendo in scena. È così?

JEHNNY BETH: Beh, è interessante quello che dici. Effettivamente i testi delle canzoni hanno una loro forza comunicativa, come se fossero dei dialoghi interiori, ma allo stesso tempo non veicolano una conversazione o un dialogo tra i due personaggi, come avviene nei musical di cui parlavamo prima. Ho fatto davvero poche modifiche rispetto a quello che avevo scritto prima di iniziare a lavorare al cortometraggio, ma penso anche io che aggiungano un altro livello di lettura alle immagini, alla storia. Sono dei testi molto poetici e rimangono nella loro astrazione anche una volta inseriti nel film. Certo, non siamo al livello di lirismo e astrazione di Thom Yorke, ma offrono un’altra prospettiva, un altro punto di vista, sulle cose che vediamo.

IRIS CHASSAIGNE: Penso che tu abbia assolutamente ragione. Quando Jehnny comincia a cantare non si rivolge più soltanto all’altro personaggio, ma al pubblico. Ci trasporta in qualche modo fuori dalla scena.

D: Una delle differenze sostanziali tra Stranger e un comune videoclip musicale penso stia nella possibilità di emanciparsi, in qualche modo, dal predominio del montaggio, che non è più lo strumento principale attraverso il quale modellare il ritmo della narrazione…

JEHNNY BETH: Certo, è sicuramente così. Volevamo proprio evitare il montaggio serrato e sincopato dei videoclip musicali. E, proprio per opporci a quel tipo di estetica, abbiamo girato molte delle scene in un unico take. In alcuni casi abbiamo fatto dei tagli, in altri no, ma sempre lavorando su di un’unica ripresa continua. Era importante per noi trovare uno stile visivo che fosse peculiare e che appartenesse effettivamente a noi e a questo film.

IRIS CHASSAIGNE: La musica e le immagini dialogano tra di loro, ma non vanno sempre nella stessa direzione. E penso che questa sia la più grande differenza con i videoclip, in cui invece le due cose devono sempre e comunque combaciare.

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Interviste

La Sirenetta: conferenza stampa | Mahmood si è sempre sentito un po’ Sebastian

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la sirenetta conferenza

Una scena de La Sirenetta – Fonte Foto: Ufficio stampa

In attesa che il remake live action de La Sirenetta arrivi in sala, il 24 maggio 2023, distribuito da The Walt Disney Company Italia, si è tenuta la conferenza stampa via Zoom. Presenti all’appello i doppiatori italiani, Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood, Yana_C e Simona Patitucci, rispettivamente voci di Sebastian, Ariel e Ursula.

In cabina di regia, un gigante quale Rob Marshall si cimenta in una delle imprese più difficili di sempre. Riportare, infatti, sullo schermo, una nuova versione di un classico Disney è qualcosa che a pochi, pochissimi, è riuscito. Basta osservare alcuni dei precedenti: vedi La Bella e la BestiaIl libro della giunglaAladdin.

la sirenetta

Una scena de La Sirenetta di Rob Marshall – Fonte Foto: Ufficio stampa

L’attesissima pellicola, inoltre, ben prima del suo arrivo al cinema, ha sollevato qualche polemica, per lo più dovuta alla scelta di avere una sirenetta di colore. Ma alla fine si può discutere di tutto, resta il fatto che certe emozioni superano qualsiasi confine e vanno a lavorare a un livello più profondo.

Con un seguito così numeroso e grazie ai messaggi che lancia, La Sirenetta è senza dubbio uno dei cartoni più amati.
Basato sull’omonima fiaba di Hans Christian Andersen, il film d’animazione del 1989 è stato un vero e proprio successo al botteghino, oltre ad aver vinto due Premi Oscar (per la colonna sonora e la canzone, In fondo al mar).

Inevitabili quindi i confronti e le responsabilità dinanzi a un’opera simile. Ne sono testimoni gli stessi doppiatori italiani, che hanno svelato simpatici aneddoti e qualche curiosità circa la lavorazione del progetto nel quale sono stati coinvolti.

La Sirenetta | La conferenza stampa del nuovo film Disney

Cosa vuol dire, per voi, a livello personale, aver partecipato a questo film?

Simona Patitucci: «Mettetevi nei miei panni, ero una bambina e sono passati 30 anni.

Per me era un appuntamento con Ursula.

Ero stato selezionata da Pietro Carapellucci, responsabile della direzione musicale. Vidi il materiale di Ariel e vinsi entrambi i provini. All’epoca, non ci pensai due volte e scelsi lei. Raramente ti capita di poter raccontare la stessa storia da un altro punto di vista. Perciò quando mi hanno chiesto di partecipare al live action come Ursula, l’ho visto come un segno del destino, un cerchio che si chiudeva o che si apre.

Per me è stata una grande emozione ritornare in un ambiente, non solo di lavoro, ma anche umano, molto speciale. E ripensare al cartone animato e cimentarmi con un personaggio che mi ha aspettato per qualche anno. Speriamo di essere stata all’altezza!»

Yana_C: «Inizialmente era un sogno e non ci credevo. Quando ho capito di cosa si trattasse l’audizione, ero in Angola con mia madre e siamo scoppiate in lacrime. Non mi ero mai cimentata prima col mondo del doppiaggio, inoltre il modo di cantare disneyano è più vicino al musical, rispetto a quello a cui ero abituata. Per me è stato un lavoro emotivo, più che tecnico.

Con questa versione nuova de La Sirenetta sento di far parte di un cambiamento ed è stato molto importante. Spero di essere stata all’altezza e che l’emozione che ho provato io arrivi anche agli altri.»

Mahmood: «Anche per me questo è un cerchio che si chiude e si apre. Mia madre è sarda e d’estate eravamo spesso al mare. quindi avevo un rapporto stretto con questo cartone.

Quando è uscita la notizia che avrei fatto Sebastian, i miei cugini mi mandavano foto di quando ero piccolo e li obbligavo a cantare le canzoni de La Sirenetta sugli scogli.

Io sono ancora incredulo. Se da piccolo mi avessero chiesto cosa volevo fare da grande, avrei risposto questo. Per me, di base, non è stato un lavoro. Non avevo mai doppiato, ma mi sono cimentato in una cosa nuova, non è stato facile. Ho visto tante volte l’originale a casa e io mi sento un po’ Sebastian

la sirenetta conferenza

Mahmood alla premiere londinese de La Sirenetta – Fonte foto: Ufficio stampa

La Sirenetta | In conferenza si parla di doppiaggio e di modelli Disney

Quali sono state le difficoltà del doppiaggio?

SP: «Per quanto abbia cominciato a 7 anni col doppiaggio, ogni volta approcciarsi a un personaggio nuovo è sempre una sfida. Soprattutto quando c’è il desiderio di eccellere.

Perchè la perfezione non esiste, ma l’eccellenza sì.

Se poi hai attori straordinari, nel mio caso Melissa McCarthy, che mi ha fatto sudare le sette camicie per starle dietro, non è un viaggio facile. Ma anche grazie a Massimiliano Alto, è stato fatto un lavoro certosino, come si fa spesso quando si tratta di Disney. C’è un’attenzione millimetrica all’aderire all’attore. Tutte le differenze che si potranno riscontrare sono dovute al fatto che io ho dovuto e voluto seguire un’attrice come la McCarthy, e io spero di essermi portata a casa questa sfida. Quindi difficoltà nessuna, perché c’è sempre un gran piacere.»

Se tu ti diverti, il pubblico si diverte.

Mahmood, quanto hanno influito le tue origini sarde sulla lavorazione e quali modelli di cantanti Disney avevi prima di iniziare La Sirenetta?

M: «Sono super orgoglioso, perché le estati, mentre nuotavo sott’acqua, io cercavo Atlantica. Ho affrontato tutto con orgoglio e responsabilità, ci tenevo a fare bene, a regalare agli altri ciò che il cartone ha regalato a me. Si sono mischiate tante emozioni.

C’è una colonna sonora Disney a cui sono molto affezionato ed è quella di Hercules, in cui Alex Baroni cantava Posso farcela

La Sirenetta | L’importanza della voce raccontata in conferenza stampa

Che importanza date alla voce?

Y_C: «Credo sia una delle cose a cui do più importanza nella vita, se dovessi rimanere senza potrei anche morire. Se parliamo di voce nel senso fisico, cerco di prendermene cura e di non avere cattive abitudini, in senso metaforico sto facendo un percorso come cantante con l’obiettivo, un giorno, di arrivare a dare un messaggio al pubblico.»

Il primo ricordo de La Sirenetta?

SP: «Quando mi fu consegnata la VHS per vedere il provino che dovevo sostenere e vidi entrambe le clip di Ursula e Ariel.»

M: «Quando cantano le sorelle con Sebastian che fa il direttore d’orchestra. Ecco, è il mio primo ricordo di un direttore d’orchestra.»

Non a caso, Sebastian è il suo personaggio preferito…

 

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La follia di Conann stupisce la Quinzaine di Cannes: intervista al regista Bertrand Mandico

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Il regista Bertrand Mandico (Crédits : La Quinzaine des Cinéastes / Susy Lagrange)

Il regista Bertrand Mandico (Crédits : La Quinzaine des Cinéastes / Susy Lagrange)

Conann, il nuovo film di Bertrand Mandico, mago nero del cinema francese, sorprende e sconvolge il pubblico di Cannes alla Quinzaine des cinéastes. Un film dal grande impatto sensoriale che ci permette di esplorare tutta la ricchezza dell’immaginario cinefilo del regista. Ecco cosa ci ha raccontato in questa intervista.

Bertrand Mandico aveva già dinamitato il panorama cinematografico europeo con due lungometraggi come Les garçons sauvages e After Blue, oltre che con numerosi cortometraggi. Adesso, con il suo terzo film, nato da una esperienza teatrale, immagina una versione femminile del Barbaro più celebre della storia del genere fnatasy, abbattendo i limiti del suo cinema e regalando al pubblico un’esperienza sensoriale difficile da dimenticare.

Una scena del film Conann (Crédits : La Quinzaine des Cinéastes)

Una scena del film Conann (Crédits : La Quinzaine des Cinéastes)

In questa intervista, ci siamo fatti raccontare le tante influenze cinematografiche che compongono il suo nuovo Conann e alcuni dettagli del suo particolare metodo di lavoro.

D: Già nei tuoi due film precedenti c’era una particolare attenzione e una cura quasi maniacale per i dialoghi, che conferivano un ritmo unico alla narrazione, creando una specie di melodia. In Conann sembra di trovarsi davanti a un musical anche se non è propriamente così. Come hai lavorato sul linguaggio dei personaggi in questo caso?

R: Ho cominciato ad immaginare la mia storia e poi, piano piano, dopo che questa era stata più o meno definita, mi sono concentrato sui dialoghi. C’è davvero poco spazio per l’improvvisazione nei miei film, perché lavoro sui dialoghi dei personaggi come si lavorerebbe sulla musica. Le attrici recitano ogni parola che ho scritto, virgole comprese. Dietro ogni linea di dialogo esiste quindi un grande lavoro di artigianato e di cesellatura. Cerco di destreggiarmi tra l’artificio di quello che scrivo e ciò che avviene, a volte anche imprevedibilmente, sulla scena. In questo caso, essendo il progetto nato a teatro, ho avuto modo, durante la lunga fase di preparazione e di prove con gli attori, di capire cosa funzionava del testo e cosa no. Inoltre, ho un metodo tutto mio di registrare i dialoghi degli attori.

Faccio una prima registrazione sul set, che mi serve solo come “memoria” di quello che abbiamo fatto in quel momento. Poi tutto viene ri-registrato in studio e sincronizziamo in post produzione, dandomi la possibilità di continuare a rimaneggiare i dialoghi anche dopo le riprese. In alcuni casi, in studio faccio sussurrare gli attori quando invece sul set, nelle scene che abbiamo registrato, questi urlavano o parlavano ad alta voce. È un modo per avere un suono molto pulito, sia per le voci che per i rumori che compongono la colonna sonora, insieme all’elettronica e al lavoro dei foley artists, ma anche per creare una contraddizione tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo. I miei film vengono “ascoltati” dallo spettatore e non solo “visti”. Devo essere in grado di rimuovere l’immagine e poter ascoltare solo il suono. Il film deve poter stare in piedi così, anche senza l’immagine.

D: Come sempre, questo tuo film è anche un atto d’amore per le attrici e un mezzo per loro di esprimersi in modi diversi e in ruoli generalmente considerati maschili. In Conann, vediamo attrici in differenti età della loro vita. Quasi una denuncia del fatto che, nella realtà dell’industria cinematografica, le donne tendono ad avere carriere più brevi di quelle dei loro colleghi maschi. È qualcosa a cui hai pensato consapevolmente per questo progetto o è ormai diventato un elemento quasi inconscio della tua poetica?

R: Sicuramente c’è un impegno politico, di militanza, su questo tema da parte mia come autore. Voglio affermare la possibilità per le attrici di sperimentare in ruoli che non vengono mai ideati per loro al cinema, anche ruoli non-binari. La scelta di chiamare attrici di età diversa e di dare loro personaggi ugualmente potenti, fieri, nel pieno della loro forza, rientra sicuramente in questa mia operazione più ampia. C’era però, in questo caso, anche la volontà di realizzare un film corale. Anzi, un personaggio che fosse corale, che contenesse in sé tanti personaggi diversi. Ogni periodo della nostra vita è differente. Non siamo sempre la stessa persona, ma cambiamo, in alcuni casi anche radicalmente. Ed è per questo che ho scelto sei attrici per interpretare Conann durante sei età diverse della sua esistenza.

Una scena del film Conann (Crédits : La Quinzaine des Cinéastes)

Una scena del film Conann (Crédits : La Quinzaine des Cinéastes)

D: I tuoi film mostrano sempre un interesse per i “corps dans le décor” – i corpi nelle ambientazioni cinematografiche. Come hai lavorato alla scenografia di questo film? E quanto erano grandi i set che hai costruito in relazione a ciò che effettivamente vediamo all’interno dell’inquadratura?

R: C’è sicuramente una specificità di questo film che è quella di aver utilizzato una location pre-esistente, quella di una fabbrica di acciaio ormai in disuso e abbandonata. Si tratta di una location che mi è apparsa immediatamente evocativa, specie per la presenza di questa grossa fornace, che mi ricordava, nella sua forma, un tempio dell’antichità. E così i magazzini mi sembravano perfetti per ricreare l’ambiente urbano di Brooklyn. O un campo di battaglia. Mi sono quindi affidato totalmente a queste ambientazioni e alle sensazioni che suscitavano in me.

Abbiamo girato di notte e attraverso l’illuminazione e l’aggiunta di altre decorazioni create per il film, siamo riusciti a realizzare dei set che erano qualcosa di più di semplici set: evocavano, creavano le diverse epoche del film. L’importante per me era mostrare Conann persa in queste ambientazioni, essendo effettivamente un tutt’uno con esse. Schiacciata, quasi incastonata, in queste ambientazioni. E poi era uno spazio ideale per poter utilizzare la gru (crane) per filmare, per avere una fluidità nei movimenti di macchina, ma anche per poter inquadrare sempre il terreno, rivolgere la camera verso il basso. Essere sempre a volo d’uccello. Inchiodare Conann al suolo, senza mai mostrare il cielo. Dopo tutto, siamo all’inferno e per me era molto importante che questa “costrizione terrena” fosse predominante nel film.

D: Il viaggio di Conann è anche un viaggio nella storia del cinema. Come hai scelto i riferimenti per questo film? C’è una motivazione filologica o ti sei lasciato guidare dalle tue passioni di cinefilo?

R: Ebbene sì, lavoro sul presente, sulle rovine della storia del cinema. Perché ho l’impressione che la memoria storica del cinema sia in pericolo, stia venendo progressivamente dimenticata o, peggio, demolita. Ho l’impressione che molti registi non richiamino abbastanza la storia del cinema per i miei gusti, che dimentichino molti grandi film. Ed è una colpa a cui non mi sottraggo. Per questo sento il dovere di ricordare il passato del mezzo cinematografico nel mio lavoro e l’ho potuto fare in questo film in maniera estensiva. La struttura del film segue quella di Lola Montes di Max Ophuls.

In quel caso, lei raccontava la storia in un circo che era diventato il suo inferno, rivivendo tutta la sua vita dall’alto del suo trapezio, prima del grande salto. Questa è la struttura che ho usato per costruire Conann. Il personaggio di Rainer, ad esempio, è proprio l’equivalente di Mr. Loyal di Peter Ustinov nel film di Ophuls. Poi c’è ovviamente Fassbinder, che viene anch’esso evocato nel personaggio di Reiner, ma che aleggia in tutto ciò che riguarda il melodramma presente nel film. Per il resto, è il mio inconscio che lavora. Una volta che ho scritto la mia storia, una volta che la devo dirigere, mi rendo conto che ci sono delle connessioni con alcuni film che mi hanno segnato. E in quel momento, decido di riconoscere queste connessioni e di esplicitarle.

Mi sono accorto che stavo evocando tutta una parte della storia del cinema francese che oggi non viene spesso ricordata. Quel filone di film che io chiamo “le merveilleux fantastique du cinéma français”. Tutto quel cinema che ha a che vedere con il patto faustiano. Les Visiteurs du soir di Carné e Prévert. La Bella e la Bestia di Cocteau, che in realtà è presente sempre nel mio cinema. E poi ancora La Mano del Diavolo di Maurice Tourneur e La Bellezza del Diavolo di René Clair. Poi successivamente, sempre per la parte del film legata all’antichità, mi sono ispirato all’espressionismo tedesco di Fritz Lang e alla mitologia di Siegfried. E ho guardato anche al cinema giapponese. Film come Onibaba di Kaneto Shindō, per esempio, è stato molto importante, tanto nella colonna sonora quanto nell’immaginario del periodo antico. Poi negli anni più meravigliosi, quelli dei 25 anni di Conann, ritroviamo di nuovo Cocteau, con il suo Orfeo. Ma anche John Boorman con Excalibur.

E poi c’è la digressione urbana, dove è presente molto del cinema onirico degli anni ’90. Ad esempio un film che è stato fondamentale per me, una sorta di matrice estetica, che è Rusty il selvaggio di Coppola. C’è anche The Addiction di Abel Ferrara e Nadja di Michael Almereyda. Poi c’è tutta la sequenza bellica che richiama il cinema dell’est: Come and See di Klimov e La terza parte della notte di Żuławski. Infine, nell’epilogo, l’ispirazione è venuta principalmente dall’arte contemporanea, dalle performance di certi surrealisti, ma anche da film come Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante di Peter Greenaway, La Grande Abbuffata di Marco Ferreri e Il fascino discreto della borghesia di Buñuel. Tutti questi capolavori sono presenti. Spero che il mio film li abbia ben digeriti.

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