Mike Leigh, il grande regista britannico, ha incontrato il pubblico in occasione dell’anteprima del suo Turner all’interno del programma di Art City Bologna, manifestazione che vede la Cineteca, con il suo cinema Lumiere, in prima fila durante gli eventi di Artefiera. Con Leigh ha presenziato l’attrice Marion Bailey, sessantatre anni portati con leggerezza sbarazzina, che nel film interpreta Sophie Boot, l’ultima compagna del pittore.
“Io desidero che i miei film parlino da soli” ha esordito il regista, “e certamente un’opera che parla di un così grande artista potrà trovare in Italia un suo habitat naturale. Quello che posso anticipare è che ho voluto mettere in scena due Turner, l’uomo e il pittore, presentando insieme l’Ordinario e lo Straordinario, che è ciò che più mi interessa. Certamente questo non è un biopic, perchè ho scelto di osservare da vicino un limitato numero di anni della vita di Turner, gli ultimi, quando la sua ricerca si era spinta oltre certi limiti e non sempre veniva compresa. Devo confessare che questa scelta non è soltanto stilistica, perchè comunque uno sguardo più vasto sulla sua biografia avrebbe comportato un impennarsi del budget insostenibile. Per esempio, mi sarebbe piaciuto moltissimo mettere in scena Turner a Venezia, dove ha dipinto delle opere meravigliose, ma potete immaginare quanto ci sarebbe costato per girare chiudere completamente Piazza San Marco, un posto dove solo sedersi a un caffè ha un costo notevole...”
Leigh, classe 1943, una bella barba bianca che dona un tocco austero ad un personaggio dai graffianti lampi ironici, ha dedicato molti anni alle ricerche per la sceneggiatura del film, oltre che, come spesso accade, dei finanziamenti. “Tutta l’intelaiatura della sceneggiatura è basata su fatti reali, dedotti dalla puntigliosa analisi di documenti dell’epoca, lettere e resoconti, fotografie. Naturalmente non tutto ciò che vediamo è realmente accaduto, mi sono preso delle libertà drammaturgiche, ma anche quelle nascono grazie ad un’idea del personaggio e della sua epoca, nata dalla documentazione diretta. Inoltre, anche per la ricostruzione dei dettagli ho voluto la più forte aderenza al vero. Gli attori che interpretano i pittori, per esempio, sono tutte persone capaci di dipingere nella realtà, anche questo per me era importante.” Questo lavoro traspare da ogni inquadratura, e vale non solo per le ambientazioni, ma anche per la voce recitativa: il film offre uno spaccato incredibile di sfumature di accenti inglesi, non soltanto a livello geografico, ma anche trasversalmente a livello sociale. Dal leggero cockney che il vecchio William, padre del pittore, usa in famiglia, per poi diventare più forbito in presenza di estranei, al linguaggio borghese di Turner stesso, fino ai toni affettati del giovane Ruskin, critico d’arte, figlio del collezionista che diventerà l’esecutore testamentario del pittore. “Ruskin è una figura fondamentale per la nostra percezione di Turner. Lo ammirava moltissimo, tra gli altri acquistò anche il quadro che nel film vediamo ammirare nella piccola galleria delle esposizioni in casa Turner, e fu suo esecutore testamentario: proprio Ruskin, però, distrusse molti disegni dell’artista, che aveva l’abitudine di portare sempre con sè un blocco da schizzi e ne produsse un numero immenso, ritenendo che avrebbero infangato la sua figura, perchè avevano dei soggetti erotici.”